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L‘originale lettura del pensiero di Hume da parte di Holmes punta in una direzione compatibile rispetto a quella indicata nel capitolo II: il processo di riduzione dell‘interesse non segue il ritmo del processo di universalizzazione. O più precisamente: la riduzione dell‘interesse al self-interest, e la sua neutralizzazione/valorizzazione non implica ancora la piena riduzione dell‘agire umano all‘attività calcolatrice del futuro homo oeconomicus. Tuttavia, a fronte di questa impossibile riduzione emerge un elemento che poi sarà cruciale nei successivi dibattiti: l‘idea secondo la quale nessuno conosce i propri interessi meglio di se stesso. È un‘idea che avrà conseguenze cruciali. Innanzitutto, se nessuno conosce i propri interessi meglio di se stesso, allora nessuno ha più il diritto – sociale ed epistemologico – di giudicare gli interessi degli altri. O quantomeno, tale giudizio implica una forte limitazione dell‘ambito di questa valutazione. Si possono giudicare i mezzi attraverso i quali tali interessi vengono realizzati, oppure le conseguenze che tale realizzazione implica a livello degli interessi degli altri – la celebre espressione ―la mia libertà finisce dove inizia quella degli altri‖. Tuttavia, l‘ultima parola spetta all‘individuo. L‘esternalismo che abbiamo visto in azione in un autore come Rohan lascia così spazio a una visione tipicamente introspezionista, secondo la definizione di Rowlands (2003): ogni individuo ha un accesso privilegiato, se non addirittura trasparente, ai propri interessi. Valutare gli interessi degli altri rappresenta una mossa non solo paternalista – ―io conosco i tuoi interessi meglio di quanto tu non li conosca‖ – ma errata dal punto di vista epistemologico. La riduzione dell‘interesse al self-interest sembra così declinarsi attraverso una relazione epistemologica privilegiata che l‘individuo intrattiene con se stesso.

Come spesso accade nella storia, questa tendenza si realizza in modalità molteplici e attraverso molteplici sfumature. L‘imponente lavoro di Gunn sul pensiero politico nell‘Inghilterra del ‗600, mostra come l‘idea secondo la quale gli individui siano capaci di giudicare correttamente i propri interessi svolga una funzione di deterrenza nei confronti delle pretese assolutistiche della monarchia: ―int‘rest never lies, The most still have their int‘rest in their eyes, The pow‘r is always theirs, and pow‘r is ever wise‖, recita un poema satirico del 1682, attraverso il quale il poeta di corte John Dryden ironizza sulle pretese democratiche degli Whigs (in Gunn 1968: 560). Si tratta di

100 una rivendicazione di natura politica, che indica una potenzialità – gli uomini possono conoscere i propri interessi, e spesso li conoscono veramente – piuttosto che un dato assiomatico.86

Questa potenzialità trova una formulazione più attualistica nel pensiero di Smith. Smith sembra infatti sostenere esplicitamente l‘idea secondo la quale nessuno conosce i propri interessi meglio di se stesso. Tuttavia, questo primato non deriva da premesse di natura introspezionista. L‘individuo conosce i propri interessi perché è in contatto diretto e continuo con le proprie attività, con il commercio, con le relazioni con gli altri, più di quanto non lo siano gli altri. Si tratta di primato non epistemologico, quanto piuttosto pragmatico:

The interest of the corn merchant makes him study to do this as exactly as he can; and as no other person can have either the same interest, or the same knowledge, or the same abilities, to do it so exactly as he, this most important operation of commerce ought to be trusted entirely to him. (Smith 1776: 906)

L‘individuo conosce il proprio interesse meglio degli altri, perché è continuamente a contatto con le attività che presiedono alla sua realizzazione. Si tratta dunque in primis di un primato pragmatico, piuttosto che di un‘assunzione epistemologica assiomatica. Inoltre, come abbiamo già notato in questa sezione, si tratta di un primato che riguarda un determinato settore della società – gli imprenditori, gli unici che possano avere una rappresentazione chiara dei propri interessi – piuttosto che l‘individuo in astratto.

È dunque possibile giungere alle seguenti conclusioni. I quattro capitoli hanno messo in luce l‘esistenza di quattro tendenze all‘interno della storia moderna dell‘interesse. Possiamo chiamare queste quattro tendenze universalizzazione, riduzione, neutralizzazione, razionalizzazione. Alle quattro tendenze corrispondono altrettanti problemi, formulabili sotto forma delle seguenti domande fondamentali: 1) l‘interesse è universale? 2) L‘interesse può essere ridotto all‘interesse proprio in senso puramente economico? 3) L‘interesse è pericoloso? 4) L‘interesse può essere valutato? Le analisi condotte nel capitolo 1 mostrano come la prima domanda sia l‘unica che riceve una risposta pressoché univoca: a partire dal secolo XVI diventa sempre più raro trovare autori che esplicitamente sostengano una concezione particolarista, classista dell‘interesse. L‘interesse diventa sempre più una componente universale dell‘agire umano. Questa universalità può essere fondata su base antropologica – l‘essere umano è costitutivamente interessato – oppure su base storica – la centralità dell‘interesse viene intesa come una prerogativa delle società moderne. Come spesso accade nella storia, una forte tendenza può suscitare una controtendenza altrettanto significativa. È

86 Come nota Gunn, questa enfasi sistematica può essere rinvenuta negli autori successivi che hanno ripreso alcuni temi secenteschi, ad esempio rivalutando l‘azione dei levellers:‖each individual, guided by dependable instinct, has a more exact knowledge than anyone else as to what will best advance his material interests‖ (Poe 1956:213, in Gunn 1968).

101 il caso dei teorici del disinteresse, schiera alla quale appartengono Fénelon, Shaftesbury e, in modo meno lineare, Kant.

Il capitolo 2 ha mostrato come sorti differenti siano toccate alla dinamica della riduzione. Se il self-

interest svolge un ruolo sempre più importante nella spiegazione dell‘agire umano, è allo stesso

tempo impossibile trovare nella sua forma più pura e più sistematica la formula secondo la quale l‘interesse non è altro che interesse proprio puramente economico. Le formulazioni più radicali di tale principio mancano infatti di sistematicità. È il caso degli esempi tratti dagli autori politici italiani tra ‗500 e ‗600, dove la riduzione ha luogo attraverso una dissimulazione e un misconoscimento degli interessi di onore. Poiché gli interessi di onore richiedono al fine del loro stesso funzionamento il fatto di essere misconosciuti in quanto tali, la roba e il vantaggio economico esauriscono in modo illusorio l‘ambito semantico dell‘interesse. In modo complementare, le formulazioni più sistematiche non conducono a una riduzione totale. È il caso di Adam Smith, in cui il principio del self-interest, oltre ad essere mitigato dall‘interno dall‘azione della simpatia, include la necessità non immediatamente economica di essere riconosciuti, stimati e benvoluti dagli altri.

Nel capitolo 3 è stata analizzata la tendenza alla neutralizzazione degli interessi. Gli interessi particolari, che allo sguardo cinquecentesco di Guicciardini apparivano tanto controversi quanto inaggirabili, appariranno come ambivalenti, se non addirittura neutrali, dal punto di vista secentesco di La Rochefoucauld. Essi possono essere incolpati delle nostre azioni più discutibili, e allo stesso tempo lodati per le nostre azioni più nobili. Questa neutralizzazione assume la forma di una rivalutazione positiva in Smith. Dal punto di vista del pensatore scozzese non solo gli interessi perdono il loro carattere pericoloso. Inoltre, il loro libero perseguimento all‘interno del ―sistema della libertà naturale‖ rappresenta la via privilegiata verso la realizzazione dell‘interesse generale. Eppure tanto in Smith quanto in Helvétius permane un fondo di pericolosità dell‘interesse, che riguarda l‘attività egemonica dei gruppi particolari che tendono a rappresentare il loro proprio interesse come interesse della società intera.

Infine, nel capitolo 4 è stata esaminata la questione della valutazione degli interessi. In questo caso risulta più difficile parlare di una macrotendenza egemonica. L‘idea secondo la quale la valutazione degli interessi gioca un ruolo cruciale tanto a livello della vita dello stato (Guicciardini, Rohan) quanto a livello delle relazioni sociali (Smith) convive con una corrente contraria, che invece tende a preservare il carattere oscuro e in fin dei conti imperscrutabile dell‘interesse (La Rochefoucauld e la corrente giansenista).

In conclusione, la complessità della storia moderna dell‘interesse non coincide con uno sviluppo puramente caotico. Esistono tendenze, più o meno chiare, più o meno realizzate sino alle loro

102 estreme conseguenze, che tendono a privilegiare alcune accezioni del termine e a sottolineare l‘importanza di alcune problematiche. Questa complessità rischia di sfuggire se osserviamo queste dinamiche attraverso delle lenti troppo tarate su periodi storici successivi, all‘interno dei quali tali tendenze si sono realizzate in modo più profondo e più evidente.

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Cap. 6. Intermezzo. Le quattro tendenze intese come quattro

domande fondamentali

La discussione della sezione precedente è stata costruita intorno attorno a due tendenze – universalizzazione e riduzione – e a due problemi fondamentali – pericolosità degli interessi e possibilità di una loro valutazione. Queste due tendenze e questi due problemi possono essere trasposti nella forma di quattro domande fondamentali:

1) L‘interesse è una componente universale dell‘agire umano? 2) L‘interesse può essere ridotto al self-interest?

3) Gli interessi sono pericolosi?

4) Gli interessi possono essere valutati?

Nelle sezione precedente abbiamo impiegato queste domande come bussola nelle dinamiche complesse e variegate del concetto di interesse tra ‗500 e ‗700. In tal modo è stato possibile collegare in modo critico le varie articolazioni concettuali dell‘interesse tra luoghi, discipline e contesti sociali differenti, mostrando come esse abbiano condiviso problematiche e discussioni analoghe. Inoltre le quattro domande possono essere impiegate non solo al fine di orientare la ricostruzione delle vicende complesse della storia dell‘interesse, ma allo scopo di ricollegare la storia del concetto fino al ‗700 alle discussioni dei secoli successivi. Le quattro domande possono aiutare a declinare la questione : ―che ne é del concetto di interesse a partire dall‘800?‖ - vale a dire una questione sterminata, che non possiamo discutere in questa sede vista la sua portata e la sua complessità – nel seguente interrogativo: ―in che modo a partire dall‘800 si risponde alle quattro domande?‖. Ciò permette di perseguire la linearità della discussione, trovando un filo conduttore in una discussione altrimenti sterminata e potenzialmente caotica.

In primo luogo, notiamo come proprio a partire dall‘800 la convergenza tra le prime due tendenze, ancora incompiuta in termini sistematici nel ‗700, trovi una sua piena realizzazione. In questo periodo viene affermata l‘universalità di un interesse proprio inteso in termini strettamente

104 economici. Il luogo classico e paradigmatico di questa convergenza è il Manifesto del Partito

Comunista di Marx ed Engels, in particolare il seguente passaggio:

Dove è giunta al potere, la borghesia ha distrutto tutti i rapporti feudali, patriarcali, idilliaci. Essa ha lacerato spietatamente tutti i variopinti legami feudali che stringevano l‘uomo al suo superiore naturale, e non ha lasciato tra uomo e uomo altro legame che il nudo interesse, il freddo ―pagamento in contanti‖. Ha annegato nell‘acqua gelida del calcolo egoistico i santi fremiti dell‘esaltazione religiosa, dell‘entusiasmo cavalleresco, della malinconica ristrettezza provinciale. Ha dissolto la dignità personale nel valore di scambio; e in luogo delle innumerevoli libertà faticosamente conquistate oppure accordate, ha posto come unica libertà quella di un commercio privo di scrupoli. In una parola, in luogo dello sfruttamento velato da illusioni religiose e politiche, ha introdotto lo sfruttamento aperto, spudorato, diretto e arido.

La borghesia ha spogliato della loro aureola tutte le attività fino ad allora guardate con rispetto e pia soggezione. Ha trasformato il medico, il giurista, il prete, il poeta, lo scienziato in suoi operai salariati. La borghesia ha strappato il tenero velo sentimentale ai rapporti familiari, riducendoli a un semplice rapporto di denaro. (Marx-Engels 1848 [1973]: 8-9)

Nel testo del 1848 emergono delle risposte molto chiare alle quattro domande. L‘interesse è universale si è esteso a ogni ambito dell‘agire sociale, dalla religione, alla cavalleria, sino alla vita delle piccole comunità. Dunque siamo di fronte a un‘universalizzazione di tipo storico, e non di tipo antropologico. L‘interesse è interesse economico, ―nudo interesse‖, il ―freddo pagamento in contanti‖. L‘interesse è pericoloso, distruttivo, seppure si configuri come il prodotto di uno sviluppo storico necessario che va superato, e non rimosso o rinnegato. Infine, per quanto riguarda la valutazione, essa può essere pensata in due modi in rapporto all‘universalizzazione del ―nudo interesse‖: in quanto ―calcolo egoistico‖ sottomesso al perseguimento dell‘interesse economico; in quanto Entlarvung, come smascheramento della presenza dell‘interesse nella sua forma più brutale e materiale dietro alle forme di comportamento apparentemente più nobili e disinteressate. In nessuno dei due casi la valutazione ha il potere di conciliare lo scontro tra interessi, escogitando delle forme stabili di compromesso o di integrazione tra interessi privati e interesse comune della società. Esattamente all‘interno della tradizione marxista, emergerà una visione più complessa dell‘interesse, che contesterà apertamente le interpretazioni più riduzioniste dell‘interesse (domanda 2). È il caso di Antonio Gramsci, la cui teoria dell‘egemonia costituirà una prospettiva divergente rispetto alle versioni dell‘―economismo‖.

Quasi in contemporanea con Marx, Tocqueville partirà da una considerazione del tutto diversa dei processi di valutazione per rispondere alle problematiche poste dalla convergenza dei processi di universalizzazione e di riduzione. Nelle sue analisi della democrazia americana Tocqueville riconosce esplicitamente il ruolo predominante svolto dall‘interesse proprio nelle dinamiche sociali che caratterizzano la società statunitense. Una società in cui questo primato non solo non viene mascherato o ideologicamente camuffato, ma addirittura viene affermato orgogliosamente, talvolta

105 a discapito del permanere di comportamenti ―disinteressati‖. Una società all‘interno della quale l‘interesse è apertamente perseguito, senza camuffamenti e senza inganni. Siamo di fronte a un caso di universalizzazione di tipo storico-sociale, dove tuttavia il passaggio da aristocrazia a borghesia, da vecchia Europa ai nuovi Stati Uniti d‘America non consiste nel passaggio da una società interessata a una società disinteressata, quanto piuttosto in un processo di disvelamento. Ciò che colpisce Tocqueville non è dunque l‘universalizzazione in sé, quanto piuttosto il fatto che essa divenga palese, a tratti ostentata.

Un altro elemento che suscita l‘attenzione di Tocqueville è il fatto che questa universalizzazione e riduzione progressiva dell‘interesse al self-interest, legittimata dall‘idea secondo la quale ognuno è il migliore e unico giudice del proprio interesse particolare (1840 [1968]: 84-85), non conduca al caos e all‘anarchia – ossia, che nel caso degli Stati Uniti essa non sia pericolosa (domanda 3). La risposta a questo dilemma proviene dalla risposta alla domanda 4: gli interessi non sono pericolosi per l‘ordine sociale, anzi sono profondamente connessi ad esso e al perseguimento dell‘interesse comune, nella misura in cui si tratta di interessi bene intesi. L‘interesse bene inteso è quell‘interesse che, analogamente a quanto accade in Smith, spinge l‘individuo a riconoscere l‘importanza dell‘azione virtuosa non in base a una sottomissione all‘interesse, ma esattamente a completamento e ai fini dello sviluppo del proprio interesse personale. Ma se il perseguimento ragionevole dell‘interesse proprio non conduce alla dissoluzione violenta dell‘interesse comune, allo stesso tempo questa tendenza tipica della società americana rischia di mettere a repentaglio la dimensione della partecipazione comunitaria attraverso una via più subdola: la via del disinteresse, già considerata ―pericolosa‖ da Botero alla fine del secolo XVI.

La questione della pericolosità degli interessi e della loro compatibilità con l‘ordine sociale diventerà uno dei problemi cardine della nascente disciplina sociologica, al cui interno emergerà una posizione scettica a tal riguardo. I termini risulteranno esattamente opposti rispetto a quelli rinvenuti in Smith e – in una tinta più scettica – in Tocqueville. Anche in una situazione ideale all‘interno della quale gli interessi siano perfettamente intesi dagli individui, la semplice relazione spontanea tra interessi non è in grado di fornire basi stabili all‘ordine sociale. Ma poiché l‘ordine sociale è un dato di fatto innegabile, questo significa che vi è qualcosa al di sopra degli interessi, ossia i valori, i fini ultimi perseguiti all‘interno di una società. Una simile posizione – scettica nel potere della valutazione razionale (domanda 4) ai fini di disinnescare il pericolo disintegrativo degli interessi (domanda 3) – verrà sistematizzata da Talcott Parsons nel suo lavoro miliare del 1937 The

Structure of Social Action. Sulla scorta di Durkheim, Parsons sottolineerà la valenza normativa

106 di fini ultimi condivisi, che possano proteggerlo dal ―bombardamento degli interessi‖ (Parsons 1937: 402) caratteristico delle società moderne.

Lo scetticismo nei confronti della possibilità di riformulare e riorganizzare i fini a mezzo della valutazione accomuna Parsons a Frank Knight. Knight è un economista, come Parsons è un lettore attento e traduttore in lingua inglese di Max Weber, e come Parsons ritiene che la dimensione degli interessi sia in qualche misura impermeabile all‘attività valutativa. Da questa concordanza Knight deriva conseguenze incompatibili rispetto all‘impianto parsonsiano: l‘unica ―valutazione‖ ammessa nel regno degli interessi e dell‘agire economico è il calcolo mezzi-fini. Per il resto, la valutazione è impotente di fronte alla ridefinizione degli interessi, intesi come fini immediatamente soggettivi. Sotto questo aspetto Knight ispirerà gli esponenti della Scuola di Chicago, e la loro ricostruzione del paradigma dell‘homo oeconomicus.

In polemica con i tentativi di ridurre l‘interesse a puro interesse economico (domanda 2) e con l‘illusione di immaginare ambiti dell‘agire umano che siano in linea di principio disinteressati (domanda 1), la nozione di interesse verrà assunta a scopi programmatici da Pierre Bourdieu. Bourdieu penserà la molteplicità degli interessi in rapporto speculare rispetto alla molteplicità dei campi sociali. Inoltre, sottolineerà il carattere impulsivo, pulsionale e prelogico dell‘agire interessato, costituendo in tal senso un potenziale terminale contemporaneo della linea che collega i giansenisti a Freud, e il padre della psicoanalisi alla sociologia bourdiesiana. (Heilbron 1998). In rottura rispetto alla concezione dell‘interesse come visibile, pubblico, trasparente, Bourdieu mette in luce l‘aspetto oscuro e pre-razionale dell‘interesse (domanda 4).

Gli autori citati in questa breve rassegna occupano un posto chiaro e riconosciuto all‘interno della storia dell‘interesse (Swedberg 2005). Lo stesso non vale per John Dewey, oggetto sinora di una doppia rimozione. Una prima rimozione riguarda la sua assenza dalle ricostruzioni storiche e dalle discussioni concettuali aventi ad oggetto il concetto di interesse. Una seconda rimozione riguarda invece la letteratura secondaria dedicata a tale autore, all‘interno della quale il concetto di interesse non ha mai rappresentato oggetto specifico di attenzione – fatta accezione, come vedremo, per la teoria pedagogica.

In questa tesi si sosterrà che Dewey merita l‘appellativo di teorico dell‘interesse per almeno due motivi. In primo luogo, per il ruolo centrale e continuo che il riferimento all‘interesse svolge nell‘intero arco della sua produzione teorica, dalla pedagogia alla filosofia morale, dalla psicologia alla teoria socio-politica. In secondo luogo, in virtù del fatto che la teoria deweyana offre delle risposte originali alle quattro domande sopra definite. Affermando l‘universalità degli interessi, l‘impossibilità di ridurre l‘interesse al self-interest, la natura potenzialmente – ma non necessariamente – pericolosa degli interessi e infine il ruolo centrale della valutazione, Dewey

107 delinea pur in forma non sistematica i tratti di una teoria dell‘interesse originale e irriducibile alle concezioni più note e citate nel dibattito – da quella marxista a quella liberale, da quella parsonsiana a quella freudiano-bourdiesiana.

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Sezione II. La teoria deweyana dell‟interesse.

Il concetto di interesse non è mai stato oggetto specifico e sistematico della letteratura secondaria dedicata al pensiero di John Dewey. Vi sono solamente due tipi di eccezione che suppliscono parzialmente a questa mancanza. In primo luogo, il concetto di interesse è stato oggetto specifico di contributi di letteratura secondaria focalizzati sulla dimensione pedagogica del pensiero deweyano (Jonas 2011; Pennacchini 2015; Wilson 2016).87 In secondo luogo, alcuni importanti contributi apparsi negli scorsi anni (su tutti Midtgarden 2012; Frega 2015) in rapporto alla filosofia sociale e politica di Dewey hanno sottolineato alcuni aspetti della concezione deweyana dell‘interesse in tale ambito, pur senza assumere tale concetto come centro delle proprie analisi. Ciò che manca ad ogni modo nella letteratura secondaria dedicata a Dewey è una ricostruzione complessiva del concetto di interesse in Dewey. Ricostruzione, poiché i numerosi riferimenti e le numerose definizione del termine rinvenibili all‘interno dell‘opera deweyana non rappresentano mai l‘oggetto di una trattazione sistematica.

Questa opera interpretativa di ricostruzione incontra una difficoltà. Dewey impiega il concetto di

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