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La funzione educativa del museo

2.1. Le origini e i modell

Il primo autore che riconobbe le potenzialità educative del museo fu Tommaso Campanella, il quale nel 1623, nella sua Città del Sole, “propone un vero e proprio museo storico e scientifico con un preciso intento didattico: sulla settemplice cerchia muraria della città solare <<tutte le scienze>> sono raffigurate: <<Tutte le pietre preziose e non preziose, i minerali ed i metalli, tutte le sorti di erbe e di alberi... l'animali perfetti terrestri... tutte le arti meccaniche e gli inventori loro... ci sono poi li maestri di queste cose; e li figlioli senza fastidio, giocando si trovano a sapere tutte le scienze istoricamente prima che abbiano

diece anni>>”49. Campanella auspica di fatto un'intera società educante: “i fanciulli e le fanciulle apprendono direttamente dalle loro esperienze e quasi per gioco, sono circondati da strutture sociali fondamentalmente etiche, vivono tra modelli comportamentali esemplari, si preparano, mediante un tirocinio attivo, alla responsabilità e ai compiti che li attendono”50.

Nella Città del Sole si possono individuare anche alcune delle tematiche psico- pedagogiche qui dibattute, per esempio: “il realismo pedagogico-educativo, per cui l'istruzione deve saldarsi alla vita e deve nascere sia dall'esperienza diretta dell'educando sia dalla sua dinamica motivazionale” e “il nuovo concetto di cultura, intesa come un bene collettivo”51. Di fatto, come si può notare da quanto finora descritto, Campanella anticipa non solo le teorie illuministe, ma getta le basi ideologiche dell'apprendimento permanente.

Il vero spartiacque tra la preistoria e la storia del museo si identifica con l'impegno dello Stato a conservare e rendere fruibili le raccolte per finalità di educazione e godimento pubblico. Fino ad allora il museo era stato un insieme di raccolte private, luogo di approdo delle opere che avevano già subito la mediazione del collezionismo52, fruibili soltanto a una cerchia ristretta di dotti e amatori.

Probabilmente, come scrive Karsten Shubert, è corretto dire che il primo museo in senso moderno è stato il Louvre di Parigi. Il palazzo, costruito per il re di Francia, era diventato il deposito in cui si conservavano le immense collezioni reali. L'idea

49 ANGLE I. C., Prefazione, in A.A.V.V., Musei, società, educazione. Guida per operatori

culturali, Armando, Roma, 1973, p. 12

50 CAMPANELLA T., La Città del Sole, BARTOLETTA F. (a cura di), Edizioni Brenner, 1985, p. 22

51 Cfr., Ibid.

di trasformare il Louvre in museo pubblico fu del conte d'Angiviller, direttore generale degli edifici reali sotto Luigi XVI, che aveva studiato il progetto con grande cura e dedizione. Fu però necessario che si scatenasse il cataclisma della Rivoluzione per trasformare in realtà quell'istituzione radicalmente nuova53. La monarchia cadde il 10 agosto 1792: a distanza di soli nove giorni fu emanato un decreto che trasformava in museo pubblico quello che era stato il palazzo del re. Fin dall'inizio esso fu strettamente legato agli obiettivi e alla politica della nuova repubblica, divenendo, insieme, simbolo delle conquiste rivoluzionarie e dichiarazione programmatica di intenti: sarebbe stato aperto in modo che tutti i cittadini potessero condividere la proprietà, fino ad allora privata e inaccessibile, del patrimonio culturale. E' importante sottolineare che il museo non soltanto simboleggiava il nuovo ordine ma era anche un importante strumento per porre in essere i nuovi obiettivi rivoluzionari: attraverso l'arte, il pubblico avrebbe compreso la storia della Rivoluzione, i suoi intenti e le sue finalità.

Il museo era destinato a svolgere un ruolo centrale nel formare e dare impulso alla nuova società.54. E' qui che il patrimonio culturale diventa strumento per creare identità, in questo caso, nazionale.

Nel corso del tempo, si vengono a delineare due diversi modelli di museo, il museo-tempio e il museo-scuola; ma entrambi i paradigmi rischiano di travisare la specifica natura del museo, non solo perchè lo assimilano a istituzioni sostanzialmente diverse, ma perchè ciascuno evidenzia solo alcune caratteristiche del museo mettendone in ombra altre altrettanto importanti55.

53 Cfr., SCHUBERT K., Museo. Storia di un'idea. Dalla Rivoluzione francese a oggi, Il Saggiatore, Milano, 2004, p. 21

54 Cfr., Ivi, p. 22

Maria Vittoria Marini Clarelli, nel rintracciare le origini concettuali del museo- tempio, mette in luce come il culto delle Muse professato dagli umanisti implicava non tanto una “religione del bello” quanto una “religione dello spirito”, ed è in questo senso che essa trova la sua consacrazione in seno alla cultura idealistica che, con la riflessione estetica di Friedrich Hegel, sposta l'attenzione dalla dimensione naturale a quella spirituale dell'arte: “L'arte ci invita alla meditazione, ma non allo scopo di ricreare l'arte, bensì per conoscere scientificamente che cosa sia l'arte” (cit. in Marini Clarelli, 2009, p. 99).

La storica dell'arte, nella sua analisi, fa notare come la nozione di museo-tempio, alla quale possono essere ricondotte tutte le forme di enfatizzazione del ruolo di rappresentanza dell'istituzione in rapporto al prestigio di una certa nazione o collettività, traspare ancora dalle tipologie architettoniche. “Non è un caso che ancora oggi il pittogramma del museo, ossia la sua rappresentazione schematica nella segnaletica stradale, sia il frontone di un tempio greco. I grandi contenitori spettacolari, come quello di Gehry a Bilbao, tendono a imporre la loro presenza architettonica sulla città e sul paesaggio come in passato il duomo o il santuario, e a produrre quelle sensazioni di solennità e di mistero che accomunano l'esperienza del museo alla celebrazione di un rito”56.

La concezione del museo-tempio privilegia nettamente la funzione simbolica rispetto a quella culturale, la collezione rispetto al pubblico, la dimensione estetica rispetto a quella conoscitiva. Ha però il grande merito di aver sottolineato che l'esperienza offerta dal museo richiede una formazione non solo intellettuale ma anche di gusto, e impone non solo di ragionare ma anche di ammirare.

Il secondo modello, quello del museo-scuola, ha anch'esso radici antiche.

Orientato nel corso dell'Ottocento all'educazione della mente e del gusto del pubblico, il museo-scuola è stato nel Novecento la bandiera della museologia anglosassone. I difetti e i pregi di questa concezione sono esattamente inversi a quelli del museo-tempio: subordina ogni altra funzione a quella educativa, la collezione al pubblico, gli aspetti sensoriali ed emotivi a quelli razionali, assumendo caratteri sempre più assimilabili all'erogazione di un servizio; ma allo stesso tempo pone l'accento sul ruolo sociale del museo e sulle sue responsabilità. Nel secondo dopoguerra è questa la linea che prevale nel dibattito museologico e che genera anche un progressivo accostamento al sistema scolastico57.

In ultima analisi, nel museo-scuola si alternano una concezione che identifica la cultura con l'insieme delle discipline di riferimento delle collezioni del museo, e una concezione che abbraccia tutto quanto rientra nella produzione umana, prospettiva quest'ultima indicata da questo passo della Filosofia dell'arte di Hyppolite Taine: “Per quanto la concerne, essa [la scienza, NdA] ha simpatia per tutte le forme d'arte e per tutte le scuole, anche per quelle che sembrano essere fra loro contrapposte […]; essa fa come il botanico che studia , con eguale interesse, tanto l'arancio che il lauro, tanto l'abete che la betulla; essa è una sorta di botanica applicata non alle piante ma alle opere umane” (cit. in Marini Clarelli, 2009, p. 101).

Un approccio più recente, come abbiamo visto, evidenzia invece come culturali gli aspetti della vita individuale e sociale che producono significati, e intorno ai quali si sviluppano processi di interpretazione. Inteso come sistema di interpretazione, suggerisce Marini Clarelli, il museo diventa il mediatore del rapporto collezione-pubblico, in una posizione non autoritaria ma di dialogo, che mira a creare le condizioni perché si generi un meccanismo di produzioni di

significati, attribuendo un ruolo attivo sia a chi trasmette che a chi riceve il messaggio.

In sintesi, come dicevamo nel precedente capitolo, esistono due modi di intendere il patrimonio: una “visione sostanzialista lineare” e una “visione processuale, dialogica, circolare”. Per ciascuna “visione” corrisponde un modo di intendere il “museo”: il luogo della conservazione, “garante” del patrimonio, unica autorità in grado di interpretare gli oggetti e di custodire i saperi disciplinari a essi relativi; e un'istituzione aperta, relazionale, che consulta e coinvolge attivamente pubblici diversi accogliendo punti di vista e interpretazioni multiple.

Il museo si configura oggi come istituzione culturale improntata al dialogo dove la trasmissione delle conoscenze avviene non in forma autoritaria e precostituita, ma dove il visitatore partecipa attivamente a una esperienza culturale utilizzando il suo personale bagaglio di conoscenze ed esperienze sia cognitive, sia emotive58.

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