semiologia del cielo. Astrologia e anti-astrologia in Sesto Empirico e Plotino, 2002), Spinelli mette a confronto la presentazione delle tesi astrologiche e la conseguente refutazione delle stesse da parte di Sesto Empirico (in Adv. Math. V) e di Plotino (in Enn. II 3), notando la
minore precisione di Plotino rispetto a Sesto nella ricognizione delle posizioni degli avversari, nonché una sua probabile minore competenza in materia di astrologia. Tuttavia, lo studioso stesso riconduce un tale approccio alla «più generale strategia compositiva di Plotino. Nei suoi trattati apertamente polemici, infatti, egli non segue la strada di una preliminare, capillare e dettagliatamente fedele registrazione delle tesi che intende combattere. Piuttosto, ogni riferimento alle dottrine avversarie viene inserito nella trama complessiva (e complessa) di argomentazioni positive, 'diluito' per così dire nel più ampio quadro dell'esposizione di un pensiero autonomo, frutto per di più di una interazione dialogica, di un continuo scambio di domande e risposte che traspare a ogni riga degli scritti plotiniani, fino a costruirne il tratto saliente. Mancando ogni interesse a quel lavoro di 'reporter', che invece quasi costantemente caratterizza gli scritti polemici sestiani, appare sicuramente più comprensibile la particolare concisione e per così dire la povertà della 'testimonianza astrologica' di Plotino.», p. 280. E più avanti, analizzando la sezione del trattato plotiniano consacrata alla critica dell'astrologia genetliaca, Spinelli afferma ancora che «per comprenderne a fondo il significato si possa e si debba estendere a questo aspetto della sua attività esegetica quanto Porfirio ci dice a proposito delle 'lezioni' plotiniane scaturite dalla lettura di testi di autori medioplatonici (Severo, Cronio, Numenio, Gaio, Attico) e peripatetici (Aspasio, Alessandro, Adrasto). Anche di fronte alle dottrine oroscopiche, infatti, è legittimo supporre che Plotino “assimilava in fretta il problema, dava in poche parole il significato esatto di una profonda teoria” e soprattutto “non si limitava […] a scegliere brani da questi libri, ma era originale e indipendente nella sua speculazione”. [...]egli non sembra riproporre nei suoi scritti le argomentazioni anti- astrologiche messe in campo da tradizioni e autori precedenti [...]non intende mostrare la debolezza di questo o quell'aspetto della quotidiana prassi genetlialogiaca, […] l'analisi plotiniana mira piuttosto a spostare il piano della discussione.», pp. 287-280.
sottolineati anche nei passaggi sopracitati: a) la trattazione di un problema (nel caso specifico, la causalità astrale), secondo uno schema dialogico e con uno scopo riassuntivo e di chiarificazione circa la posizione da tenere riguardo a tale problema (o per lo meno la posizione che ragionevolmente si dovrebbe assumere, specialmente se ci si professa platonici); ma soprattutto b) l'utilizzo della questione investigata come spunto polemico per affrontare un argomento fondamentale di dottrina (in questo contesto, la libertà umana e il suo inserimento all'interno della causalità universale).
Per quanto riguarda a), effettivamente si nota come nel § 1, Plotino proceda ad una breve e sommaria elencazione di alcune comuni tesi astrologiche, che ci dà l'impressione di una rassegna veloce, quasi un sorvolare e un ricapitolare in estrema sintesi temi conosciuti, probabilmente anche spesso dibattuti nella scuola. In quest'ottica, la grande diffusione delle pratiche astrologiche in epoca imperiale, e chiaramente anche a Roma dove Plotino insegnava, deve far pensare che la questione della validità dei pronostici non fosse sconosciuta anche nella cerchia del filosofo, e presumibilmente che fosse anche riconosciuta come valida da certi suoi discepoli. Lo stesso Plotino non la rifiuta interamente, e tanto meno rifiuta le pratiche divinatorie in generale. Si pensi ad es. a ciò che riferisce Porfirio circa le parole dell'oracolo di Apollo su Plotino, una volta interrogato da Amelio, cfr. VP XXII-XXIII; o agli episodi narrati in VP X, circa il tentativo di magia compiuto contro il filosofo da parte di Olimpio, l'evocazione del demone di Plotino e la devozione di Amelio; per una discussione circa il rapporto di Plotino con la magia, v. ad es. a W. E. Helleman, «Plotinus and Magic», in: The International Journal of the Platonic Tradition 4, 2010, pp. 114-146.
In effetti, la parte iniziale del trattato (che Ficino ha pertanto riunito nel § 1), come di frequente accade in Plotino, ha una funzione in un certo senso proemiale, in quanto fa il punto su un determinato problema, che verrà poi esaminato più nel dettaglio nel corso del trattato. Lo stesso avviene nel nostro caso: la vera e propria confutazione (la pars destruens che
occupa i §§ 2-6, fino a riga 14) comincia con il presente capitolo (che giustamente Ficino ha distinto rispetto al precedente), per l'esattezza con la domanda sulla natura animata o meno dei corpi celesti (domanda, tra l'altro, inusuale nei precedenti scritti anti-astrologici). Seguirà poi, secondo lo schema pressoché abituale, la pars costruens, in cui Plotino andrà ad esporre la propria soluzione al dilemma affrontato e il tema che realmente sta a cuore al filosofo. Dunque, la presentazione molto rapida del § 1 è giustificabile in vista del seguito della discussione. Inoltre, il fatto che il trattato in esame [52], come si è detto poco sopra, sia uno degli ultimi scritti di Plotino ci lascia presupporre che esso giunga alla fine di una lunga serie di dibattiti precedenti, che si appoggi su questioni emerse in passato e ripetutamente discusse durante le lezioni tenute dal filosofo. Anche se lo scritto viene redatto, secondo la cronologia porfiriana, con molta probabilità in un momento in cui Plotino si è già ritirato dall'attività di insegnamento a causa della malattia, si può rintracciare la eco di tale attività nella presentazione delle posizioni criticate sotto forma di domande e risposte (cfr. ad es. tutto il § 2; 3. 4-5;3. 18-19; 3. 21; 4. 6-8), che conferisce all'argomentazione un ritmo incalzante e serrato, più simile ad un dialogo con un qualche allievo della scuola che non ad una trattazione sistematica. Ancora, considerando le stesse parole di Plotino (II 3, 1. 3 e nota relativa) il determinismo astrale e la causalità dei corpi celesti erano temi che egli aveva già affrontato in precedenza, sebbene marginalmente e all'interno di altri contesti di riflessione. In III 1 [3], infatti, Plotino aveva esaminato una serie di opinioni astrologiche, portando obiezioni molto simili a quelle del De divinatione ciceroniano. In quel contesto, era in questione l'esistenza o meno del destino, da intendersi come causa assoluta ed onnicomprensiva di tutti gli eventi terrestri. Mentre in IV 4 [28], il filosofo si era dilungato in maniera assai approfondita sulla questione della causalità degli astri, calandola nel dibattito sui problemi dell'anima. Egli aveva indagato le facoltà dell'anima dei corpi celesti e divini e tra i vari problemi affrontati, aveva messo in questione il possesso della memoria da parte
delle stelle e degli dei. La risposta negativa a questo problema aveva generato un interrogativo ulteriore circa la capacità di ascoltare le preghiere degli uomini. L'indagine portata avanti in quel trattato, proponeva argomenti circa la causalità astrale molto vicini quelli che Plotino avanzerà nel trattato in esame. Per cui, nel trattato Se gli astri sono cause Plotino sembra tirare le somme di una questione che era emersa ripetutamente nel corso delle discussioni precedenti, sebbene solo di sfuggita, e che meritava di essere affrontata per esteso e messa in chiaro definitivamente. Di qui, la confutazione più precisa che egli ripropone alla fine della sua vita. Resta il fatto che Spinelli ha ragione di affermare che rispetto alla critica anti- astrologica di Sesto, quella plotiniana rimane comunque più sommaria e meno potremmo dire 'specialistica'; ma a discolpa di Plotino può essere addotto il fatto che probabilmente egli prevede dei lettori non digiuni di tematiche astrologiche. Al contempo, non si può nemmeno negare che la trattazione plotiniana un certo grado di attendibilità e di scientificità lo possegga, come ci sembra di poter sostenere, sulla base dei passi già citati di VP XV. 22-26 e XIV. 7-9. Porfirio infatti ci porta testimonianza di un certo grado di erudizione di Plotino non solo in ambito filosofico, ma anche scientifico e astrologico, conoscenze che anche l'uso di un vocabolario tecnico dell'astrologia sembra confermare. La questione sull'erudizione di Plotino è comunque dibattuta; pertanto, per le interpretazioni nelle due direzioni opposte di una conoscenza superficiale, o piuttosto di un certo grado di competenze scientifiche di Plotino, si rimanda alla nota 19 di Spinelli , p. 280. Non si esclude infine l'influsso, nell'argomentazione plotiniana, di letture di altri filosofi, Cicerone, lo stesso Sesto, Filone di Alessandria e anche del padre della Chiesa Origene, di cui si è sottolineato il legame con Filone e con la trattazione fatta da Plotino in II 3 [n. 1. 3-4]. Tale trattazione, che in molti passi è spesso speculare, fa supporre almeno una conoscenza, se non una lettura diretta, da parte di uno dei due del testo dell'altro pensatore. O altrimenti, di una eventuale terza fonte, nota tanto ad Origene che a Plotino, ma che a noi non sia invece pervenuta. Nel primo caso, sembrerebbe
comunque più plausibile che sia stato Plotino ad essere venuto a conoscenza del Commento di Origene al passo della Genesi 1, 14, dato che la morte di quest'ultimo è da collocarsi nel 254, mentre il trattato II 3, secondo la testimonianza di Porfirio, cfr. VP VI, farebbe parte dell'ultimo gruppo di trattati redatti da Plotino. Il maestro li avrebbe inviati a Porfirio poco prima di morire nel 270, e quindi sarebbero databili agli anni 268-9). Ma il fatto più importante, che differenzia l'approccio di Plotino da quello di Sesto nei confronti dell'astrologia, è che quest'ultima non è per il filosofo il vero bersaglio dell'attacco plotiniano, mente lo è invece per Sesto, o anche per Cicerone. Per lo meno, se lo è, lo è in quanto la concezione del mondo che l'astrologia presuppone è in contrasto con quella plotiniana, di matrice platonica. L'astrologia è solo un pretesto (e qui passiamo al punto b) ), un'occasione che presuppone un altro obiettivo, come già sottolinea Spinelli, ovvero la difesa della libertà umana e di una causalità unica discendente dal Primo Principio. Il problema del determinismo astrale è solo un punto di partenza per affrontare questioni di carattere metafisico, per ricapitolare alcuni punti centrali dottrina plotiniana.
Per concludere questa breve sintesi dello stile di scrittura e di argomentazione plotiniano, ci sembra pertinente citare la descrizione molto efficace che ne fornisce Armstrong, nella Prefazione alla sua traduzione delle Enneadi: «Plotinus's writings grew naturally ouf of his teaching. He never set out to write down a systematic exposition of his philosophy, but as important and interesting questions came up for discussion in his school he wrote treatises on the particular problems involved [Armstrong rimanda a VP IV.11, V. 60 e al caso dei trattati V. 5 e III. 4, che secondo la testimonianza di Porfirio sembrano essere stati originati rispettivamente da una discussione, cfr. VP XVIII, e dall'episodio del daimon personale di Plotino narrato in VP X. 13]. […] They [the treatises] give us, therefore, an extremely unsystematic presentation of a systematic philosophy. No reader of the Enneads can long remain unaware that Plotinus has a fully and carefully worked-out philosophical system. But
neither his writings nor Porphyry's description of his teaching (VP XIII e XVIII) have any suggestion of dry, tidy, systematic, authoritarian presentation of the scholastic text-book. His teaching was informal and left plenty of room for the freest discussion, and in his writings we find his philosophy presented, not step by step in an orderly exposition, but by a perpetual handling and rehandling of the great central questions, always from slightly different points of view and with reference to different types of objections and queries.», A. H. Armstrong (transl. by), Plotinus. Enneads, 7 voll., Harvard University Press1966-1988, vol. 1, Preface, p. vii-viii.
2. 1-2: PÒtera œmyuxa (…) t¦ ferÒmena;--- Posizione del problema: i corpi celesti sono
animati (a) o inanimati (b)? Plotino apre l'esame delle opinioni degli astrologi con una dieresi, che determina l'andamento successivo del trattato. Si tratta di un interrogativo assente nella precedente letteratura anti-astrologica (ma che verrà invece ripreso in seguito da Agostino, cfr. Gen. Litt. 2, 18). Esso viene posto in apertura da Plotino, perché serve a stabilire immediatamente il tipo di natura e di azione propria degli astri, escludendo prima di tutto la posizione (b) che in nessun modo permetterebbe di attribuire il tipo di causalità che gli astrologi assegnano ai corpi celesti. Il problema del possesso o meno dell'anima da parte degli astri, in ogni caso, segna una continuità forte con la disamina del potere produttivo degli astri di IV 4 [28], che come si è detto era inserita nell'analisi più generale di problemi concernenti le anime, e quindi anche quelle astrali. Più in generale, inserisce il trattato in un contesto di riflessione indubbiamente platonico, specialmente in ragione della parte della dieresi accettata (ovvero a): gli astri sono animati). Si veda, al riguardo, più avanti le note al passo 2. 16-21.
2. 2-10: e„ mn (…) æsaÚtwj--- Risposta al problema 1: esame parte b) e refutazione: i corpi
effetti corporei.
Plotino certamente rifiuta in partenza un tipo di ipotesi come la b) (in base alla sua cosmologia di stampo platonico), ma preferisce essere fedele al proposito di un'analisi attenta delle varie teorie astrologiche e procedere a una confutazione di tipo potremmo dire 'scientifico', in quanto fondata sui principi cosmologici del Timeo platonico e della fisica aristotelica.
Difatti, dal momento che ciò che è inanimato è passivo e riceve movimento da altro, eventuali astri inanimati si ridurrebbero a semplici corpi privi di causalità interna (dal momento che essa deriva dal possesso dell'anima) e soggetti soltanto a una causalità esterna. Di conseguenza, essi non sarebbero in alcun modo agenti deliberanti e la loro azione si ridurrebbe di fatto a una trasmissione meccanica di un movimento corporeo [for©j swmatikÁj, 2. 5], inserendosi in una catena di cause-effetti di tipo puramente fisico. Cfr. III 1 [3], 6. 4-7.
Dunque, potrebbero influenzare esclusivamente la parte di noi che è corporea [™n tÍj tîn swm£twn ¹mîn fÚsei, 2. 4], senza alcuna possibilità di determinare la nostra dimensione psichica e comportamentale, come invece pretende l'astrologia.
Inoltre, proprio in ragione della natura puramente meccanica dell'influsso astrale, l'effetto prodotto sarebbe del tutto indipendente sia dal carattere caldo o freddo dell'astro da cui deriva sia dal tipo di corpo terrestre che verrebbe a riceverlo, giungendo infatti identico sulla terra. Pertanto, le eventuali differenze riscontrabili nei corpi non sarebbero affatto di carattere qualitativo e in qualche modo derivanti dall'astro; piuttosto, sarebbero frutto unicamente della diversità dei luoghi terrestri e della loro maggiore o minore prossimità all'astro punto di origine del moto.
Per la natura duplice dell'essere umano, formato dal composto di anima e corpo (il 'noi' sensibile) e dall'anima non discesa (il 'noi' intelligibile), si rimanda alle note relative al passo
9.30-34; cfr. ad es. I 1 [53], 10. 1-15. Per l'individuazione della causa del movimento (in particolare, quello dell'universo) e della conoscenza nell'anima in Platone, si rimanda a Tim. 34a-40d. Cfr. Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, III 67-69. Per la descrizione della composizione e del funzionamento della parte corporea dell'uomo in Platone, Tim. 73b-76e e 77c-81e. Per la teoria del movimento in Aristotele, il riferimento principale è alla Fisica (in particolare al libro III, dove si distinguono i vari tipi di movimento che riguardano il mondo sublunare e del divenire e si assegna un ruolo di maggiore importanza al movimento locale o di traslazione, ovvero lo spostamento dei corpi e per la distinzione tra ciò che è mosso da altro e ciò che si muove da se stesso, al libro VIII, soprattutto §§ 3-5). Notiamo anche, per quanto riguarda la possibile funzione causale dei corpi celesti ancora in ambito puramente fisico, un passo di Aristotele nel De gener. et corrup., II. 10 (in particolare, 336 a 33 sgg. ), in cui egli individua la causa efficiente della generazione e della corruzione nel movimento annuale del sole nel circolo dell'eclittica (effetto su corpo). Per quanto riguarda la teoria del moto corporeo negli Stoici, i quali, come Aristotele, distinguono tra ciò che è mosso da se stesso e ciò che è mosso da altro (ovvero tra il movimento che deriva dalla facoltà vegetativa e dall'anima e quello che invece proviene da una causa esterna), cfr. ad es. SVF II 988 [1] (=Origene, De princip. III, p. 108 Delarue) ; SVF II 989 (=Origene, De orat., Vol. II, p. 311, 16 Koe) ; sulla definizione di moto come transizione da un luogo all'altro, SVF II 492 [2] (=Sext. Emp., Adv. Math. X 52). Su un confronto tra la posizione aristotelica e quella stoica rimandiamo a T. Bénatouïl, «Échelle de la nature et division des mouvements chez Aristote et les Stoïciens», in : Revue de metaphysique et de morale, 2005/4 (n°48), pp. 537-556. Sul tipo di influsso astrale, cfr. Ptolem., Apotelesm. I 2.
Notiamo, inoltre, che l'idea della trasmissione del moto dai corpi celesti a quelli terrestri è comunque possibile nella cosmologia plotiniana, perché per il filosofo il mondo supra e sublunare sono composti dalla stessa materia (i quattro elementi semplici), rifiutando la
discontinuità qualitativa introdotta dall'assunzione dell'etere aristotelico. Cfr. II 1 [40], 2. 14- 16.
Per il tipo di causalità dell'anima si rimanda alle note ai capitoli §§ 8-9.
Infine, si tenga presente che la questione posta in apertura di capitolo è trattata in chiasmo (prima l'elemento b) della dicotomia, poi l'elemento a), il quale è a sua volta diviso in due parti; la seconda parte è affrontata nel § 3). Questo perché, come si è detto, la tesi b) è quella che verrà immediatamente scartata da Plotino, mentre egli accetta la tesi a) sulla presenza dell'anima negli astri, in quanto esseri divini. Per cui, il resto dell'analisi proseguirà esaminando le varie conseguenze possibili derivanti dall'accettazione di tale presupposto in ambito astrologico.
2. 2-3: e„ mn (…) f»somen--- In controluce, con l'accenno alla teoria del carattere freddo o caldo dei corpi celesti, possiamo leggere una critica al tipo di astrologia proposta da Tolomeo negli Apotelesmata. Egli infatti aveva fondato la sua astrologia proprio sulla teoria di origine aristotelica delle differenti qualità (o “temperamenti”o “umori”) dei corpi celesti e sulla loro azione tramite configurazioni geometriche. Come chiarisce Feraboli nella sua nota al passo I 2. 28 degli Apotelesmata: «[...]La spiegazione che Tolomeo fornisce delle influenze astrali poggia sull'azione che la natura calda, fredda, umida e secca (ripartita in quantità diverse nei pianeti e nelle stelle) opera sulla sostanza terrestre, a sua volta formata da elementi composti. Equilibri differenti determinano la qualità della materia che quindi raccoglie con effetti diversi gli influssi stellari. Compito della scienza astrologica è valutare la qualità delle sostanze e l'intensità degli effetti di tutte le possibili combinazioni fra i corpi celesti e la materia terrestre.», S. Feraboli, (a c. di), Claudio Tolomeo. Le previsioni astrologiche, Fondazione Lorenzo Valla 1985, p. 367.
Per le fonti su cui si basa la cosmologia tolemaica si rimanda al De caelo di Aristotele, ai primi due libri per la struttura e la natura della sfera celeste e per l'elemento celeste o etere
(soprattutto I 1-3 e II 4-14), mentre alla seconda parte del trattato per la teoria dei quattro elementi del mondo sublunare (specialmente al libro III); cfr. Platone, Tim. 31b-34a e 53b- 61c; Epinom. 981d-e, (dove è presentato anche un quinto elemento, l'etere, assente nel Timeo dove il cielo e il mondo sublunare sono costituiti degli stessi elementi); cfr. ad es. SVF I 102 (sulla teoria della generazione e della corruzione dei quattro elementi e del cosmo in Zenone); SVF II 309 (= Sext. Emp., Adv. Math. X 312); SVF II 405-406 (sui quattro elementi e la distinzione di caldo/freddo come agenti e secco/umido come passivi, =Galeno, De constitutione artis medicae 8, Vol. I, p. 251 K e De natur. facult. I, 3, II, p. 7 K). Riguardo alla natura e all'azione propria dei quattro elementi, rimandiamo anche al De gener. et corrupt. B 1-8 328b26-335a23. Cfr. Meteorol. I 2-3, 339a11-341a38 e l'utile commento di H. D. P. Lee, (Aristotle. Meteorologica, Harvard University Press, London 1952), con ulteriori riferimenti bibliografici. La novità di Tolomeo è di introdurre una zona intermedia, caratterizzata dalla sfera della Luna, che fa da tramite tra l'azione della sfera celeste vera e propria e e l'effetto di tale azione sull'atmosfera terrestre.
Per i riferimenti all'azione dei corpi celesti in Tolomeo: cfr. ad es. Apotel. I 1. 8-9 e 2. 3-9; I 4 e 5 (influssi pianeti) e 9 (effetti stelle fisse).
Per ulteriori indicazioni e riferimenti bibliografici sulla cosmologia tolemaica, v. le note ai passi citati, I 1, 8-9 e 2, 3-9, S. Feraboli, (a c. di), Claudio Tolomeo. Le previsioni astrologiche, Fondazione Lorenzo Valla 1985, pp. 362 e 363-4.
Interessante, dal nostro punto di vista, è l'intero § 2 del primo libro, in cui Tolomeo prende in considerazione le critiche anti-atrologiche e analizza l'effettiva possibilità di fondare scientificamente l'astrologia e mette in luce i suoi limiti. Egli porta pertanto una critica ai falsi astrologi e evidenzia la possibilità di incorrere in errori, e in generale il carattere di scienza imperfetta proprio di questa disciplina, cfr. 2, 117 sg. In questo passo, Tolomeo espone la