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Orrori della guerra e sofferenze personal

IV. Familiar letters at court

2. Orrori della guerra e sofferenze personal

Aspetti esistenziali e insieme politici sono rinvenibili con forza nelle missive inviate da Amelia, soprattutto a due amiche: Gina Lombroso e Laura Orvieto (Calloni 2002 b). Con costoro aveva condiviso a Firenze l’interesse per la questione femminile, l’attivismo politico (patriottico e anti-fascista), l’analoga origine ebraica, molti progetti e intensi sentimenti amicali. Ma mentre il carteggio di Amelia con Gina (in esilio a Ginevra dal 1930, assieme al marito, lo storico Gugliemo Ferrero) è già stato pubblicato (Calloni e Cedroni 1997), le missive di Amelia con Laura (conservate presso Archivio Contemporaneo Bonsanti del Gabinetto Vieusseaux di Firenze) sono rimaste finora inedite.

Le lettere scritte in esilio possono essere dunque lette come una sorta di prisma sfaccettato che riflette domande sull’identità personale, sulle relazioni interpersonali e sulle prospettive politiche, in un tempo in cui la guerra, le persecuzioni di massa e il genocidio non sembravano rimandare ad un futuro di pace, se non in termini di attesa per l’“immancabile vittoria” e di speranza perché trionfasse la giustizia in terra.

Come Amelia scrive all’amica Gina da Larchmont il 4 febbraio 1941: “In quanto alle sorti del nostro povero Paese, passiamo – come passerete voi – dalle speranze più vive agli abbattimenti più profondi. Due o tre settimane fa si credette veramente che ci si avviasse verso la fine di tanti guai. Ma la fortuna di

quell’individuo è qualcosa di sfacciato. Più le cose gli vanno male, più sembra sull’orlo dell’abisso, e più rimbalza come un vero burattino. E purtroppo l’aiuto l’ha trovato, e non ha esitato a chiederlo: e l’altro non chiedeva di meglio che darglielo, e così mettere le catene al nostro povero travagliato Paese. Ma dovrà, dovrà pur venire il giorno della giustizia! Tornando alle cose private, per quanto oggi meno che mai possano essere disgiunte dalle pubbliche: ho sentito con molto piacere dalla Nina che Nora ha avuto una bella bimba, e che Ugo ha subito felicemente l’operazione a uno degli occhi. Marion sta benino assai, per quanto ancora non del tutto libera dalle conseguenze della crisi passata l’inverno scorso. I ragazzi sono felici nelle relative scuole, e le frequenti vacanze ce li portano spesso qui Marion però continua a star sola in albergo e non se la sente ancora di metter su casa. Addio cara Gina. Perdonami se ho lasciato passare tanto tempo senza scriverti (12). Ma queste enormi lentezze postali mi scoraggiano tanto! Ditemi cosa pensate voi costà di tutto quello che sta succedendo. Ti abbraccio..” (Calloni e Cedroni, 1997, p. 222-223).

Ma l’insicurezza del futuro lascia spazio alla malinconia, come fa trapelare Maria in una lettera (inedita) del 1939. I suoi pensieri vanno infatti spesso a “quella povera Apparita [la casa di campagna sulle colline di Bagno a Ripoli,

M.C.] per la quale la nostalgia si fa sempre più pungente, forse perché vedo

sempre più lontano il giorno del ritorno...” Ma, nonostante gli scoraggiamenti, uno dei motivi che fa sopportare il dolore dell’esilio e dà luogo alla speranza è la sicurezza di poter assaporare un giorno la gioia per la liberazione dal totalitarismo. Significava rendere anche giustizia a coloro che erano morti (come Carlo e Nello) per gli ideali di libertà e giustizia, prima che iniziasse l’orrore della guerra e dell’Olocausto. E su questo punto, in una lettera a Gina e Guglielmo Ferrero da Villars del 25 agosto 1938, Amelia si domanda: “– e forse ve lo domanderete anche voi – di fronte alla sconcia bufera che sconvolge il mondo, se i nostri cari non avrebbero, con le loro sensibilità portate in ciascuno all’estremo – per quanto in diverso modo – sofferto troppo di tutto quello che avviene!...” (Calloni e Cedroni, 1997, p. 2001).

Ma non tutti gli esiliati potranno far ritorno nell’Italia liberata. Guglielmo Ferrero morirà a Ginevra nel 1942, mentre Gina nel 1944. Le lettere dall’esilio sono dunque continue testimonianze di valori comuni e duraturi, ma anche mezzi empatici per poter condividere il dolore alla distanza, nel saper ricreare una vicinanza emotiva, separata spazialmente dall’Oceano e resa faticosa

dall’indisponibilità o dalla lentezza dei mezzi di comunicazione. Amelia è dunque presente nel cordoglio per la scomparsa degli amici. È tuttavia consapevole che la scrittura è uno strumento di per sé limitato nell’esprimere la partecipazione al dolore e nel comunicare i sentimenti. Non è sufficiente per arrecare un vero conforto, ma perlomeno ricrea la solidarietà e la comunanza. Le ultime lettere dell’epistolario dei Rosselli ai Ferrero sono infatti dedicate al dramma della morte di Guglielmo.

Il 6 settembre 1942 Amelia scrive un’accorata lettera all’amica Gina: “Non la mancanza di pensiero, che è costantemente rivolta a te dal giorno in cui lessi la tremenda notizia, bensì la mancanza di coraggio m’impedì di scriverti, dopo averti mandato quelle poche parole del telegramma. Che dire, che scrivere, quali parole avrebbero potuto o potrebbero interpretare il mio sentimento, che è ancora di doloroso stupore, potrebbero avvicinarsi al tuo dolore incommensurabile, mia povera Gina cara! Nessuna parola, nessuna... Purtroppo so come, sotto il colpo inatteso di un grande dolore, ci si senta isolati nonostante l’affetto più tenero e devoto di cui ci circondano gli amici che soffrono con noi, e per noi... […] È così crudele, terribilmente crudele pensare che Guglielmo non potrà godere la gioia meritata col lungo esilio e il lungo patire, di vedere un giorno la liberazione del nostro povero Paese e di cooperare alla sua ricostruzione! Chi più di lui lo meritava? Mia cara Gina, addio. Ma il mio cuore è sempre con te.” (Calloni e Cedroni, 1997, p. 229-230).

Gina risponde poco dopo alle amiche con una lettera (inedita) da Ginevra: “Care Amelia e Maria! Ricevo il vostro telegramma che mi è di grande conforto. Voi sentite come e quanto ho pensato a voi in questi giorni. E quanto si era parlato di voi con Guglielmo nella speranza, nella fiducia che Guglielmo aveva grandissima di un prossimo ritorno. Lascio a Paola di scrivervi: io sono a letto tramortita dal dolore e da tutte le responsabilità che mi restano.”

La sorella di Gina, Paola Lombroso in Carrara (famosa scrittrice di libri per l’infanzia, col nome di zia Mariù), cercherà di sorreggere la sorella in questo momento drammatico, recandosi dall’Italia alla Svizzera. A pochi giorni dalla morte di Guglielmo, Paola si rivolge così ad Amelia e Maria con una missiva (inedita) da Ginevra:

“Immagino quanto tu, Maria e tutti gli amici di New York siate ansiosi di aver notizie della Gina. Come sempre al momento ha avuto una forza d’animo, un coraggio, una lucidità straordinaria perché si è trovata sola a Mont Pelerin e ha dovuto pensare a tutto […], ma adesso ha la reazione di questo sforzo inimmaginabile e il medico le ha ordinato un assoluto riposo che è ben difficile di

farle seguire in mezzo a questa valanga di lettere, telegrammi, a cui vuol rispondere, articoli, etc. Quest’attestazione mondiale di ammirazione, di rimpianto, di riconoscimento di Guglielmo è un gran conforto per lei e anche il pensiero che il colpo tremendo per lei sia stato benefico per lui che non ha sofferto – come vi dirà Nina – neppur un attimo – ed era in questi ultimi mesi ma soprattutto lì a Mont Pelerin in uno stato di euforia, di speranza fidente. […] Aveva potuto vedere la prima copia di Pouvoir (2) di cui era doppiamente fiero perché era la Nina che ne aveva ottenuta e curata la pubblicazione – e perché lo considerava come il suo testamento spirituale, una chiave per la pace futura.”

E Amelia risponde a Paola con una lettera da Larchmont dell’8 settembre 1942: “Amarissimo pensiero, che il grande caro amico nostro non possa un giorno avere l’immensa gioia dell’immancabile vittoria! Uguale a quello che tortura anche me pensando a Carlo e Nello... Ma probabilmente quel giorno non lo vedrò neppure io. Addio cara, volevo soltanto dirti quanto penso anche a te, e come ti voglio bene.” (Calloni e Cedroni, 1997, p. 231)

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