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2.1 – Il principio dell’osmosi

Il fenomeno dell’osmosi si riferisce al passaggio di un solvente, come l’acqua, attraverso una membrana che è molto più permeabile al solvente che al soluto. Il primo ad aver studiato tale fenomeno fu Nollet nel 1748 i cui esperimenti furono condotti usando acqua, alcol e una vescica animale come membrana [16].

Successivamente, nel 1877, Pfeffer creò una membrana di precipitazione nelle pareti di una tazza di porcellana facendo reagire i sali di rame con il ferrocianuro di potassio. L’uso di tale membrana portava alla separazione di una soluzione di saccarosio nella parte interna mentre l’acqua scorreva dall’esterno verso l’interno [17].

Se si considera un sistema in cui è presente una membrana semipermeabile che divide acqua (solvente puro) da acqua di mare (soluzione), tale da consentire il passaggio del solo solvente, si nota che l’acqua scorre naturalmente dal lato ad alto potenziale chimico (dove è presente solvente puro) a quello a basso potenziale chimico (la soluzione). L’aumento di volume di acqua nella sostanza a più basso potenziale chimico dà vita a una differenza di pressione idrodinamica detta differenza di pressione osmotica (∆π) [18] [19].

Figura 18: (a) condizione inziale, (b) l’equilibrio raggiunto dopo l’osmosi [16]

La pressione osmotica è definita come la pressione necessaria per fermare il flusso osmotico attraverso una barriera (rappresentata dalla membrana semipermeabile) che è impermeabile al soluto e, storicamente, viene indicata con il simbolo π. La pressione osmotica è una caratteristica propria di ogni soluzione e insieme all’abbassamento del punto di congelamento e l’innalzamento del punto di ebollizione è una delle proprietà colligative, vale a dire quelle proprietà fisiche di una soluzione che dipendono soltanto dal numero di particelle di soluto (quindi dalla sua concentrazione) e non dalle caratteristiche chimiche di quest’ultimo [18]. La causa all’origine del fenomeno dell’osmosi risiede nella differenza di

30 potenziale chimico del solvente che, in seguito alla presenza del soluto, è più basso nella soluzione. Di conseguenza, è favorita la diffusione delle molecole di solvente verso la soluzione fino a quando non è raggiunta l’uguaglianza dei potenziali chimici del solvente nelle due sezioni. In riferimento alla figura 18 consideriamo P1 e P2 che sono le pressioni che agiscono rispettivamente sulla soluzione (acqua di mare) e sul solvente (acqua pura), in questo caso la pressione osmotica è definita come ∆𝜋 = 𝑃1− 𝑃2. Il sistema risulta in equilibrio quando vi è l’uguaglianza del potenziale chimico della sostanza che permea cioè l’acqua (μ*). Per il solvente puro il potenziale chimico è μ*(P2) mentre per la soluzione, supposta ideale, il potenziale chimico del solvente è 𝜇(𝑃1) + 𝑅𝑇 ∙ 𝑙𝑛𝑥𝑤 dove con xw ci riferiamo alla frazione molare del solvente. All’equilibrio si ottiene:

𝜇(𝑃2) = 𝜇(𝑃1) + 𝑅𝑇 ∙ 𝑙𝑛𝑥𝑤 (1)

𝑅𝑇 ∙ 𝑙𝑛𝑥𝑤 = 𝜇(𝑃2) − 𝜇(𝑃1) = ∫ 𝑉𝑚𝑤𝑑𝑝

𝑃2 𝑃1

(2)

per l’ultimo passaggio nell’equazione (2) si è utilizzata la relazione tra il volume molare e l’energia libera del solvente. Considerando il volume molare costante si ottiene:

𝜋 = − 𝑅𝑇

𝑉𝑚𝑤∙ 𝑙𝑛𝑥𝑤 (3)

Se si considera che in una soluzione la somma delle frazioni molari di solvente e soluto è sempre pari ad uno (cioè 𝑥𝑤+ 𝑥𝑠 = 1 ⇒ 𝑥𝑤 = 1 − 𝑥𝑠) si ottiene:

sostituendo la definizione di frazione molare e considerando che per una soluzione diluita il numero di moli totali n è praticamente uguale al numero di moli del solvente (cioè ns<< nw) si può scrivere

31 L’equazione (7) è nota come legge di Van’t Hoff e correla la pressione osmotica con la concentrazione (espressa come molarità) del soluto nella soluzione [17] [18]. Se la sostanza disciolta è un elettrolita l’equazione (7) diventa:

𝜋 = 𝑖𝑅𝑇𝐶𝑠 (8)

dove R=0.0821 l∙atm/mol∙K, T è la temperatura assoluta della soluzione [K], Cs è la concentrazione molare [mol/l] e i è il coefficiente di Van’t Hoff che indica il numero di ioni in cui l’elettrolita è dissociato (per l’acqua di mare si considera i=2 sotto l’ipotesi che l’unico soluto disciolto sia NaCl). È importante sottolineare che la legge di Van’t Hoff è valida per soluzioni ideali diluite e riesce a descrivere l’andamento di soluzioni reali a bassissime concentrazioni per cui non può essere utilizzata nel caso dell’acqua di mare.

Per descrivere l’andamento della pressione osmotica dell’acqua di mare in funzione della salinità si può:

- Utilizzare l’equazione (9) che tiene conto dell’attività del solvente in soluzione (as) e del volume parziale molare del solvente in soluzione (𝑉̅) che può essere 𝑠 approssimato con il volume molare del solvente puro (V0) [20];

𝜋 = −𝑙𝑛(𝑎𝑠) ∙ 𝑅𝑇 𝑉̅𝑠

(9) - Utilizzare le proprietà dell’acqua di mare con una salinità fino al 12% disponibili

dalla curva ottenuta tramite dati sperimentali (che quindi è adatta per la maggior parte dei casi di interesse per la tecnologia di dissalazione)1 [21].

2.2 – Panoramica dei processi basati sull’osmosi

I principali processi osmotici disponibili sono: l’osmosi inversa (Reverse Osmosis, RO), l’osmosi ritardata da pressione (Pressure Retarded Osmosis, PRO) e l’osmosi avanzata detta anche osmosi diretta (Forward Osmosis, FO). Questa classificazione è fatta in relazione alla pressione idraulica applicata. Nel processo di osmosi diretta non è applicata alcuna pressione idraulica e la forza motrice viene creata sfruttando la differenza di concentrazione tra il feed (a bassa concentrazione di soluto o puro) e la draw solution (la soluzione concentrata). In questo modo si instaura il flusso naturale dell’acqua che procede nel verso della soluzione concentrata (draw) per diluirla ed equilibrare la differenza di pressione osmotica (∆π). Tale tecnologia è spesso utilizzata per eliminare l’acqua e concentrare prodotti alimentari come i succhi di frutta mantenendo inalterate le qualità fisiche. Contrariamente, i processi di RO e

1 Nel paragrafo 3.3 si eseguiranno i calcoli facendo riferimento a questa opzione.

32 PRO necessitano di una pressione idraulica applicata sul lato a più basso potenziale chimico (quindi la soluzione a più alta concentrazione) e, in relazione alla pressione applicata, si ottiene uno dei due processi.

Nell’osmosi inversa la pressione applicata deve essere maggiore di quella osmotica così da costringere l’acqua a fluire nel verso della soluzione meno concentrata. Nella PRO l’acqua procede nel verso della soluzione a più alta concentrazione di soluto ma necessita dell’applicazione di una pressione idraulica dal lato della soluzione concentrata. Proprio per il meccanismo che la caratterizza, il processo PRO può essere visto come una tecnologia intermedia tra FO e RO in quanto vi è l’applicazione di una pressione idraulica, come nell’osmosi inversa, ma il flusso di acqua procede dalla soluzione di alimentazione (feed, a bassa concentrazione) a quella più concentrata (draw) proprio come nell’osmosi diretta.

Le principali caratteristiche dei processi di FO, RO e PRO sono riportate in figura 19 [22]

[23].

Figura 19: Classificazione dei processi osmotici [23]

In prima approssimazione, l’equazione che descrive il trasporto dell’acqua nei processi è:

𝐽𝑤 = 𝐴(𝜎 ∙ ∆𝜋 − Δ𝑃) (10)

dove Jw rappresenta il flusso dell’acqua, A la permeabilità all’acqua della membrana, 𝜎 ∙ 𝜋 è l’effettiva differenza di pressione osmotica essendo σ il coefficiente di riflessione (è un parametro utilizzato per caratterizzare la membrana) e ΔP la pressione idraulica che sarà uguale a zero, maggiore della pressione osmotica e minore della pressione osmotica rispettivamente per i processi di FO, RO e PRO [22].

2.3 – L’osmosi diretta

L’osmosi diretta (FO) è una tecnologia che utilizza la differenza di pressione osmotica come forza motrice per guidare il trasporto dell’acqua attraverso una membrana semipermeabile dal lato a minore pressione osmotica (denominato lato feed) verso quello a più alta pressione osmotica (denominato lato draw, soluzione di aspirazione). La membrana usata nella FO può

33 avere un elevato rigetto (rejection) verso un’ampia gamma di soluti e contaminanti senza ricorrere alla pressione idraulica e, questo aspetto, la rende un’alternativa attraente rispetto ai convenzionali processi a membrana pressurizzata. In questo modo, infatti, il costo del sistema di pompaggio e degli altri accessori necessari per la membrana risulta molto più basso rispetto al processo di osmosi inversa. Un altro vantaggio risultante dall’impiego di tale processo è legato agli scarsi problemi di incrostazione; infatti, attraverso numerosi studi, è stato osservato che il fouling e le altre sfide collegate a questo fenomeno sono meno problematici rispetto al processo di RO: il fouling nel processo di FO è in genere fisicamente reversibile e dunque non è necessario ricorrere ai costosi metodi di pulizia chimica [24].

L’osmosi diretta viene utilizzata soprattutto nei processi di concentrazione che sono parte delle principali unità operative in molti settori industriali quali la trasformazione di alimenti o il settore farmaceutico. Questi processi possono essere condotti per via termica o tramite membrane.

Il primo tentativo di usare la FO per la concentrazione di alimenti liquidi ha avuto luogo nel 1966 ma è rimasto solo confidenziale; in seguito, negli anni ’90, con lo sviluppo di apposite membrane per questa tecnologia è stata avviata una ricerca più intensa. Gli studi hanno confermato il vantaggio dell’osmosi diretta rispetto ai processi termici poiché questa tecnologia non richiede un gradiente di temperatura (il processo di FO è anche chiamato

“concentrazione a freddo”) quindi permette di evitare la degradazione dei nutrienti contenuti nelle sostanze inziali, mantenendo il prodotto finale simile a quello fresco di partenza con costi energetici minimi. Proprio per questi vantaggi e per la conservazione delle proprietà nutrizionali il mercato sta ampliando sempre di più la linea dei prodotti ottenuti sfruttando questa tecnologia (caffè, latte, succhi e spremute concentrati) [25].

2.4 – L’osmosi inversa (RO)

L’osmosi inversa è un processo di filtrazione a membrana per la rimozione di un solvente da una soluzione (lasciando dietro una soluzione concentrata). Essa si ottiene esercitando sul lato che contiene una soluzione ad alta concentrazione una pressione maggiore della pressione osmotica costringendo così l’acqua a muoversi attraverso la membrana semipermeabile nella direzione inversa all’osmosi [2], [26]. Quindi da un lato della membrana si ottiene acqua purificata o demineralizzata mentre nell’altro i solidi sono concentrati o disidratati. A causa della resistenza opposta dalla membrana le pressioni da esercitare sono significativamente superiori rispetto alla pressione osmotica. L’osmosi

34 inversa può essere utilizzata per dissalare l’acqua ma anche per concentrare e recuperare i solidi disciolti nell’acqua di alimentazione (disidratazione) [26].

Si può affermare che la storia di questo processo e intimamente connessa con lo sviluppo delle membrane che sostanzialmente sono il cuore della tecnologia ad osmosi inversa. Le prime documentazioni registrate di membrane semipermeabili risalgono al 1748 quando Abbe Nollet osservò il fenomeno dell’osmosi e al 1850 con Pfeffer e Traube che studiarono i fenomeni osmotici usando membrane ceramiche. Tuttavia, la forma corrente di questa tecnologia risale al 1940 quando il dottor Gerald Hossler della University of California a Los Angeles (UCLA) iniziò l’indagine sulle proprietà osmotiche del cellophane pensando, erroneamente, che l’osmosi avvenisse tramite evaporazione su una superficie della membrana e successiva condensazione sulla superficie opposta. Nel 1959 Reid e Breton dimostrarono le capacità di dissalazione della membrana di acetato di cellulosa che dimostrò un fattore di reiezione superiore al 96 % anche con pressioni fino a 400 psi.

Lo sviluppo commerciale della RO si ebbe grazie allo sviluppo della prima membrana asimmetrica in acetato di cellulosa che riuscì a migliorare il flusso ottenendo valori anche di dieci volte superiori rispetto a quelli ottenibili con membrane costruite con i materiali disponibili fino ad allora.

Le membrane di acetato di cellulosa e poliammide aromatica lineare furono lo standard industriale fino al 1972 quando John Cadotte creò la prima membrana in poliammide composto che presentava una maggiore capacità produttiva operando ad una pressione di esercizio inferiore. A partire dagli anni ’70, l’industria delle membrane si è concentrata sullo sviluppo di membrane che presentano un rifiuto sempre maggiore dei soluti e che abbiano allo stesso tempo una maggiore capacità di produzione (flusso maggiore) lavorando a pressioni di esercizio più basse [26].

Per le operazioni a membrana è possibile operare la filtrazione tramite due differenti configurazioni:

- Dead-end;

- Cross-flow.

Il primo tipo di configurazione è rappresentato in figura 20.

35

Figura 20: Rappresentazione Dead-end filtration [26]

La filtrazione Dead-end (a fondo morto) coinvolge tutta l’acqua di alimentazione che passa attraverso la membrana, lasciando i solidi sulla stessa. Da un unico flusso in entrata si ottiene un unico flusso in uscita; questo tipo di filtrazione è un processo batch: i solidi si accumulano sulla membrana tanto da ostruire il passaggio del feed e rendere quindi necessaria la pulizia o la sostituzione della medesima.

Nella filtrazione cross-flow (a flusso incrociato), in figura 21, l’alimentazione passa tangenzialmente sopra la superficie della membrana piuttosto che perpendicolarmente ad essa (come accadeva nella dead-end). In questo modo l’acqua e alcuni solidi passano attraverso la membrana mentre la maggior parte rimane bloccata. Perciò, in questo caso, si ha un flusso in entrata ma due flussi in uscita (rispettivamente il permeato e il concentrato/retentato).

Figura 21: Rappresentazione Cross-flow filtration [26]

Essendo il flusso tangenziale, in questa configurazione si riescono a minimizzare i problemi di sporcamento e incrostazione della membrana. In teoria questo tipo di filtrazione è un’operazione continua grazie all’azione di sfregamento a opera del flusso stesso ma, in pratica, l’azione del flusso tangenziale non è sempre sufficiente quindi periodicamente la membrana dovrà essere pulita per rimuovere il materiale accumulato in superficie e, eventualmente, sostituita [26].

La figura 22 è uno schema a blocchi semplificato che mostra il processo ad osmosi inversa in cui si utilizza una configurazione cross-flow.

36

Figura 22: schema processo osmosi inversa

La linea diagonale all’interno del rettangolo rappresenta la membrana, la soluzione che vi passa attraverso è il permeato o prodotto mentre quella trattenuta è detta concentrato, retentato o salamoia (brine).

Prendendo in riferimento l’applicazione del processo di RO alla dissalazione, la performance di tale tecnologia è definita in termini di una serie di variabili che comprendono:

- la pressione osmotica e di esercizio;

- il fattore di reiezione dei sali (Rejection Factor, RF);

- il recupero del permeato (% Recupero).

La pressione osmotica è stata precedentemente analizzata nel paragrafo 2.1.

Il fattore di reiezione è utilizzato per descrivere la percentuale di soluto contenuta nella soluzione in entrata (feed) che è trattenuto dalla membrana. Ad esempio, un RF = 98% indica che la membrana è in grado di trattenere il 98% della specie contenuta nel feed mentre il 2%

passa attraverso la membrana e si ritrova nel permeato.

%𝑅𝐹 = (𝑥𝑓− 𝑥𝑝

𝑥𝑓 ) ∙ 100 (11)

Dove xf = concentrazione di soluto nel feed, xp = concentrazione di soluto nel permeato Questo fattore è una proprietà specifica della membrana, del tipo di feed impiegato e varia in relazione alle seguenti caratteristiche:

- grado di dissociazione: maggiore è il grado di dissociazione e maggiore sarà il valore del RF;

- peso molecolare: maggiore è il peso molecolare e maggiore è % RF;

- polarità: maggiore è la polarità e inferiore % RF;

- grado di idratazione: maggiore il grado di idratazione e maggiore la % RF.

Il recupero del permeato è un altro parametro importante per la caratterizzazione e la progettazione dei sistemi di osmosi inversa. Esso a volte è indicato anche come

“conversione” e viene utilizzato per descrivere, in percentuale, il volume dell’acqua che entra come alimentazione ed è recuperata come permeato.

37 In generale, il fattore di recupero è calcolato tramite l’utilizzo della seguente equazione:

%𝑅𝑒𝑐𝑢𝑝𝑒𝑟𝑜 =𝑄𝑝

𝑄𝑓∙ 100 (12)

Dove Qp e Qf indicano rispettivamente la portata di permeato e quella di feed.

Il fattore di recupero influenza il passaggio del sale e la qualità del prodotto finale: un recupero più elevato comporta la necessità di smaltire meno acqua di scarto ma ciò si traduce in un permeato, e quindi un prodotto finale, di minore purezza. Il fattore di recupero per le membrane impiegate nella dissalazione dell’acqua di mare tramite RO nel corso degli anni è aumentato dal 10-20% all’attuale 50% [5], [26].

2.5 – Le membrane impiegate per l’osmosi inversa

Una membrana impiegata per il processo di osmosi inversa deve essere ampiamente permeabile all’acqua, il più possibile impermeabile ai soluti e in grado di sopportare elevate pressioni di esercizio.

La microstruttura di una membrana è quindi un elemento critico che ha una grande influenza sulla buona riuscita dell’intero processo. Comunemente le membrane sono classificate in base alla loro morfologia (figura 23) in membrane polimeriche omogenee dense, membrane porose e membrane composite a film sottile costituite da uno strato superficiale denso su di una struttura porosa composta da un materiale diverso. Quest’ultimo tipo di membrane è molto usato nella dissalazione a osmosi inversa dell’acqua di mare e salmastra.

Figura 23: Schema morfologia membrane [1]

Le membrane porose possono essere simmetriche o asimmetriche, le prime possono avere pori spugnosi (sponge like) mentre le seconde presentano un sottile strato di pelle denso, con o senza pori, poggiato su un sottostrato poroso in modo da offrire una bassa resistenza al trasporto attraverso la membrana. Le membrane sono ottenute per sintetizzazione e, più comunemente, per inversione di fase.

Per la tecnica dell’inversione di fase si impiegano polimeri che sono solubili, a una temperatura specifica, in un solvente appropriato e che possono essere precipitati in una fase

38 continua cambiando la temperatura e/o la composizione del sistema così da ottenere un gap di miscibilità nel sistema per una data temperatura e composizione.

In questo modo si ottiene la formazione di due diverse fasi: quella solida che forma la struttura polimerica e quella liquida che genera i pori della membrana. La formazione di una membrana polimerica mediante inversione di fase è un processo complesso che dipende da un gran numero di parametri come il tipo e la concentrazione di polimero utilizzato, il tipo di solvente, etc. Questi fattori determinano se la membrana diventerà densa o porosa, simmetrica o asimmetrica, se presenterà macro-vuoti o no e altri aspetti riguardanti la sua morfologia [1].

I polimeri comunemente usati per la produzione di membrane di osmosi inversa sono acetato di cellulosa (CA) e poliammide aromatica (PA) [1].

Le membrane in acetato di cellulosa furono le prime ad essere testate con successo negli anni

’50. Queste sono asimmetriche e sono composte da un sottile strato superficiale denso (tra 0.2 e 0.5 mm) il cui compito è impedire il passaggio del soluto e una struttura porosa spessa che fornisce resistenza strutturale. Tali membrane sono prodotte sotto forma di fogli o fibre cave (hollow fiber), sono economiche ma soffrono di diverse limitazioni: la loro struttura asimmetrica le rende suscettibili a compattazione sotto alte pressioni di esercizio specialmente a temperature elevate. Il fenomeno di compattazione si verifica quando il sottile strato denso della membrana si ispessisce fondendosi con la sottostruttura porosa, con conseguente riduzione del flusso di prodotto. Le membrane in acetato di cellulosa sono suscettibili a idrolisi, possono essere utilizzate per valori di pH tra 3-5 e 6-8 e subiscono la degradazione a temperature superiori a 35°C. Inoltre, hanno un’elevata permeabilità all’acqua ma non respingono bene i contaminanti a basso peso molecolare.

Le membrane aromatiche in poliammide sono state sviluppate per la prima volta da DuPunt secondo una configurazione a fibra cava. Anche queste hanno una struttura asimmetrica ma presentano una migliore resistenza all’idrolisi rispetto alle precedenti e possono resistere a temperature più elevate. Tuttavia, sono soggette a compattazioni ad alte pressioni e il loro principale svantaggio è che subiscono degradazione da parte degli ossidanti come il cloro libero [2].

Un'altra categoria di membrane che trova vasto impiego è quella delle membrane composite a film sottile (TFC) che sono costituite da uno strato ultrasottile (solitamente di poliammide) che viene polimerizzato o reticolato su un supporto poroso asimmetrico. Il flusso d’acqua e le caratteristiche di rifiuto del soluto dipendono principalmente dallo spessore dello strato superficiale (tipicamente varia da 0.001 a 0.1 mm) [1], [2].

39 Negli impianti di dissalazione ad osmosi inversa le configurazioni tipiche per i moduli a membrana sono l’hollow-fiber (fibra cava) e spiral-wound (spirale avvolta) e la scelta di un tipo di modulo è determinata dalle condizioni economiche ed operative, in particolar modo assume importanza la possibilità di controllare efficacemente la concentrazione di polarizzazione e le incrostazioni della membrana.

Nella configurazione spiral-wound più fogli di membrana sono avvolti attorno ad un tubo di plastica centrale. Questo tubo è forato per permettere di raccogliere il permeato proveniente dall’assemblaggio a fogli multipli. Un tipico modulo spiral-wound è rappresentato in figura 24:

Figura 24: Rappresentazione schematica del modulo spiral-wound [1]

L’acqua di alimentazione da trattare entra da un’estremità del cilindro, parte di questa (il permeato) permea attraverso la membrana fino a raggiungere il tubo collettore centrale mentre la salamoia rimanente (il concentrato) scorre fino alla fine del modulo. Ciascun modulo è contenuto all’interno di un recipiente in pressione costituito da un condotto cilindrico per alloggiare i moduli ed un impianto idraulico per collegare i moduli tra loro. In questa configurazione il fattore di recupero è una funzione della lunghezza del percorso feed-salamoia e, al fine di operare recuperi accettabili, si collegano più moduli in serie: il flusso di salamoia del primo elemento diventa il feed nel successivo e, nell’ultimo elemento, si recupererà il permeato (come permeato comune) e la salamoia (che andrà smaltita).

Combinando da quattro a sei elementi di membrana in serie in un unico recipiente in pressione si ottiene una %Recupero fino al 50%. Questi moduli presentano una buona densità di imballaggio (packing density) ma la loro pulizia è difficile e, in aggiunta, durante l’uso è necessario prendere precauzioni (come il controllo della temperatura di esercizio o del tipo di solventi usati) per salvaguardare la colla utilizzata per sigillare i moduli. Il tipico modulo spiral-wound è realizzato con membrane in CA o TFC, ha una lunghezza di circa

40 100-150 cm, un diametro di 10-20 cm con un valore di packing density di circa 300 m2/m3 e consente di utilizzare una portata di alimentazione elevata riducendo i fenomeni di sporcamento (fouling) e di polarizzazione [1], [5].

Le membrane hollow-fiber in figura 25 sono costituite da tubicini caratterizzati da un diametro molto piccolo assimilabili alla dimensione di un capello umano.

Le membrane hollow-fiber in figura 25 sono costituite da tubicini caratterizzati da un diametro molto piccolo assimilabili alla dimensione di un capello umano.

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