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Ordinarie migrazione e nuovi media come ‘segni’ del mondo

Complessità e processi migratori

2.3 Ordinarie migrazione e nuovi media come ‘segni’ del mondo

moderno

Dal quadro teorico ora delineato si può quindi supporre che «lo sviluppo dei mezzi di comunicazione [sia]: una rielaborazione del carattere simbolico della vita sociale, una riorganizzazione dei modi in cui le informazioni e i contenuti simbolici sono prodotti e scambiati nel mondo sociale, e una ristrutturazione dei modi in cui gli individui si rapportano l’uno agli altri e a se stessi» (Thompson, 1995, trad. it. 1998, p. 22). In ciò si può vedere quindi quanto sia incisivo il ruolo dei nuovi media nella formazione delle relazioni sociali e quindi anche nei conseguenti processi di socializzazione delle persone immigrate. Un supporto a tale considerazione lo offre Silverstone, che se possibile, fa un ulteriore passo in avanti in tale direzione. Egli sostiene che la mediazione attuata dai media «non è una

Tesi di dottorato di Luisa Zinant discussa 72 presso l’Università degli Studi di Udine semplice trasmissione di forme simboliche da un emittente a un destinatario ma è un movimento di significato da un testo all’altro, da un discorso all’altro, da un evento all’altro. Comporta una costante trasformazione dei significati, su ampia e piccola scala […] in una replica costante dei discorsi che hanno luogo dentro e fuori dallo schermo, discorsi in cui agiamo e interagiamo come produttori e consumatori tentando di dare senso al mondo» (Silverstone, 1999, trad. it. 2002, p. 35). Si tratta quindi di un processo che invita a prender parte in prima persona al complesso scenario contemporaneo nel quale sempre di più si utilizzano proprio le nuove tecnologie per partecipare, negoziare, costruire e ricostruire significati, «aspettative e condizioni contingenti fatte di competenze, risorse, bisogni, reti sociali di appartenenza» (Pasquali, Scifo, Nittadini, 2010, p. XXV). Ciò sembra essere ancora più vero per i ragazzi e le ragazze figli della migrazione, i quali, oltrepassando il concetto di bricoleur di Michel de Certeau (1980, trad. it. 2001), stanno divenendo dei bricoleur high tech (Drusian, Riva, 2010), in grado quindi di interpretare e agire concretamente sulla realtà circostante anche grazie alle potenzialità offerte dai nuovi media. In questa azione di ‘costruzione immaginata’ e di ‘immaginazione costruita’ nella e della realtà, essi si comportano quindi in maniera ambivalente. Da un lato infatti tendono a rimanere ancorati alle pratiche quotidiane dei propri «mondi locali» (Geertz, 1999), ma dall’altro, la struttura e i contenuti di quelle stesse pratiche vengono veicolate dalle informazione trasmesse dai media presenti nel «mondo globale» (ibidem). I ragazzi e le ragazze di origine immigrata (ma si suppone il discorso possa essere esteso anche agli autoctoni) tendono quindi a considerarsi contemporaneamente appartenenti a comunità differenti, nelle quali l’immaginario da cui trarre ispirazione e identificazione è «deterritorializzato e in gran parte influenzato dal mondo dei media, che propone modelli e stili di vita delocalizzati, transnazionali, globali» (Bosisio, Colombo, Leonini, Rebughini, 2005, p. 4). I nuovi media, offrendo uno spazio di azione bidirezionale, sembra permettano di sperimentare quella dimensione di betweeness

Tesi di dottorato di Luisa Zinant discussa 73 presso l’Università degli Studi di Udine nella quale vengono valorizzati parimenti sia gli aspetti relativi ai precedenti vissuti dei giovani di origine immigrata, sia le rappresentazioni, le aspirazioni, le esperienze, relative al nuovo contesto d’arrivo. In tal modo verrebbe rafforzato quel legame potenzialmente ‘transnazionale’ che consentirebbe di riorganizzare «la propria concezione di cultura locale, e allo stesso tempo di ridefinire la propria identità collettiva in relazione alle rappresentazioni dell’”altro”» (Silverstone, 1994, trad.it 2000, p. 97).

Strumenti di comunicazione tecnologici e processi migratori hanno quindi portato l’alterità ad una dimensione più vicina, più intima nelle nostre vite. In particolar modo, da quanto emerso nelle ricerche citate in precedenza (Buckingham, Sefton-Green, 1994; de Block, Buckingham, 2007; d’Haenens, Koeman, Saeys, 2007; Elias, Lemish, 2009; Gillispie, 1995; Haché, Rissola, Le Corvec, Willem, 2011; Hiller, Franz, 2004; Nordio, 2008; Ranieri, Bruni, 2012), pare che attraverso le nuove tecnologie il confronto con quello che tradizionalmente viene percepito ‘diverso’, divenga più naturale perché il più delle volte situato in un contesto quotidiano, informale, volutamente cercato. Attraverso i social network, le chat, i

blog, ecc., i ragazzi e le ragazze decostruiscono, mescolano, riformulano le loro

stesse identità, fondendole alle pratiche quotidiane trovate (o sempre conosciute) nel Paese in cui essi stanno attualmente vivendo, creando così nuovi sé e nuove dinamiche sociali e relazionali.

L’utilizzo dei nuovi media sembra quindi essere una delle pratiche quotidiane più significative per i giovani d’oggi e quindi sembra poter entrare di diritto in quel

curriculum esperienziale (Council of Europe, 2010) di cui una pedagogia attenta

all’eterogeneità che caratterizza i contesti educativi di oggi dovrebbe occuparsi. Il valore di tali strumenti risulta particolarmente rilevante non solo da un punto di vista didattico-metodologico, ma anche più propriamente da un punto di vista pedagogico interculturale. Lo scambio, il confronto, nato o rinforzato dall’uso delle tecnologie della comunicazione, potrebbe infatti agevolare la costruzione di

Tesi di dottorato di Luisa Zinant discussa 74 presso l’Università degli Studi di Udine significative dinamiche relazionali interculturali, situate nel locale ma contemporaneamente attente al mondo globale nel quale sono immerse, divenendo quindi vere e proprie esperienze «transnazionali» (Appadurai, 1996, trad. it. 2001, p. 72) in grado di accomunare giovani di origini diverse fra loro. Anche per tal motivo sarebbe quindi opportuno conoscere in maniera più adeguata le possibili implicazioni delle nuove tecnologie all’interno delle dinamiche da essi create nelle identità e nelle relazioni sociali dei giovani coinvolti dai processi migratori per poi poterle inserirle in maniera «pedagogicamente orientata» (Buckingham, Sefton-Green, 1994, pp. 10-12) nella prassi educativa quotidiana.

Quanto esplicitato finora sembra condurci verso una migliore comprensione del contesto di riferimento entro il quale la presente ricerca si è situata. In esso i processi migratori odierni così come le nuove tecnologie sembrano aver lasciato e continuano quotidianamente a lasciare delle tracce indelebili.

Nella esplicitazione di tale immagine, le parole di Appadurai paiono particolarmente significative. Egli infatti sostiene che «immagini in movimento che incrociano spettatori de-territorializzati creano […] nuovi spazi sociali, politici e culturali attraversati e caratterizzati dalla differenza e dalla volontà di preservarla, senza annullarla in una sintesi percepita come perdita e riduzione» (Appadurai, 1996, trad. it. 2001, p. 17). Anche Colombo supporta tale teoria, affermando che «la diffusione dei mezzi di comunicazione di massa rende più diffusa e quotidiana l’esperienza della differenza, favorendo, almeno in forma mediata e immaginata, la percezione dell’esistenza di differenti possibilità e differenti prospettive. La diffusione dei media elettronici e il rilievo sociale assunto dai processi migratori contribuiscono a trasformare il mondo quotidiano, e fanno della differenza una delle risorse maggiormente disponibili e ricercate per la definizione e la sperimentazione di sé» (Colombo, 2005, p. 46). Questa constatazione assume una rilevanza ancora maggiore nel momento in cui si diviene consapevoli del fatto che questi processi di ‘sperimentazione di sé’ e di sé in relazione agli altri, sono entrati

Tesi di dottorato di Luisa Zinant discussa 75 presso l’Università degli Studi di Udine a far parte della vita quotidiana, in particolare, delle giovani generazioni. «È nel quotidiano – afferma Roger Silverstone – che si inseriscono le dimensioni culturali e funzionali dei media» (Silverstone, 1994, trad. it. 2000, p. 293) ed è proprio in tale dimensione che nuovi media e processi migratori sembrano intrecciarsi fra loro.

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Pedagogia e intercultura nella complessità

Tesi di dottorato di Luisa Zinant discussa 79 presso l’Università degli Studi di Udine

3.1 La pedagogia e complessità

Se le considerazioni riguardanti lo scenario di complessità contemporanea si contestualizzano al mondo educativo e pedagogico, si può comprendere quanto anch’esso sia stato influenzato da tali dinamiche. Come sottolinea Gobbo «le svolte nel discorso pedagogico e nella pratica educativa sono sempre avvenute in relazione a cambiamenti e trasformazioni dei contesti politici e sociali che sollecitano una progettualità rinnovata per l’istituzione scolastica e le giovani persone che la frequentano» (Gobbo, 2000, p. 9). Anche Frabboni e Pinto Minerva sostengono che il paradigma della complessità comporti notevoli cambiamenti nella sfera educativa tanto da rinviare ad un modello di conoscenza e di formazione diversi dal passato, un modello «costruttivo, aperto, dinamico, inconcluso, che sa fare i conti con l’incertezza, con la pluralità dell’esperienza, dei sistemi simbolici, dell’immaginario, con la storicità dei percorsi di ricerca, con l’imprevisto e la novità, con la costruttività […]. Rinvia, in breve, a un modello di conoscenza e di formazione che riconosce, promuove e utilizza la forza maieutica del pensiero, la capacità di trasgredire l’ordine lineare del discorso, di scomporre e ricomporre in quadri concettuali originali i saperi consolidati e rigidi. In tal modo, conoscenza e formazione motivano e attrezzano bambini, giovani, adulti e anziani al gusto dello sconfinamento, al piacere della ricerca e all’uso del pensiero divergente e creativo» (Frabboni, Pinto Minerva, 2001a, p. 192).

Come detto, quindi, un simile cambiamento nel modello di conoscenza e di formazione, dovrebbe comportare non solo la costituzione di un pensiero più imprevedibile, dinamico e «multidimensionale» del precedente (Morin, 1985, p. 57), ma per coerenza anche una trasformazione nell’agire di insegnanti ed educatori. Ciò viene sottolineato anche da Albarea il quale afferma che «nel panorama globale in cui le variabili si intrecciano, si moltiplicano e si divaricano in un perenne confronto e scontro […], l’insegnante sempre più dovrà essere in grado

Tesi di dottorato di Luisa Zinant discussa 80 presso l’Università degli Studi di Udine di gestire le differenze presenti nei vari contesti in cui si troverà ad operare […] verso il perseguimento di obiettivi accettati e condivisi, nell’ambito di un pluralismo che è fonte di ricchezza per tutti» (Albarea, 2000, p. 10).

Da qui dunque l’indicazione che emerge forte dalla ricerca pedagogica contemporanea sembrerebbe elaborare una nuova pedagogia, una pedagogia che sappia far fronte ai cambiamenti presenti nella società postmoderna contemporanea: una ‘pedagogia della complessità’. Una pedagogia che riesca a gestire sia la dimensione ‘complessa’ ad essa intrinseca (della complessità) che quella ad essa circostante (nella complessità). Da un lato, sarebbe necessario costituire «una pedagogia, una cultura pedagogica, un insieme di scienze dell’educazione caratterizzate da una presa di coscienza dei problemi più immediati e dall’istanza di approfondimenti teorici e di ricerca scientifica (Fornaca, 1991, p. 69)», dall’altro, una pedagogia che sappia fronteggiare e far dialogare «apporti conoscitivi e metodologie differenziate in rapporto ai problemi da affrontare, ma contingenti rispetto ai fini da raggiungere» (ibidem). Una pedagogia, quindi, che contemporaneamente sia più attenta ai rapporti interni tra e con le altre scienze dell’educazione e più aperta agli eventi del mondo esterno. Una scienze pedagogica che, pur mantenendo la propria fisionomia, riesca a calarsi nel contesto in modo interdisciplinare, con lo scopo di riuscire a produrre una comprensione più adeguata delle dinamiche educative contemporanee.

Tesi di dottorato di Luisa Zinant discussa 81 presso l’Università degli Studi di Udine

3.2 La pedagogia ‘della’ complessità: il rapporto con le scienze