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L’ultimo caso preso in esame in attinenza alla decorazione di spazi pubblici all’interno dell’edilizia ferroviaria postunitaria riguarda la stazione di Palermo. Nello specifico, la decorazione della saletta reale della stazione palermitana si configura, rispetto ai casi precedenti, più semplice e meno variegata nella scelta dei soggetti, assecondando la tendenza artistica che si era diffusa negli stessi anni in Sicilia nel campo della grande decorazione murale.

Colpisce che a Palermo, tra le città più interessate dall’epopea risorgimentale, compaia nella stazione cittadina una decorazione priva di qualsiasi risvolto ideologico e priva di qualsiasi riferimento allegorico e simbolico agli sconvolgimenti politici di pochi anni prima. Nessun accenno al nuovo corso storico, nessuna menzione a Garibaldi e alla gloriosa impresa dei Mille. Le questioni appaiono aperte e possono essere spiegate rivolgendosi sia alle dinamiche artistiche che alle questioni storiche, sociali e politiche che l’unificazione aveva comportato.

Indubbiamente, con l’unificazione la regione subì un processo di ammodernamento delle infrastrutture, in particolare la rete ferroviaria si sviluppò in modo esponenziale. In quest’ottica, la costruzione della stazione centrale di Palermo si configura come importante cantiere urbano in cui «è l’amministrazione pubblica a sostituirsi alla committenza aristocratica» a cui spettava in massima parte la committenza di edifici e cicli decorativi136. La stazione, di testa, si pone nell’ambiente cittadino come esempio di architettura eclettica137. L’incarico di eseguire le decorazioni all’interno di alcuni ambienti fu dato dalla Società Italiana delle Strade Ferrate Meridionali, responsabile della costruzione dell’edificio, al pittore Rocco Lentini (1858-1943), che coinvolse anche due suoi collaboratori: Francesco Padovani e Nicolò Giannone138. Così come accadde a Roma con la chiamata di Brugnoli per la decorazione della saletta reale di Termini, a Palermo fu chiamato colui il quale – al pari di Giuseppe Sciuti (1834-1911) – deteneva la palma della pittura decorativa in Sicilia. Particolare è anche il medesimo percorso lavorativo, che portò entrambi

136 LENTINI SPECIALE, MIRABELLI 2001, p. 136.

137 Sulle vicende costruttive della stazione di Palermo, cfr. Le stazioni 2000, pp. 57-86.

138 Sulle vicende decorative che interessarono gli ambienti della stazione palermitana e sulla figura di Rocco Lentini: cfr. LENTINI SPECIALE, MIRABELLI 2001, in particolare pp. 135-140.

a dipingere le volte delle calotte dei teatri più importanti delle rispettive città: Brugnoli decorò il teatro Costanzi (poi teatro dell’Opera) a Roma; Lentini, il teatro Massimo e il Politeama.

Gli ambienti interessati dal cantiere decorativo furono le sale d’aspetto, di prima, seconda e terza classe, nonché il cafe-restaurant. Anche questi spazi subirono nel tempo delle radicali trasformazioni: a oggi sopravvivono esclusivamente le decorazioni della sala di prima classe, mentre le altre opere, a causa della trasformazione degli ambienti, sono scomparse. In nostro soccorso, come a Milano e a Roma, giungono le pagine dei quotidiani dell’epoca, in particolare un articolo anonimo apparso sul «Giornale di Sicilia», in cui sono descritti gli affreschi perduti. Lo stesso articolo, datato 11 giugno 1886, stabilisce anche il termine ante

quem dei lavori, poiché all’interno del testo il ciclo si definisce concluso.

Dalle descrizioni degli affreschi e dalle decorazioni sopravvissute si ricostruisce il programma complessivo del ciclo, che prevedeva, secondo una formula collaudata, la celebrazione delle moderne tecnologie, che investirono pienamente il campo delle comunicazioni e dei trasporti. L’impianto iconografico appare ben lontano dalla ricchezza e dalla varietà di soggetti allegorici dispiegati nei casi analizzati in precedenza. Emerge, tuttavia, in consonanza con il modello torinese o romano, la celebrazione della modernità attraverso la tecnica e la scienza «che non si oppongono all’arte, ma ne rifondano nascita e sviluppi»139.

Nella sala di prima classe, la volta è ripartita in quattro riquadri, arricchiti da finte architetture; al loro interno, si osservano puttini che reggono alcuni oggetti, tra cui un’àncora, identificati dal cronista del «Giornale di Sicilia» «negli emblemi del telegrafo, [...] della ferrovia, [...] della marina e dell’aeronautica» (figg. 19-21). Le pareti sono decorate con finti stucchi, decorazioni floreali e medaglioni con profili di alcune grandi glorie italiane – Raffaello, Michelangelo e Galileo – e siciliane: il poeta Giovanni Meli e il compositore Vincenzo Bellini.

Una simile ripartizione dell’ornamentazione degli ambienti ritorna anche nelle sale d’aspetto di seconda e terza classe, ricostruibili solo con l’ausilio delle descrizioni fornite dall’articolo del «Giornale di Sicilia». In particolare, la sala di seconda classe presentava sul soffitto «due puttini che rappresentano l’Agricoltura e il Commercio ed ancora i nomi di Fulton, Stephenson, Volta ecc. Nelle pareti vari trofei che simboleggiano la musica, la pittura,

l’architettura, la scultura, le scienze e il commercio. Al di sotto, tra vasi ornati alla

raffaellesca, le vedute del Politeama, del Massimo, del Palazzo Municipale, della stessa

Stazione e infine la galleria dei cristalli della medesima». Così come a Roma, anche Lentini decise di unire in una scena dal carattere prettamente allegorico notazioni di carattere contemporaneo, nello specifico i monumenti più rappresentativi della nuova edilizia palermitana.

La decorazione del cafe-restaurant, seppur diversa, merita una menzione, poiché ricorrono stilemi che permettono di ricondurre le soluzioni adottate da Lentini al linguaggio in voga nella Palermo postunitaria. La stanza presentava, secondo il resoconto dell’epoca, «un dipinto alla raffaellesca con figure nella volta e due baccanti alle pareti. In tutte le riquadrature vi sono trofei di fiori, frutta, pesci, caccia», con il curioso dettaglio delle ceramiche riprodotte sul soffitto, quattro piatti che imitavano la produzione persiana, giapponese, di Urbino e di Sèvres. L’attigua saletta, adibita a sala da pranzo, era invece decorata alla pompeiana. Simili espedienti si riscontrano nella sala da caffè del teatro Massimo di Palermo, posteriori di un decennio140: le analogie tra i motivi vegetali e i diversi dettagli dei due cicli decorativi non lasciano nessun dubbio sulla paternità. Anche l’insolita presenza delle ceramiche riprodotte illusionisticamente sul soffitto anticipa di quasi un decennio gli analoghi motivi proposti da Lentini a palazzo Ziino (1895)141.

Le proposte di Lentini si collocano nel solco della tradizione artistica locale. Ad esempio, la scelta di proporre decorazioni floreali risponde a quel tipico gusto palermitano incline all’ornamentazione vegetale che si riscontra in numerosi palazzi privati e ville urbane: soluzioni formali che sembrano anticipare le tendenze liberty tipiche della pittura di inizio Novecento142.

Colpisce che le stesse soluzioni furono adottate dall’artista sia nei palazzi patrizi che negli ambienti destinati a una funzione pubblica, i quali, per il loro carattere ufficiale, dovevano sì esaltare, come era avvenuto in altre stazioni cittadine, il progresso tecnico ma, soprattutto, celebrare, e in qualche modo legittimare, la nuova dinastia regnante sul meridione.

140 La corretta restituzione della decorazione a Rocco Lentini, fino ad allora attribuita a Enrico Cavallaro da Maria ACCASCINA (1939, p. 70), spetta a LENTINI SPECIALE, MIRABELLI 2001, p. 137.

141 LENTINI SPECIALE, MIRABELLI 2001, p. 137.

142 Si vedano, ad esempio, le decorazioni attribuite a Ettore De Maria Bergler a villa Whitaker o quelle assegnate a Giuseppe Enea in palazzo Francavilla-Mortillaro; cfr. BRUNO 2010, pp. 126-143, per il quale le decorazioni a carattere botanico dispiegate nei cantieri della città vengono considerate come anticipazione della cultura liberty palermitana di inizio Novecento.

In conclusione, nell’analisi delle decorazioni per le stazioni, fossero questi ambienti di rappresentanza, sale d’aspetto per passeggeri di diverso censo o spazi destinati allo svago, emergono alcuni elementi comuni, nonché specifiche diversità. Inevitabilmente, la scelta di alcuni temi, in particolare la celebrazione del commercio e dell’industria, attività favorite dal moderno mezzo di trasporto, rimasero per alcuni decenni i topoi prediletti e a cui guardarono gli autori della generazione successiva, impegnati nelle medesime commissioni. È il caso di Luigi Agretti (1877-1937) che, a cavallo tra primo e secondo decennio del Novecento, decorò la volta della biglietteria della stazione di La Spezia143. L’autore dipinse tre allegorie, sulla scia dell’insegnamento di Brugnoli, di cui era stato allievo a Roma, ma con uno stile ormai attardato e qualitativamente inferiore rispetto a quello dei suoi maestri. Da ricordare, infine, l’intervento di Matteo Tassi (1831-1895) alla stazione di Perugia (1884), la cui sala d’aspetto presenta vedute di Roma e Firenze, mentre il caffè due paesaggi con la Cascata delle Marmore e le Fonti del Clitunno144.

A distanza di un secolo e mezzo, forse l’analisi migliore, seppur impietosa, è quella fornita da Camillo Boito. Egli non condivideva l’entusiasmo per le decorazioni eseguite nella Stazione Centrale di Milano, a cui assommava i lavori approntati negli arconi della galleria Vittorio Emanuele. Il giudizio non poteva essere più tranchant: «in due grandiosi edifici pubblici fu trovata una maniera di acconciare qualche pittura a buon fresco e qualche quadro a tempera. Lo stile degli edifici è sbrigliato e ampolloso, quello delle pitture castigato e raccolto. Gli edifici non sono brutti, e le pitture son belle; ma quelle stanno da sé, e queste anche»145.

Un’opinione che rispecchia con lucidità la realtà oggettuale. Una pittura compassata relegata in moderni edifici di ferro e vetro, magniloquenti e forse esagerati. Se il giudizio di Boito ben sintetizza l’esperienza decorativa nelle stazioni postunitarie, appare improprio estenderlo al campo della decorazione monumentale destinata ai palazzi governativi, dove il senso di magniloquenza e la retorica patriottica dei soggetti raffigurati ben si accordava ai luoghi deputati all’esercizio del potere.

143 Unico accenno al lavoro di Agretti è quello di ROSSI PINELLI 1991, p. 580, n. 39.

144 Come mi segnala la professoressa Stefania Petrillo, i soggetti si legano «all’identità dell’“Umbria verde” – poi uno stereotipo – che si definisce proprio in questi anni».

3.