• Non ci sono risultati.

NORMATIVA RIGUARDANTE L'INSERIMENTO SCOLASTICO DEGLI ALUNNI STRANIERI

T. B.Jelloun “A occhi bassi”

11. Orientamento e recupero 22. Convivenza demografica e nuova

Come si può vedere il compito appare molto impegnativo; si richiedono molte competenze in campi specifici. A livello generale la prima parte di un percorso formativo per gli insegnati dovrebbe seguire alcune direttrici fondamentali.

L’obiettivo principale è quello di acquisire la consapevolezza che l’educazione interculturale costituisce la “normalità” della educazione nelle società multiculturali. Si deve essere in grado di elaborare un piano dell’offerta formativa il cui sfondo integratore sia costituito dalla dimensione interculturale .

Obiettivo raggiungibile attraverso l’acquisizione di alcune competenze tra cui quello della capacità di lettura dei bisogni formativi del contesto socioculturale in cui la scuola è inserita, oltre alla capacità di saper utilizzare la riflessione teorica,e ai saperi informali, come momento di valutazione critica delle prassi educative .

Gli indirizzi e gli obiettivi devono essere chiaramente esplicitati nel Piano di Offerta Formativa, auspicandone la fattibilità:

• riguardo alle competente specifiche deve essere chiara l’ottica in cui si opera scegliendo con chiarezza tra le opzioni conosciute e ritenute maggiormente valide • tolleranza • adattamento • melting pot • integrazione • approccio interculturale • approccio transculturale

Gli insegnanti saranno costretti a fare precise scelte di campo. Successivamente sarà opportuno definire e individuare le risorse umane, esperienziali ed organizzative esistenti sul territorio con cui rapportarsi nella definizione del POF.

Al momento dell’elaborazione dei contenuti, che mai come in questo caso, devono essere sottolineati con precisione si dovranno tener fermi alcuni punti fondamentali, tra cui il processo di globalizzazione e le sue conseguenze; i processi migratori, con la conseguente lettura corretta e consapevole dei dati demografici; le società multiculturali contemporane ed i bisogni educativi ad esse connessi, oltre alla lettura delle contraddizioni più evidenti.

Se le indicazioni generali proposte, sono solitamente condivise, al fine di definire una maggiore concretezza si deve riflettere sui curricoli. Alla base di questo tipo di impostazione, oltre alla prima alfabetizzazione, diventano determinanti i facilitatoci di

comprensione, per quelle attività che non siano solo attività di L2 per i bambini stranieri. A questo scopo diventa determinante saper utilizzare la pluralità di linguaggi come approccio interdisciplinare, oltre a conoscere i più significativi strumenti e sussidi atti ad approntare un curricolo interdisciplinare in chiave interculturale.

È determinante costruire un curricolo ad orizzonte interculturale per l’area disciplinare prescelta (discipline implicate, modalità di relazione interdisciplinare, finalità, competenze, contenuti, mezzi, materiali, strumenti).

L’uso dei diversi linguaggi, come abbiamo osservato in altre esperienze, appare, spesso, una mossa vincente.

Quelle che sono state tracciate sono le idee guida di un percorso e di una visione interculturale da inserire all’interno di un Piano dell’Offerta Formativa. Ovviamente ce ne sarebbero altre, ma i troppi obiettivi e i troppi contenuti indurrebbero a intraprendere una visione di inapplicabilità.

Oltre ai punti elencati è necessario sottolineare altri aspetti altrettanto importanti. In una prospettiva interculturale c’è un bisogno estremo del coinvolgimento dei genitori stranieri. Il primo auspicabile passo, specialmente per i nuovi arrivati, è l’alfabetizzazione. La scuola dovrebbe essere coinvolta, dove è necessario, in questo processo. Il processo educativo, nella società della conoscenza, non si rivolge solo alle giovani generazioni ma riguarda ogni età. La scuola, attraverso la sua testimonianza, l'attiva relazione con il territorio, il rapporto con i genitori e con le famiglie può diventare il luogo dove si costruisce una nuova percezione sociale. È necessario programmare delle attività e dei momenti di incontro per informare e raccogliere delle richieste, tenendo presente il fatto, che, spesso i genitori stranieri sono molto interessati alla scuola del loro figlio. L'educazione interculturale costituisce una nuova dimensione di vita sulla quale formare l'intera opinione pubblica. Tutto ciò nell’ottica di una formazione continua.

Successivamente, come si è sottolineato in altre realtà europee, è molto importante sottolineare i principi di un atteggiamento antirazzista.

L'educazione interculturale avvalora il significato di democrazia, considerato che la "diversità culturale" va pensata quale risorsa positiva per i complessi processi di crescita della società e delle persone. L'obiettivo primario dell'educazione

interculturale, pertanto, si delinea come promozione delle capacità di convivenza costruttiva in un tessuto culturale e sociale multiforme. Essa comporta non solo

l'accettazione ed il rispetto del “diverso”, ma anche il riconoscimento della sua identità culturale, nella quotidiana ricerca di dialogo, di comprensione e di collaborazione, in

una prospettiva di reciproco arricchimento.

Va sottolineato che l'educazione interculturale, pur attivando un processo di

acculturazione, valorizza le diverse culture di appartenenza. Compito, questo, assai impegnativo, perché la pur necessaria acculturazione non può essere ancorata a pregiudizi etnocentrici.

Ogni intervento che si colloca su questo piano tende così, anche in assenza di alunni stranieri e nella trattazione delle varie discipline, a prevenire il formarsi di stereotipi e pregiudizi nei confronti di persone e culture e a superare ogni forma di visione

etnocentrica, realizzando un'azione educativa che sostanzia i diritti umani attraverso la comprensione e la cooperazione fra i popoli.

Non si deve dimenticare che i bambini stranieri delle nostre scuole si possono definire figli dell’emigrazione, forse il fenomeno più importante e decisivo dei nostri tempi. L’Italia è un paese con forte tradizione migratoria. Oggi la realtà storica si è modificata. Da paese di migranti siamo diventati paese di accoglienza. Nel messaggio per l’apertura dell’anno scolastico 1999/2000 il presidente Ciampi descrive in questo modo il fenomeno migratorio, ovviamente riferito alla realtà scolastica:

“…il mondo che vi attende oltre la soglia del 2000 che stiamo per varcare e sempre più uno spazio aperto.

L'incontro e la competizione fra popoli e culture diversi sono un dato dei nostri tempi. Abbiamo la fortuna di essere nati in un paese che, per posizione geografica e per tradizioni culturali, è ponte naturale fra l'Europa e il sud del mondo, fra l'Europa e l'oriente. Sui banchi delle nostre scuole siedono, in numero sempre maggiore, ragazze e ragazzi immigrati in Italia con le loro famiglie, che cercano qui un'occasione di vita migliore. Insieme a tutti voi, rivolgo a loro un saluto di amicizia. L'Italia è terra ospitale.

La nostra storia è figlia dell'incontro di popoli diversi. Sappiamo, fin dai tempi dell'antica Roma, che le nazioni capaci di accogliere e integrare comunità differenti sono le più prospere, le più libere. Benvenuti, diciamo loro! Voi siete una risorsa per noi come sono stati e sono una risorsa straordinaria per i paesi che li hanno accolti i tanti italiani nel mondo. Lo studio è impegno serio. Ma esso è conquista, è soddisfazione, perché apprendere e allargare le nostre conoscenze, e prima ancora imparare a studiare, a coltivare il nostro desiderio di conoscere, è modo per affermare la propria persona…”

Sottolineando ulteriormente l’importanza della formazione dell’insegnante riguardo all’intercultura, si desume, forse con una certa forzatura o provocazione, che, forse, è meglio, che non tutti gli insegnanti possono occuparsi di questo ambito. Ma ciò accade, in linea di massima, anche per altri ambiti disciplinari e di intervento. Nelle scuole elementari coloro che si impegnano in determinate attività, dall’ingresso dei moduli lo fanno soprattutto perché guidati da interessi e inclinazioni personali, a meno che non sussistano indicazioni precise all’interno dei regolamenti dei diversi istituti comprensivi.

Un insegnante che si occupa di intercultura non deve essere, ovviamente, orientato ad atteggiamenti xenofobi, o peggio, razzisti, deve essere disposto verso un atteggiamento innovativo, ma allo stesso tempo non deve farsi trascinare dalle dicotomie classiche “gli alunni stranieri sono un problema”, o sul versante opposto “i bambini stranieri sono solo ricchezza”. Anche perché ci si può rendere conto, che alcune volte rappresentano effettivamente ricchezza, quando in classe, si riesce a creare una certa armonia e un indirizzo cooperativo, inteso non come tecnica di insegnamento, ma come modo di essere. Altre volte rappresentano una sorta di problema, quando per esempio, la presenza dei bambini stranieri supera determinate percentuali. In questo caso non si riuscirà a fare del bene agli autoctoni e men che meno agli stranieri.

Un insegnante che si occupa di intercultura deve avere un solido bagaglio culturale, curricolare, legislativo, almeno per le norme fondamentali, oltre ad possedere un atteggiamento improntato alla conoscenza.

Un insegnante deve avere ben chiaro il significato del termine e del fenomeno emigrazione. Una delle maggiori spinte che sta alla base dei fenomeni migratori è la mancanza di lavoro nel paese di origine e conseguentemente il mantenimento personale e delle famiglie. Chi parte per emigrare difficilmente sa a cosa andrà incontro. La separazione dalla terra d'origine è sempre sentita come una frattura nella vita personale. La presenza nel nostro Paese di immigrati provenienti da varie parti del mondo ha modificato profondamente alcuni aspetti centrali della nostra vita, ponendo problemi che investono non solo la sfera politica ed economica ma anche quella culturale e sociale. La composizione estremamente variegata del tessuto sociale attuale, nel quale coesistono diversi gruppi etnici di provenienza eterogenea, se da un lato, ha posto il problema di come realizzare una integrazione tra le varie comunità di immigrati e la comunità ospitante, che preservi il più possibile le essenze proprie di

ogni cultura, d'altro canto essa ha offerto nuovi stimoli per analizzare e riflettere su modi e strumenti adatti a rendere le città più vivibili per tutti. Accogliere "lo straniero" e riconoscergli il diritto di cittadinanza e di integrazione sociale è un dovere che coinvolge non solo la società civile ma anche, ed in modo particolare, le istituzioni. Già da qualche anno appare doveroso pensare ad una scuola interculturale che educhi ad una cultura del rispetto delle diversità, primo importante passo per orientarci positivamente all'altro, per superare la visione etnocentrica della nostra cultura ed arricchire noi stessi di nuove esperienze e nuovi punti di vista. La scuola costituisce uno dei punti di riferimento più importanti per i ragazzi, poiché è un luogo in cui si creano relazioni – talvolta conflittuali – dove, più che altrove, i ragazzi esprimono le proprie idee e si relazionano agli altri, imparano a conoscere se stessi ed il mondo che li circonda, osservano gli altri e si mettono in gioco. Nella scuola, in quanto luogo ideale della mediazione, gli insegnanti, più o meno consapevolmente, vengono chiamati a mediare tra le esperienze del singolo e quelle del gruppo, tra ciò che l'alunno vede e quello che poi trasmette ai suoi compagni.

La presenza dell'immigrato diventa, in questo modo, uno stimolo in più per ripensare e ridefinire una scuola interculturale; una scuola, cioè, che si presenti come una struttura flessibile, capace di decentrarsi e progettarsi continuamente, di fornire gli strumenti adeguati per un approccio interdisciplinare ai saperi, di creare percorsi didattici aperti ad una molteplicità di materie, di elaborare libri di testo appropriati e coerenti con la nuova impostazione; capace, infine, di mirare all'acquisizione di valori e competenze che rimettano in discussione tutta una tradizione fondata sul primato dell'Europa. Una scuola nuova dovrebbe inoltre, rivisitare anche i criteri di valutazione del profitto poiché in situazioni multiculturali una semplice verifica degli apprendimenti non valorizzerebbe del tutto la pluralità delle intelligenze.

Un’ulteriore riflessione che gli insegnanti devono porsi è che le persone si spostano per diversi motivi, contraddistinti, spesso da frustrazione e senso di fallimento, oltre alla sofferenza per l’abbandono del proprio paese, e ciascuna di queste cause condiziona la vita e gli atteggiamenti di tutti i familiari. È bene, quindi tenere presente i motivi, per lo meno i più significatici, per cui si emigra:

o altruismo (andare a lavorare in un altro paese per mandare i soldi a casa ai loro familiari);

o lavoro (per trovare un impiego, per migliorare il proprio posto di lavoro); o istruzione (per frequentare una scuola e conseguire un titolo di studio);

o persecuzioni e oppressioni (per evitare guerre, genocidi o la pulizia etnica);

o di tipo politico (dittature o altri tipi di governi oppressivi);

o di tipo religioso (impossibilità di praticare il loro culto religioso); o disastri naturali (tsunami, alluvioni, terremoti);

o motivazioni personali (scelta ideologica, fidanzamento con un partner residente in un altro paese);

o raggiungimento della pensione (trasferimento in un luogo con clima migliore, minore costo della vita);

o di tipo sentimentale (riunificazione familiare)

o di tipo criminale (per sfuggire alla giustizia del proprio paese, per evitare un arresto).

La conseguenza è che l'immigrazione tende a creare preoccupazione nella popolazione autoctona ed attriti con le nuove comunità proporzionalmente al grado in cui esse sono riconoscibili come diverse, per aspetti, sia di aspetto fisico, sia culturali o religiosi. Ci sono anche motivazioni economiche, spesso liquidate sotto il termine, oramai generico, di globalizzazione .

A volte, dietro a queste motivazioni economiche si nasconde un malcelato timore di vedere la cultura nazionale "annacquata" da un'ondata di immigrati, soprattutto quando quest'ultimi sono di un'altra religione e parlano una lingua diversa. Per questi motivi l'aumento dell'immigrazione in Europa ha portato ad una crescita della xenofobia. Probabilmente, a livello più generale, gli occidentali si sono resi conto negli ultimi anni, di una certa perdita di identità forte.

Da parte dell’immigrato appare complesso coniugare i momenti del noto e dell’ignoto. L’ignoto è spesso la lingua, quindi l’emigrato incontra difficoltà a comunicare e il suo principale riferimento divengono gli appartenenti alla sua stessa comunità. Va da sé che un insegnante coinvolto in questa tematica, attraverso un’ottica interculturale, deve essere capace di leggere con forte obbiettività i dati demografici riguardanti il fenomeno migratorio e deve esserne costantemente aggiornato. Dipendentemente dal momento storico e dalle realtà contingenti si devono evitare i condizionamenti dei media riguardo ai numeri. Ogni anno, intorno all’estate, sembra che l’Italia debba essere invasa dagli emigranti provenienti da Lampedusa, mentre il fenomeno se

gestito con correttezza e con un corretto controllo del territorio non presenterebbe molti problemi.

L’insegnante deve conoscere le normative, per lo meno quelle più importanti. L'educazione interculturale ha fatto la sua comparsa ufficiale nella scuola italiana nel 1990, quando il termine entra nel mondo educativo attraverso "la porta principale" della normativa. Una circolare ministeriale (n° 205 del 26/7/ 1990) trattava infatti per la prima volta congiuntamente i temi dell'inserimento degli alunni stranieri nella scuola e dell'educazione interculturale. Il documento conteneva principi innovativi importanti: forniva indicazioni per l'accoglienza e l'integrazione degli alunni immigrati e nello stesso tempo poneva il tema dell'educazione interculturale per tutti. Successivamente attraverso i pareri del Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione e successivamente di altre normative il concetto di intercultura appare sempre più concreto. Attraverso una di queste circolari, C. M. n° 73 del 2/3/1994, dal titolo "Dialogo interculturale e convivenza democratica: l'impegno progettuale della scuola". si sottolinea la priorità dell’orientamento interculturale . Il documento delinea un quadro di ampio respiro dove si ragiona in termini di società multiculturale, di prevenzione del razzismo e dell'antisemitismo, dell'Europa e del pianeta. Educare all'interculturalità significa costruire la disponibilità a conoscere e a farsi conoscere nel rispetto dell'identità di ciascuno in un clima di dialogo e di solidarietà".

Si ritorna ancora al tema dell'inserimento degli alunni stranieri con il DPR n° 394 (31/8/1999) che delinea le modalità di iscrizione, accoglienza e inserimento dei minori e della formazione degli adulti immigrati, affermando il loro diritto/obbligo all'istruzione scolastica e prevedendo i dispositivi mirati e le risorse da attivare per l'apprendimento dell'italiano e per facilitare l'accesso alle strutture e al curricolo comuni, anche attraverso intese con gli enti locali, le comunità, le associazioni.

La valenza interculturale delle discipline viene successivamente approfondita in uno studio su " L'educazione interculturale nei programmi scolastici " pubblicato nel 1995 negli Annali della Pubblica Istruzione. In esso si riafferma il principio che l'educazione interculturale non riguarda solo alcune materie, ma che siamo di fronte ad una dimensione dell'insegnamento che accompagna il percorso formativo ed orientativo

delineate e articolate le coordinate di politica educativa. Si fondano su chiare scelte pedagogiche e tracciano un modello che si può definire integrativo, interculturale, attento al riconoscimento e alla valorizzazione delle lingue di origine. L’insegnante si deve rendere conto che tradurre in questo senso l’indirizzo interculturale presenta dei limiti e alcuni punti di forza. Da un lato questo tipo di approccio sembra che sia la risposta più adatta per rispondere alle esigente dei bambini che vengono da lontano. Il rischio è che si possa avere un’interpretazione di pedagogia di tipo esclusivamente compensativo, adatta solamente per gli stranieri. D’altro canto il fatto di aver collegato le azioni e le pratiche delle nuove situazioni scolastiche ha consentito di sperimentare un certo tipo di apertura percorrendo un campo innovativo. L’insegnante deve avere un solido bagaglio curricolare, culturale e organizzativo, specialmente per ciò che riguarda l’insegnamento della L2 o della lingua straniera. In ogni caso si devono tenere ben presenti i diversi momenti caratterizzanti l’arrivo di un nuovo bambino straniero, a scuola.

Attività di accoglienza

Non descrivo le attività di accoglienza che, più o meno, in ogni scuola italiana, si attuano al momento dell’arrivo del bambino straniero. In ogni caso, forse, è opportuno soffermarci sui primi momenti di accoglienza. Il bambino si deve sentire accolto, e non esclusivamente al centro dell’attenzione, come agente straordinario, perché è nuovo, altrimenti si corre il rischio di farlo sentire veramente un “differente”. Accogliere persone di culture e lingue diverse vuol dire garantire pari opportunità di successo scolastico, quindi obiettivi di lungo termine: questo significa, da un punto di vista strettamente pratico, garantire la possibilità di accedere alle informazioni e al sapere e soprattutto di sviluppare le proprie competenze e la propria personalità (o meglio ancora la propria identità personale e culturale).

L’attivitá di alfabetizzazione non può essere intesa come evento interculturale. È necessaria, quindi una certa conoscenza sulle tecniche e le metodologie per l’insegnamento di una lingua. In base alle esperienze, condotte in questi ultimi anni in Italia, un insegnante della scuola elementare dovrebbe avere ben chiaro un certo tipo di percorso, che non deve forzatamente sfociare in una super specializzazione, tenendo ben presente i punti precedenti. Sarebbe auspicabile che il percorso seguisse questo indirizzo generale. Se riflettiamo sull’arrivo di bambini stranieri a scuola, il primo caso, davanti al quale può trovarsi il docente, è quello di bambini che sono

arrivati da poco in Italia e che hanno un vissuto linguistico in una lingua diversa dall’italiano, possono aver frequentato o meno la scuola nel paese di origine. Possono anche saper leggere e scrivere abbastanza bene nella loro lingua di origine e, infine, possono aver avuto, una qualche esperienza di italiano, attraverso contatti sicuramente non strutturati, specie se provengono da zone geograficamente non lontane.

Il secondo caso è quello dei bambini che sono nati in Italia, ma che non sono abituati a parlare l’italiano. Sono figli di genitori immigrati che a casa hanno continuato a parlare la loro lingua di origine, i primi anni rimangono a casa e poi vengono inseriti nella scuola materna o frequentano le elementari.

Il terzo caso riguarda i bambini che hanno uno dei due genitori italiani, sono figli di coppie miste, a casa possono parlare una lingua diversa dall’italiano. E’ un caso molto frequente se il genitore non italofono è la mamma, perché sappiamo che, all’interno delle famiglie, la lingua della mamma è quella dominante. Effettuata questa prima analisi dobbiamo porci il problema di che cosa vuol dire “sapere una lingua straniera”. L’obiettivo principale non è quello di sapere tutte le regole, ma l’insegnamento della lingua deve essere orientato a un sapere di tipo operativo che permetta di interagire. Il compito dell’insegnante è quello di facilitare l’apprendimento. Si deve insegnare soprattutto a comunicare. Per i bambini che frequentano la scuola elementare, l’italiano diventa lingua veicolare di contenuti.

Saper parlare, per esempio, richiede la capacità che consente di formulare un enunciato, di saper organizzare i contenuti e di saperli esprimere in modo linguisticamente appropriato.

Il passaggio alla scrittura richiede altri tipi di abilità; la capacità di formulare un messaggio; la capacità manuale di saper scrivere o saper digitare, visto che si parla di informatica nella scuola. Dobbiamo renderci conto che sapersi esprimere - saper concepire un pensiero in forma scritta - non è così ovvio per i bambini che vengono da altre culture, nelle quali si utilizzano alfabeti diversi, altri sistemi di scrittura non