DAL FEMICIDIO AL FEMMINICIDIO
La sociologa e criminologa femminista statunitense, Diana Russell
utilizzo per la prima volta il temine FEMICIDIO (dall' inglese femicide) nel
1992 nel suo libro “FEMICIDE: THE POLITICS OF WOMAN KILLING”
realizzato assieme a Jill Radford. con esso la Russell intese identificare
non l' uccisione di una donna in generale, ma l' uccisione di una “donna
in quanto donna”
« Il concetto di femicidio si estende aldila' della definizione giuridica di assassinio ed include quelle situazioni in cui la morte della donna rappresenta l'esito/la conseguenza di atteggiamenti o pratiche sociali misogine. » 11
L’ intenzione della studiosa statunitense fu proprio dunque quella
di dare finalmente un nome ad un fenomeno ben preciso, dallo sfondo sessista e misogino. Non stiamo parlando soltanto degli omicidi
commessi dal partner o ex partner, ma parliamo anche di tutte quelle
ragazze uccise dai padri perché sottrattesi al controllo ossessivo delle loro
vite o delle loro scelte sessuali, delle donne uccise dall’AIDS contratto da
partner sieropositivi che per anni hanno intrattenuto con loro rapporti
non protetti tacendo la propria sieropositività, delle prostitute contagiate
da AIDS o ammazzate dai clienti, di tutte quelle donne che negli anni sono
11 Jill Radford, Diana E. H. Russell, "Femicide: The Politics of Woman Killing", Twayne Publishers, Settembre 1992
36
state tacciate di stregoneria e bruciate sul rogo. La colpa di queste donne
è quella di aver scelto l'autodeterminazione, di aver scelto qualcosa di
diverso per la loro vita da ciò che la società, la famiglia o semplicemente
il compagno gli aveva imposto. Sono soggetti da punire; e chi si incarica
di punirle, uccidendole, non è solo il padre, l' amante o l' uomo di turno,
ma è anche, e, soprattutto, una società connivente che silenziosamente
accetta e consente tali atrocità. Diana Russell sosteneva che:
« tutte le società patriarcali hanno usato – e continuano a usare- il femminicidio come forma di punizione e controllo sociale sulle donne. »
La teoria della criminologa statuinitense fu poi presto famosa in tutto
il mondo e divenne oggetto di studi soprattutto in relazione ai terribili fatti
accaduti, a partire dal 1993, a Ciudad Juarez, cittadina dello stato
Messicano del Chihuahua. In quegli anni, centinaia di donne, nel cercare
lavoro nelle “maquiladoras”12 , scomparivano nel nulla, per essere poi
ritrovate nel deserto, stuprate ed ammazzate. Nel 2004 Marcela Lagarde,
antropologa messicana, , appassionatasi all’ opera della Russel, utilizzò
per la prima volta il termine FEMMINICIDIO (dallo spagnolo feminicidio) al fine di focalizzare l' attenzione politica su quanto stava accadendo in
12 In messicano fabbriche. Le Maquiladoras sorgono ad un passo dal confine statunitense, un vero paradiso per le aziende straniere che possono disporre di manodopera a prezzi stracciati. Lì i lavoratori, in piedi dodici ore al giorno, producono senza pause, senza nessuna tutela della sicurezza, e con un sostanziale divieto di organizzazione sindacale (pena il licenziamento). Il tutto per una cinquantina di dollari la settimana, con la connivenza delle autorità. Nelle Export Processing Zones alle imprese viene consentito di eludere legalmente il fisco, di calpestare i diritti essenziali dei lavoratori e di devastare l'ambiente naturale senza alcun tipo di conseguenza.
37
Messico. Il nuovo vocabolo doveva racchiudere un significato molto più
complesso che superasse la definizione ristretta di “femicidio” e si
focalizzasse soprattutto sugli aspetti sociologici della violenza e sulle
implicazioni politico-sociali del fenomeno. La Lagarde, connotando di
nuove sfaccettature il “femicidio” della Russell, andò ad inquadrare non
soltanto le uccisioni di genere, ma ogni forma di violenza e
discriminazione perpetrata contro le donne che fosse in grado di
menomarne lo stato e la libertà psico-fisica.
Lo definì per l’ esattezza come:
« La forma estrema di violenza di genere contro le donne, prodotto della violazione dei suoi diritti umani in ambito pubblico e privato, attraverso varie condotte misogine -maltrattamenti, violenza fisica, psicologica, sessuale, educativa, sul lavoro, economica, patrimoniale, familiare, comunitaria, istituzionale- che comportano l’impunità delle condotte poste in essere tanto a livello sociale quanto dallo stato e che, ponendo la donna in una posizione indifesa e di rischio, possono culminare con l’uccisione o il tentativo di uccisione della donna stessa, o in altre forme di morte violenta di donne e bambine: suicidi, incidenti, morti o sofferenze fisiche e psichiche comunque evitabili, dovute all’insicurezza, al disinteresse delle istituzioni e alla esclusione dallo sviluppo e dalla democrazia. il femminicidio si insinua nella disuguaglianza strutturale fra donne e uomini, che nella violenza di genere riproducono un meccanismo di oppressione delle donne. da queste condizioni strutturali sorgono
38
altre condizioni culturali tali, come l'ambiente ideologico e sociale di maschilismo e misoginia, che normalizzano la violenza contro le donne. a queste condizioni culturali si sommano anche l'assenza legale, e le politiche democratiche con contenuti di genere del governo e degli organi di giustizia dello stato che producono l'impunità e che generano sempre più ingiustizie, così come le condizioni di insicurezza della vita, che mettono in pericolo la vita stessa e permettono l'insieme di atti violenti contro le bambine e le donne. contribuisce al femminicidio il silenzio sociale, la disattenzione, l'idea che ci sono problemi più importanti, la vergogna e la rabbia che non aiutano a migliorare le cose ma al contrario sminuiscono il fatto e si accingono a dimostrare che le morti non sono così innumerevoli o, si afferma anche, che non si tratta di femminicidio, ma solo di crimini contro le donne e le bambine. penso che sia giusto precisare che il femminicidio sussiste in condizioni di guerra e di pace.».
A differenza di quanto si possa ritenere, pertanto, il “femicidio” vero
e proprio inteso come la soppressione fisica della donna, non si configura
affatto come un evento isolato ed improvviso, ma costituisce l'ultimo atto
all'interno di un vero e proprio ciclo di violenze che spesso perdurano
negli anni e che le società il più delle volte consentono e avvallano.
Potremmo dunque tranquillamente affermare che questi termini sono in qualche modo la rappresentazione di veri e propri fatti culturali, l’
esito malato di tradizioni sociali radicatesi nel tempo che hanno
39
androcentrico. Se pensiamo, infatti, al potere che da sempre è stato
esercitato sulle donne, risulta essere un potere culturale profondo, che
attraversa il tempo e lo spazio e si rappresenta in forme proprie nelle
diverse realtà sociali. Un potere che si è radicato nel sub-strato collettivo
al punto tale da condurre le donne stesse ad accettarlo e talora anche a
40