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“Se ogni secolo ha bisogno della sua illusione, di un mito che ne caratterizzi, più ancora che la vita pratica, la vita spirituale e ideale, la vita dell’anima, possiamo dire che il Settecento ebbe il suo mito e la sua illusione nell’Arcadia.”193

Bisogna immergersi nella metafora pastorale di un mondo perfetto e fuori dal tempo per poter cogliere il trapianto di umanità e ambiente elaborata dalla poetica d’Arcadia.

Sulle scorte dell’idillio bucolico, la società colta e aristocratica italiana si traveste da comunità pastorale, assumendone i nomi fittizi, trasformando il proprio palazzo con la capanna e immaginando il giardino come lo scenario agreste preso a prestito dalla pittura.

Uno dei temi preferiti dei poeti arcadi è la descrizione delle Stagioni, come la

Primavera del Rolli, allietata dalla sinfonia dei fiori o la Primavera scritta da Metastasio:

Già riede primavera Col suo fiorito aspetto; già il grato Zeffiretto Scherza fra l’erbe e i fior. Tornan le fronde agli alberi L’erbette al prato tornano; Sol non ritorna a me la pace del mio cor. Febo col puro raggio Sui monti il gel discioglie, e quei le verdi spoglie veggonsi rivestir.

99 E il fiumicel, che placido

Fra le sue sponde mormora, fa col disciolto umor

il margine fiorir.194 E ancora ai versi 34- 40:

L’amante pastorella Già più serena in fronte Corre all’usata fonte A ricomporsi il crin.

Escono le greggie ai pascoli; d’abbandonar s’affrettano le arene il pescator, l’albergo il pellegrin.195

In questo fittizio mondo pastorale sbocciano teneri amori, in cui l’uomo di corte si muta in elegiaco agricoltore. Il respiro sentimentale dello scenario campestre di queste poesie è limitato come le dimensioni di un piccolo paradiso e il paesaggio arcadico che traspare dalle loro descrizioni si configura come un giardino. 196

Il giardino dunque, diventa la metafora della natura, assumendo ancora una volta l’antico sogno di un microcosmo perfetto, strutturato in scala umana, in cui tutto diventa possibile. I giardini di un’epoca diventano rivelatori di uno spirito che la anima e assurgono a rappresentazione di uno stile nell’arte, in quanto interpretazione della natura da parte dell’uomo.197

Nelle impressioni dei viaggiatori stranieri che percorsero le terre della Serenissima tra Cinque e Settecento, traspare un’idea particolare del paesaggio veneto e della sua campagna. Essa infatti, nei loro diari di viaggio e nelle loro memorie, viene descritta come un giardino, tale è la sua bellezza.

Il vero giardino per il maresciallo Charles de Brosses, che nel 1739 compie il suo viaggio da Marsiglia e tocca le maggiori città venete, è la campagna veneta stessa.

194 Rime, in Tutte le opere di Pietro Metstasio, 5 voll., a cura di B. Brunelli, Vo. 2, Milano, 1947, p.

16-17, vv. 1-16.

195 Ibid.

196 A. FARIELLO, I giardini nella letteratura. Dal giardino classico al giardino paesistico, Roma,

1998, p. 101.

197 C.M. MARUCELLI, Giardino Imago Mundi: ricerche sul simbolo, in M. JAKOB, Paesaggio e

100 Egli scrive infatti:

Non sono ancora divenuto così sensibile al piacere di vedere le bellezze delle città, come a quello di godere lo spettacolo delle campagne di questa terra incantevole. Il territtorio che sta tra Vicenza e Padova vale forse da solo un viaggio in Italia, soprattutto per la bellezza delle viti che sono stese sugli alberi….198

Ancora più significativa è l’impressione dell’abate Richard che, dopo aver visitato il territtorio veneto nel 1764, fa un paragone davvero significativo: “il paese che si attraversa da Padova a Vicenza è un vero Eden”.199 Natura come giardino quindi, paesaggio che si fa giardino.

L’essenza stessa delle ville che caratterizzano la Terraferma veneta inoltre è inscindibilmente legata alla natura. Si è già visto nel capitolo precedente come quell’inimitabile interscambio con l’Arcadia insito nel rapporto villa-paesaggio, fosse stato messo in atto negli affreschi di Tomaso e Andrea Porta nelle ville veronesi o in quelli di Zais in villa Pisani.

Nella cultura veneta, l’arte e la cura dei giardini assumono, del resto, un ruolo fondamentale nella connotazione estetica della villa e del paesaggio. Le dolci armonie del giardino veneto, spesso caratterizzato dalla medesima vegetazione dei campi, si inserirono in un paesaggio ornato dall’operosità umana, creando un unicum di alta qualificazione estetica, in cui l’arte si riflette sulla natura e viceversa.200

Fin dall’inizio i giardini delle ville della Terraferma erano stati i protagonisti della villeggiatura, pur cambiando la loro funzione nel corso dei secoli, in base alla concezione che il nobile proprietario dava alla propria villeggiatura. 201

198 C. DE BROSSES, op. cit., p. 207

199 A. PETRAGRANDE, Il paesaggio-giardino veneto nella memoria dei viaggiatori del passato, op.

cit., p. 39.

200 Ibid.

201 Tra la fine del 1700 e agli inizi del 1800 quasi tutte le ville passarono dalle mani della nobiltà

veneziana a quella di facoltosi cittadini, anche stranieri. Sul finire del Settecento la nobiltà veneziana cominciò a risentire dello spreco di denaro e fu costretta a dare un taglio alle spese con la riduzione del personale di servizio. Per prima cosa scomparvero buona parte dei giardini e dei broli, in quanto esigevano mano d’opera. Cfr. Storia della Riviera del Brenta. Ville de’ veneti nella riviera del Brenta

101 Il giardino vi svolge un duplice ruolo: accanto al tradizionale locus amoenus, dove passeggiare e intrattenersi con gli amici, offre a chi si affaccia dai piani superiori della residenza “le belle vedute” su cui le fonti insistono.