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Al termine dell'analisi del ddl 813, si può notare come ancora una volta una procedura derogatoria rispetto alla disciplina fissata in Costituzione non abbia portato ad alcun risultato e secondo alcuni questo dimostra che il sistema non accetta facilmente riforme troppo ampie e non largamente condivise.

Si può inoltre osservare che l'iter derogatorio, come già avvenuto in passato, era dettato dall'acclamata gravità della situazione istituzionale e dalle esigenze derivanti dal contesto europeo. La stessa “Commissione dei dieci saggi”, di cui si è precedentemente parlato, nelle premesse dei suoi lavori affermava che “l'Italia ha bisogno di riforme in grado di ravvivare la partecipazione democratica, di assicurare efficienza e stabilità al sistema politico e di rafforzare l'etica pubblica (…) attraverso proposte in grado

di migliorare il funzionamento della nostra democrazia contribuendo ad attivare i processi di crescita economica e sviluppo sociale” e nella sua relazione finale indicava la procedura derogatoria come idonea per “facilitare lo sbocco di un sistema politico incapace di affrontare la crisi economica e la situazione istituzionale”. Le stesse motivazioni contenute all'interno delle premesse dei lavori dei “dieci saggi” vennero riprese dal Presidente Napolitano in occasione del suo secondo giuramento di fronte alle due Camere riunite. E' da notare anche come secondo il Presidente e le Commissioni di saggi la vera motivazione della revisione costituzionale è strettamente collegata ad una grave e drammatica crisi della società. Più specificatamente, per alcuni autori, si tratta di una crisi del “sistema Paese”, per cui la società si caratterizza per la sua frammentazione e conflittualità, che si riferisce ai partiti e alla politica ma soprattutto si trasforma in assenza del senso degli interessi collettivi e dello Stato. Per questi autori le differenze economiche e culturali tra le varie ragioni portano a ritardare il consolidamento e la maturazione del sentimento di identità nazionale espresso dai principi fissati dalla nostra Costituzione. Non si deve poi dimenticare la crisi economica, che ormai da diversi

anni attanaglia il nostro Paese e non solo, e che contribuisce ad aggravare questa situazione di crisi. Tutti questi fattori incidono sul processo di revisione e il “Gruppo di lavoro” nominato dal Presidente Napolitano ne aveva tenuto conto durante i suoi lavori e, come già visto, aveva individuato un particolare iter, derogatorio dell'art. 138, che prevedeva l'attivazione di una Commissione redigente mista. Il Professor Onida non riteneva questa la soluzione più opportuna, poiché riteneva che ci fosse il pericolo di attivare un processo costituente che avrebbe potuto travolgere l'intero impianto della nostra Carta costituzionale, che deve essere modificata ma rispettando quanto stabilito dall'art.138 e “mantenendo fermi i suoi principi, la sua stabilità e il suo impianto complessivo”37.

Per quanto riguarda il metodo di revisione previsto dal disegno di legge in questione, molti si sono posti dubbi sulla sua legittimità e la conseguenza è stata un dibattito particolarmente acceso: alcuni si sono dichiarati favorevoli a procedere a una modifica dell'iter previsto dall'art. 138, altri si sono dichiarati assolutamente contrari ma tutti ritengono che sia necessario escludere revisioni capaci di modificare i principi fondamentali della Carta

costituzionale. Le posizioni di diversi autori saranno esposte successivamente, ma qui possiamo già rilevare in molti hanno ritenuto il ddl 813 inammissibile poiché la deroga, anche se temporanea, fisserebbe una norma sulla produzione di leggi di revisione costituzionale che andrebbero ad incidere pesantemente sull'assetto complessivo della Costituzione, portando alla revisione di ben sessantanove articoli. Secondo questi autori una modifica dell'attuale art. 138 sarebbe ammissibile solo se introdotta in via permanente e per permettere alle modifiche di poggiare su basi più solide ma questo requisito non è rispettato dal disegno di legge che invece vorrebbe incidere solo su alcune “super materie” contenute nella seconda Parte della Costituzione. Inoltre la rigida predeterminazione dei tempi fissati dalla procedura derogatoria si porrebbe in contrasto con la necessità di un doveroso dibattito sia in Parlamento che nel Paese. La previsione di una Commissione referente, per questi autori, significa che si vuole procedere con una revisione che va oltre il limite del potere costituito e “avanza pretese costituenti della maggioranza che la propone”; e la possibilità di indire un referendum indipendentemente dalla maggioranza parlamentare che approva le modifiche

sarebbe in contrasto con l'art. 138 che attribuisce alla consultazione referendaria natura meramente oppositiva. Inoltre, il fatto che la proposta di revisione in esame provenga dal Governo ne rileverebbe la natura strumentale, volta a rafforzare gli equilibri sorti nel contesto delle “larghe intese” sia sul piano del metodo che sul tipo di rappresentanza. La nomina da parte del Governo della “Commissione dei trentacinque saggi”, di cui a breve tratteremo, avente lo scopo di elaborare proposte di riforma, sarebbe una dimostrazione del fatto che gli equilibri raggiunti dalle “larghe intese” non siano poi così stabili dal momento che per procedere con scelte inerenti i valori e i principi fondanti una certa realtà storica e sociale si è dovuti ricorrere a una sede specifica e tecnica e non al Parlamento, sede naturale di queste decisioni.

A queste osservazioni si è replicato sostenendo che l'iter previsto dall'art. 138 non è immodificabile e questo sarebbe dimostrato dal fatto che la disciplina relativa alla revisione costituzionale ha subito deroghe già in passato, come si è visto precedentemente. Inoltre, gli autori favorevoli alla revisione dell'art. 138, rispondono a chi ritiene questo articolo immodificabile, con le autorevoli tesi di Mortati e Paladin, in virtù delle quali sono

ammissibili deroghe alla procedura ordinaria se rispettose dei principi supremi dettati per la revisione costituzionale e nel caso del ddl 813 ritengono che questo limite sia rispettato in quanto per mezzo del procedimento derogatorio sarebbero consentite rilevanti modifiche al Testo costituzionale con l'approvazione delle “leggi figlie” che però, una volta concluso l'iter derogatorio, potrebbero essere modificate con la disciplina ordinaria fissata dall'art. 138. Si sottolinea anche che non si deroga al principio fondamentale della competenza parlamentare nel processo di revisione dal momento che la Commissione ha competenze referenti ed è composta in maniera proporzionale alla composizione dei Gruppi parlamentari. Infine si sostiene che la previsione del referendum indipendentemente dalla maggioranza che approva la modifica costituzionale sia un'ulteriore garanzia a favore della rigidità costituzionale all'interno di un contesto parlamentare “sfalzato” dalla previsione del premio di maggioranza.

Infine, per valutare la bontà di una proposta di revisione, bisogna valutare se questa ha lo scopo di rafforzare e sviluppare la cultura costituzionale ed i principi costituzionali vigenti in coerenza con i dettami della nostra

Costituzione, che da sempre è valutata positivamente per la sua capacità di sviluppare il sistema delle libertà fondamentali e i principi democratici tipici delle civiltà occidentali38.

Associazione italiana dei costituzionalisti: