Le manifestazioni odierne del federalismo dell’immigrazione, nel- l’area della cittadinanza territoriale, si caratterizzano in tutte le espe- rienze considerate ‒ e ciò a prescindere dalla natura devolutiva o aggre- gativa dei loro processi federativi – come dato nuovo, evolutivo dell’as-
232 Cfr. art. 6, c. 1, 3°,12 che assegna alle Regioni: «l’occupation des travailleurs
étrangers, à l’exception des normes relatives au permis de travail délivré en fonction de la situation particulière de séjour des personnes concernées et aux dispenses de cartes professionnelles liées à la situation particulière de séjour des personnes concernées». L’eccezione cui si riferisce la norma riguarda categorie come gli studenti e richiedenti asilo in relazione ai quali la competenza permane federale.
233 Si veda, ad esempio, il decreto della Regione Vallonia 28.4.2016 e quello della
setto consolidato e che si pone, si è già osservato, in via per così dire di “sottrazione” rispetto a un potere di ammissione ed espulsione dello straniero che rimane saldamente a livello statale.
Non è configurabile una ricostruzione in chiave davvero concorrente della materia “immigrazione”. Piuttosto, gli enti subnazionali sono abi- litati a incidere su tale materia in virtù di altri titoli di competenza, non specificamente rivolti all’immigrazione (ad esempio le competenze in relazione al mercato del lavoro in Spagna o quelle relative al manteni- mento dell’ordine pubblico in USA), e si riconosce pur sempre che l’intervento statale sia quello in ipotesi “preferenziale” (Spagna) e tale da scalzare, in caso di conflitto diretto, ogni intervento substatale con esso confliggente (USA). Anche laddove, come in Canada, il dato costi- tuzionale riconosce formalmente come concorrente il relativo titolo di competenza, non si esclude nel testo costituzionale – ed anzi tale svi- luppo è quello affermatosi, almeno storicamente – il primato della legge federale in materia.
Inoltre, la “cittadinanza territoriale regionale” non riguarda né l’am- missione legata ai ricongiungimenti familiari né i flussi c.d. umanita- ri234. Qui, l’immigration federalism, pur con la significativa eccezione
statunitense, dove ha per oggetto la fase espulsiva dell’immigrato irre- golare, si colloca essenzialmente nella fase di ammissione dell’immi- grato economico, in relazione ai soli profili dell’incontro tra domanda e offerta del mercato del lavoro, giacché quelli legati all’ordine pubblico e alla sicurezza nazionale rimangono di salda prerogativa nazionale. Ma anche nel contesto dell’immigrazione economica, nemmeno nell’espe- rienza canadese, in cui l’assetto devolutivo dei poteri è il più sviluppa- to, si mette in discussione la decisione dell’esecutivo nazionale di stabi- lire il “se” e il “quanto” dei flussi immigratori complessivi.
Questo aspetto diviene centrale nella prospettiva europea, nella mi- sura in cui la decisione politica di azzerare sostanzialmente i flussi mi- gratori per ragioni di lavoro, in occasione della crisi economica del 2008, ha avuto, come conseguenza, soprattutto in Spagna e Italia, quel-
234 Con l’eccezione del Québec, in Canada, ma relativamente ai soli richiedenti
la di negare ogni sostanziale sviluppo all’immigration federalism in questo ambito.
Il secondo elemento comune, strettamente connesso a quanto si è appena osservato, è il ruolo giocato dal giudiziario nel garantire, anche storicamente, un ruolo preminente all’estrinsecarsi del potere nazionale in materia e ciò persino quando il dato costituzionale non riconosce esplicitamente alla federazione la relativa competenza (USA) o la rico- nosce, come nel caso canadese, solo a titolo concorrente.
Ne risulta, dunque, una rivincita di ciò che nella dottrina statunitense viene indicato come le political safeguards del federalismo235, anziché
del ruolo di arbitro della giurisdizione costituzionale. In effetti, l’immi- gration federalism nasce e si sviluppa primariamente come conseguen- za della decisione politica del legislatore, e più spesso dell’esecutivo, di disciplinare la relativa materia lasciando spazi concreti di manovra alle entità subnazionali. E laddove questa ricerca di punti di equilibrio tra la competenza statale in materia di immigrazione e le altre settoriali e po- tenzialmente concorrenti delle unità subnazionali è appunto sancita dal- l’ambito centrale di governo, l’atteggiamento delle Corti tende a farsi più deferente rispetto alle scelte effettuate236 e il loro ruolo diviene un
dato recessivo237.
235 Si riprende qui la categoria elaborata da H. WECHSLER, The Political Safeguards
of Federalism: The Role of the States in the Composition and Selection of the National Government, in A.W. MACMAHON (ed.), Federalism: Mature and Emergent, New York, 1955, pp. 97 ss., sebbene, nella concezione dell’Autore, le political safeguards vadano riferite maggiormente alla valorizzazione del Senato statunitense come stru- mento di garanzia per il federalismo grazie al suo ruolo nell’esercizio della funzione legislativa e di indirizzo del livello federale.
236 Nel caso spagnolo, la decisione del Tribunale Costituzionale di riconoscere le-
gittima l’attribuzione di funzioni amministrative in materia di selezione di immigrati economici, prevista dallo Statuto catalano, può anche spiegarsi alla luce del fatto che non solo gli Statuti di autonomia delle CC.AA. sono pur sempre un esempio di legisla- zione pattuita, ma anche che, nello specifico, la legge statale sull’immigrazione del 2009 (prima dunque che il Tribunale costituzionale rendesse la sua sentenza sullo Statu- to nel 2010) aveva esplicitamente riconosciuto e dato seguito alle iniziative assunte dalle CC.AA. in materia.
237 Ciò è avvenuto con tutta evidenza in Canada, dove la conclusione dei diversi ac-
cordi intergovernativi, dapprima con il Québec e poi con le altre Province, ha sostan- zialmente dato effettiva implementazione allo spirito originario dell’art. 95 del Consti-
Si pone con ciò il problema di quale limite sia rappresentato dalla tendenziale indisponibilità da parte del legislatore ordinario del riparto formale di competenze previsto in Costituzione.
A questo riguardo, tuttavia, uno sguardo più attento ai casi esaminati mostra che la flessibilizzazione nell’esercizio della relativa competenza in materia di politiche dell’immigrazione c.d. territoriale non ha operato tanto sul piano legislativo, stante appunto il divieto in tal senso di di- sporre del riparto di competenze, quanto piuttosto sul piano dell’eser- cizio delle funzioni amministrative e regolamentari.
Particolarmente eloquente in questo senso è il caso canadese che tra tutti gli ordinamenti considerati è certamente quello che si caratterizza per l’attribuzione di uno spazio di autonomia maggiore in favore degli enti substatali238. Questi ultimi sono abilitati a porre in essere un’effetti-
va politica dell’immigrazione, grazie al riconoscimento – pur rimesso alla discrezionalità dell’ambito federale – di una quota regionale di immigrazione economica.
Sebbene, infatti, come si è visto, l’assetto devolutivo tra Federazione e Province sia retto da accordi intergovernativi, i quali risultano richia- mati dalla stessa legge federale, sotto il profilo almeno della selezione dell’immigrazione di natura economica, i Provincial Nominee Pro- grams sono qualificabili, sotto il profilo giuridico-formale, come una delega di funzioni amministrative. Attraverso quest’ultima, il relativo procedimento amministrativo di ammissione dell’immigrato economico si configura come un procedimento complesso il cui provvedimento
tution Act 1867, secondo una prassi a oggi non oggetto di scrutinio da parte della Corte
Suprema. Sul punto, vedi W.K. WRIGHT, Facilitating Intergovernmental Dialogue:
Judicial Review of the Division of Powers in the Supreme Court of Canada, in Supreme Court Law Rev., vol. 51, 2010, pp. 684 ss., che suggerisce, con osservazione di caratte-
re generale, come, laddove vi sia un accordo intergovernativo, la Corte Suprema accet- terebbe l’idea che questo riconfiguri in concreto i margini d’azione provinciale, anche oltre la divisione formale delle competenze.
238 Osserva che negli ordinamenti composti, caratterizzati da una forma di governo
parlamentare, le relazioni intergovernative verrebbero facilitate in quanto le assemblee legislative vengono di fatto condizionate da quanto deciso dagli esecutivi nazionali, a differenza di quanto accade, invece, in quegli ordinamenti, come gli Stati Uniti, basati su una divisione dei poteri più netta, B. BALDI, Stato e territorio. Federalismo e decen-
finale è frutto della determinazione dell’amministrazione provinciale, per quanto riguarda i profili dell’occupazione, e federale, per quanto riguarda gli aspetti relativi all’ordine pubblico e alla sicurezza naziona- le. Peraltro, tale configurazione non disconosce l’esistenza di strumenti federali, anche unilaterali, per mantenere l’unità dell’indirizzo politico. Le modifiche intervenute in relazione agli accordi intergovernativi re- centemente maturate hanno proprio introdotto parametri di maggiore uniformità per quanto riguarda i criteri di selezione e rafforzato gli strumenti di coordinamento del livello federale.
Anche nel contesto spagnolo, la devoluzione alle CC.AA., in parti- colare alla Catalogna, di poteri nella fase dell’autorizzazione all’ingres- so per motivi lavorativi si è fondata sull’attribuzione di funzioni ammi- nistrative, come conseguenza dell’assunzione di tale competenza effet- tuata dallo Statuto catalano. Anche qui, il relativo procedimento di ammissione al territorio nazionale si scompone in due fasi: una, relativa alla valutazione dei profili occupazionali, di spettanza autonomica, l’al- tra, relativa all’esame dei profili di ordine pubblico, di competenza sta- tale. Certamente, però, in tal caso gli spazi di manovra sono sensibil- mente ridotti per l’indisponibilità di poter contare vuoi su quote di im- migrazione regionali, vuoi su criteri di selezione stabiliti in via autono- ma.
Il rilievo per cui l’ambito di governo statale è in grado di flessibiliz- zare il riparto di competenze in materia di selezione degli immigrati economici attraverso la delega di funzioni legislative o l’allocazione delle funzioni amministrative e/o regolamentari consente di considerare se tale opzione sia o meno influenzata dalle ragioni sottostanti alle ri- chieste di autonomia proveniente dagli enti substatali e se ciò determini, in ipotesi, una differenziazione territoriale con soluzioni di carattere asimmetrico.
Gli esempi degli Stati Uniti e dell’Italia, ordinamenti che, pur par- tendo da presupposti assai diversi, convergono, però, quanto a una ten- denziale impermeabilità nel decentramento formale di poteri in materia di cittadinanza territoriale, sembrano suggerire che, laddove le istanze di maggiore autonomia sono generalizzate e si fondano su presupposti funzionali allo sviluppo economico e demografico, esse non sembrano essere sufficienti a spingere l’ordinamento verso un assetto pluralistico.
In questo senso, sembra paradigmatica la vicenda delle Regioni italiane emersa in occasione del regolamento attuativo del 2004 in cui le Regio- ni avevano tentato, inutilmente, di ottenere un sistema di ammissione dei flussi di ingresso lavorativi fondati su un meccanismo di quote re- gionali.
Diversamente, sembra di poter dire nei casi in cui la rivendicazione nasca per soddisfare esigenze legate a questione di carattere identitario.
La devoluzione di poteri in materia di immigrazione in ragione della preservazione dell’identità subnazionale, però, tende per sua natura ad assumere connotati asimmetrici.
Quest’ultima opzione è, tuttavia, sempre problematica da persegui- re: vuoi perché, in generale, l’asimmetria tra componenti territoriali viene sempre concepita come rottura rispetto a un patto tra eguali vuoi perché il riconoscimento di una questione identitaria subnazionale e la giustificazione su tale base di un trattamento diversificato sotto il profi- lo del riparto di competenze possono avere l’effetto di accentuare le divisioni nazionali nel paese.
In questo senso, tanto la soluzione canadese quanto la soluzione spagnola mostrano profili di comunanza, data dal fatto che la possibilità di riconoscere spazi devolutivi in materia immigratoria era ed è aperta a tutte le componenti federate subnazionali, agendo sulla base del princi- pio dispositivo.
Nel caso canadese, infatti, la possibilità di concludere accordi inter- governativi, per delineare i poteri di federazione e Province in relazione all’immigrazione, è appunto formulata in termini generali e, dunque, uguali rispetto alle unità territoriali. Allo stesso modo nel caso spagno- lo, tale possibilità è rimessa alla scelta effettuata negli Statuti di auto- nomia.
Tuttavia, questi profili non sembrano aver impedito uno sviluppo in senso comunque asimmetrico, anche formale, della devoluzione in ma- teria, in modo coerente, del resto, con la ratio ultima del principio di- spositivo che presuppone la conclusione di un accordo che tende a indi- vidualizzare il rapporto tra centro ed entità substatali, andando a confi- gurare soluzioni speciali e derogatorie.
Se, infatti, certamente in Canada le Province diverse dal Québec hanno anch’esse ottenuto significativi spazi d’azione, mostrando appa-
rentemente come le esigenze funzionali dell’autonomia possano equiva- lere quelle identitarie, rimane il fatto che l’intensità della devoluzione a favore del Québec è ancora profondamente distinta da quella delle re- stanti Province, a partire dalla natura tendenzialmente permanente di essa239.
Anche nel caso spagnolo, nonostante l’affermazione del Tribunale costituzionale lasci intendere che tutte le CC.AA. sarebbero abilitate, in virtù delle funzioni amministrative già attribuite in materia di mercato del lavoro, a esercitare anche le relative funzioni in materia di autoriz- zazione al lavoro dello straniero, di fatto il legislatore statale ha subor- dinato tale possibilità non solo alla circostanza che le CC.AA. abbiano effettivamente previsto la relativa competenza nello Statuto, ma altresì all’ipotesi che sia intervenuto un accordo per il trasferimento delle rela- tive funzioni, eventualità occorsa solo nell’ipotesi catalana.
239 Come detto, a differenza degli accordi con le altre Province che sono a carattere
temporaneo e/o comunque soggetti al recesso unilaterale di una delle due parti, nel caso dell’accordo con il Québec è necessaria la comune volontà delle parti. Peraltro, è da notare che la perduranza dell’accordo Canada-Québec riguarda pur sempre i rapporti tra Esecutivi, potendo sempre il Parlamento nazionale legiferare in materia e con ciò de- terminare la retrocessione dell’intera materia.
CAPITOLO TERZO
LA CITTADINANZA REGIONALE SOCIALE
SOMMARIO: 1. Introduzione: i modelli tutorio e giurisdizionale. 2. I condi-
zionamenti esterni alla cittadinanza regionale sociale: il diritto della CEDU. 3. L’incerto modello di giustizia sociale nell’UE. 3.1. La fase “materialmente costituzionale” della cittadinanza dell’UE. 3.2. I requisiti di residenza: il com- promesso tra visioni solidariste e commutative di giustizia sociale. 3.3. Dove la parità non passa (più): l’approccio escludente verso i cittadini non econo- micamente attivi. 3.4. La parità di trattamento frammentata dei cittadini di paesi terzi. 4. A chi spetta garantire l’eguaglianza? Il modello c.d. tutorio for- te. 4.1. Dalla tutela al laissez-faire: il caso statunitense. 4.2. Il modello tutorio forte in Spagna. 4.2.1. La posizione del Tribunale costituzionale. 4.2.2. Un caso emblematico: il diritto alla salute degli stranieri irregolari. 5. Il modello tutorio indiretto. 5.1. Il caso canadese. 5.2. Il caso belga. 6. Il modello giuri- sdizionale in Italia: una questione di diritti, non di competenze. 6.1. Gli stru- menti del modello giurisdizionale: il principio di ragionevolezza. 6.2. Il crite- rio del bene essenziale. 6.3. Il banco di prova della residenza prolungata. 6.4. Il principio di non discriminazione come generatore di diritti soggettivi all’eguaglianza. 7. Osservazioni conclusive.
1. Introduzione: i modelli tutorio e giurisdizionale
Come si è notato nel capitolo primo, è frequente, in dottrina, rilevare che l’ambito di estrinsecazione naturale dell’immigration federalism è quello da noi definito “cittadinanza sociale”: il fatto che le unità subna- zionali siano titolari – in via esclusiva o concorrente – di competenze legislative in materia di politiche sociali le rende responsabili dei relati- vi interventi anche laddove questi siano diretti nei confronti dello stra- niero immigrato.
Questa osservazione risponde senz’altro a verità, almeno nella misu- ra in cui si intenda sottolineare che il livello subnazionale (regionale e locale) spesso gestisce politiche sociali che vedono tra i loro destinatari (anche) gli immigrati. Tuttavia, il punto di osservazione che si intende
considerare è diverso e cioè se lo Stato centrale eserciti sul tema una qualche forma di condizionamento, che rifletterebbe, in ultima analisi, una visione unitaria della “politica” immigratoria, nell’accezione che è stata delineata in precedenza, o se, invece, prevalga una ricostruzione in termini dualistici del relativo assetto di competenze, secondo la direttri- ce “politiche di immigrazione-Stato e politiche per gli immigrati-ele- mento subnazionale”.
In effetti, la questione intreccia, come si è già notato, quella del pos- sibile sviluppo di cittadinanze regionali sociali di tipo discriminatorio in relazione, quanto meno, a quegli interventi prestazionali caratterizzati da un’eminente finalità solidaristica e sostenuti dalla fiscalità generale.
Il fenomeno, per la verità, non si dirige necessariamente e solo nei confronti dello straniero immigrato, ma può interessare, più general- mente, coloro che della data comunità sono entrati a far parte in tempi recenti (i c.d. new comers) e che non posseggono risorse economiche sufficienti. In questo senso, infatti, la limitazione, quanto all’accesso a determinate prestazioni sociali, può derivare dall’applicazione di requi- siti di residenza prolungata che, per loro natura, si applicano in maniera trasversale a tutti, cittadini e stranieri e tra questi, cittadini dell’UE e di Stati terzi.
Da questo punto di vista si può anzi notare che, nei contesti federali sorti per aggregazione, il tema dello sviluppo di comunità affettive e di possibili derive discriminatorie si sia posto non tanto nei confronti dello straniero, ma dei cittadini indigenti provenienti da altre unità della fede- razione.
Si è osservato, infatti, che la cittadinanza federale ha due dimensioni fondamentali1. La prima è verticale e concerne il patrimonio dei diritti e
doveri che il cittadino può invocare verso l’ambito di governo federale; la seconda è orizzontale e attiene ai rapporti che si instaurano tra il cit- tadino federale e le autorità delle unità subnazionali di cui non è citta- dino. Qui, la cittadinanza federale assume rilievo nella misura in cui attribuisce al cittadino federale il diritto di circolare tra gli Stati parte della federazione e di ricevere parità di trattamento.
1 Cfr. C. SCHÖNBERGER, European Citizenship as Federal Citizenship – Some Citi-
zenship Lessons of Comparative Federalism, in AA.VV., Citizenship in the European
Proprio la storia delle federazioni nate per aggregazione dimostra, però, che la dimensione orizzontale si è affermata con particolare len- tezza2 e la piena eguaglianza tra cittadini statali e quelli federali, in par-
ticolar modo indigenti, stentò ad affermarsi finché almeno persistette la derivazione della cittadinanza federale da quella delle unità subnaziona- li3.
Implicitamente, ciò significava anche la prevalenza del senso di ap- partenenza a una comunità costruita su basi locali rispetto a quella co- struita su base nazionale. Solo quando il livello di governo federale si impegnerà ad assumere una diretta responsabilità per i soggetti più di- sagiati, trasformando la comunità affettiva di riferimento da locale/ subnazionale a nazionale, la libera circolazione interna del cittadino federale indigente si affermerà con maggiore incisività4.
Venendo all’oggi, ci sembra che la questione dello sviluppo di citta- dinanze regionali sociali intersechi, come si vedrà, quella della titolarità
2 Ibid., p. 74, «The early federations did not grant full free movement and equality
rights either; the treatment of migrating indigents shows that even “classical” federal- ism had huge problems with economically inactive citizens».
Paradigmatica in questo senso, oltre a quanto si dirà in relazione agli Stati Uniti (infra nel testo), è la Costituzione dell’impero germanico del 1871, il cui art. 3, dopo aver affermato l’esistenza di uno status di indigenato comune, che attribuisce al cittadi- no federale la possibilità di fissare il proprio domicilio in uno stato qualsiasi della fede- razione diverso dal proprio, ed essere ivi trattato in condizioni di parità con i cittadini di questo, prevede che tale principio non modifichi «le disposizioni riguardanti l’ammis- sione e il mantenimento dei poveri nelle unioni comunali». Vedi la traduzione italiana disponibile sul sito www.dircost.unito.it.
3 Ancora C. SCHÖNBERGER, op. ult. cit., pp. 70-71.
4 La dichiarazione di illegittimità della prassi del settlement and removal – applicata
dagli Stati della federazione nei confronti degli indigenti, inclusi i cittadini, e ritenuta in un primo tempo legittima dalla Corte Suprema [Mayor of New York v. Miln, 36 U.S. 102 (1837)] – si ebbe solo nel 1941 con la sentenza Edward v. California, 141 U.S. 160 (1941). Nell’argomentazione della Corte giocò un peso rilevante la circostan- za che le vicende legate alla crisi del ’29 avessero determinato un superamento del- l’idea dell’indigenza come indice di immoralità, spingendo il governo federale ad as- sumere misure di sostegno economico per le fasce più bisognose della popolazione. Sul