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Il papiro di Qas. r Ibrîm

Cornelio Gallo e i papiri

2 Il papiro di Qas. r Ibrîm

A Cornelio Gallo è legata una vicenda papirologica emblematica; mi rife-risco, naturalmente, al papiro (PQaṣr Ibrîm 78-3-11/1= LI/2; MP3 2924.1; LDAB 0574) rinvenuto nel 1978 da una missione archeologica dell’Egypt Exploration Society a Qaṣr Ibrîm, identificata senza ombra di dubbio con Primis, fortezza romana situata nella Nubia egiziana, sulla riva orientale del Nilo, a circa 235 chilometri a sud di Assuan, che segna l’estremo limite meridionale cui si spinse l’esercito romano.1 Vicenda emblematica, perché vi ritroviamo momenti, aspetti e situazioni tipici della disciplina papirologi-ca, quali: il rinvenimento ad un tempo casuale e clamoroso; la condizione problematicamente frammentaria del testo ritrovato; la conferma che nelle sabbie di Egitto possono ancora rinvenirsi nuovi testi delle letterature gre-ca e latina; l’interesse enorme suscitato dal rinvenimento, concretizzatosi in una produzione critica copiosissima; una certa qual delusione, provoca-ta dal contenuto del papiro, in alcuni studiosi, che si aspetprovoca-tavano di più; l’immetodica, imprudente atetesi della genuinità del papiro da parte di chi pretende, con una sicurezza a dir poco disarmante, di esprimere gravi giudizi critici su di un frammento, senza mai averlo visto in originale, con il solo risultato di inoculare in quel papiro il veleno del dubbio.

Sono trascorsi 35 anni dal rinvenimento del papiro, che ci ha restituito 9 versi, non sempre immediatamente interpretabili, di Cornelio Gallo. Secon-do una felice consuetudine della scuola papirologica inglese, inaugurata

dai dioscuri B.P. Grenfell e A.S. Hunt, il papiro fu prontamente pubblicato, dopo pochi mesi il suo ritrovamento, da R.D. Anderson, P.J. Parsons e R.G.M. Nisbet, rispettivamente un epigrafista, un papirologo finemente esperto di testi sia letterari sia documentari e per di più dotato di eccellente institutio

palaeographica, e un ottimo latinista.2 Quella edizione fu veramente ma-gistrale, avendo il merito, tra l’altro, di inserire il frammento nella storia della letteratura latina, della scrittura latina e del libro antico. La parte più caduca era quella affidata ad Anderson (direttore, insieme con l’archeologo W.Y. Adams, della Missione), vale a dire la scarna descrizione del contesto archeologico, nella quale, tra l’altro, non vengono registrati dati significativi quali l’esatta estensione e la profondità dell’antico deposito in cui il papiro fu recuperato ed il punto preciso in cui fu recuperato. Quella di affidare la relazione sul lavoro archeologico (e in qualche caso addirittura il lavoro archeologico stesso) ad un non archeologo è una pratica deleteria, ancora oggi in Egitto più diffusa di quanto si pensi.3 Infelice fu anche la scelta di corredare l’edizione di alcune foto in bianco e nero del papiro, scattate quando il documento non era perfettamente stirato, una circostanza che si rivelò fondamentale nell’origine della tesi della falsificazione.

Queste le acquisizioni più significative scaturite dal recupero del papi-ro: 1. Di là dall’assenza del titolo nel frammento Gallo va considerato l’auto-re dei versi in esso conservati: in questo senso non può non essel’auto-re ritenuta decisiva la menzione al v. 1 di Licoride, apostrofata al vocativo, e della sua

nequitia, della sua «condotta riprovevole»; non convincono i dubbi espressi

in proposito da C. Giangrande e S. Naughton.4 2. Il papiro è, molto verosi-milmente, ciò che resta del libro latino più antico a noi pervenuto; è legitti-ma la tesi del Parsons, che fissa l’arco cronologico a cui risale il documento tra il 50 a.C., quando Gallo aveva venti anni (essendo nato intorno al 70 o nel 69 a.C.),5 e il 25 d.C., che è il limite massimo entro il quale i Romani po-trebbero essersi trattenuti nella fortezza di Primis, un arco che, secondo lo studioso, può restringersi al 50 a.C.-20 a.C., dal momento che non distanti dal papiro furono rinvenuti una moneta di Cleopatra VII ed un frammento di lettera privata in greco datata all’anno 9 del regno di Augusto (22/21 a.C.); in questo senso il papiro, forse coevo di Cornelio Gallo, è di qualche anno più antico del celebre PHerc 817, contenente i resti di un libro di un poema Sulla battaglia di Azio, attribuito, tra gli altri, al poeta augusteo Rabirio, che su base paleografica si può far risalire agli ultimi anni del I

2 Anderson, Parsons, Nisbet 1979, pp. 125-135.

3 Sugli aspetti negativi della descrizione archeologica del ritrovamento cfr. Capasso 2003,

p. 25.

4 Sul problema cfr. Capasso 2003, pp. 23, 51.

sec. a.C.6 3. Il testo è scritto in capitale libraria, vale a dire «nella parti-colare maiuscola canonizzata caratteristica dei volumina latini di più alta qualità grafica»,7 da uno scriba dotato di notevole abilità calligrafica, che, tra l’altro, ha realizzato una colonna di scrittura piuttosto armoniosa, nella quale rispettivamente gli esametri ed i pentametri, questi ultimi rientrati a destra, sono perfettamente allineati a sinistra; l’impaginazione dei versi mostra già fissati i tratti fondamentali della presentazione di testi poetici che si conserverà nell’intero arco della cultura libraria occidentale.8 4. La prima colonna, molto più consistente della esilissima seconda, sulla quale non mi soffermo, contiene il pentametro finale di un epigramma o di un’ele-gia, nella quale Gallo rinfaccia a Licoride (la mima Volumnia amata da lui, e non solo da lui) la sua cattiva condotta (carme a); un epigramma completo di 4 versi, nel quale l’autore elogia quasi certamente Giulio Cesare dopo la vittoria di Munda e alla vigilia della spedizione contro i Parti, che farà di lui «la parte più grande della storia romana» (carme b); un secondo epi-gramma completo di 4 versi, nel quale Gallo è fiero di poter dire che i versi da lui dedicati alla donna amata sono stati composti dalle stesse Muse, per cui non teme affatto il giudizio dell’influente critico letterario Visco (car-me c); resti magrissimi dei primi 3 versi di una nuova poesia, nella quale è menzionata la Siria (carme d). È innegabile che tra i primi tre epigrammi (a, b, c), i quali sembrano trattare alternativamente delle passioni e delle personalità che maggiormente hanno segnato l’esistenza del poeta, ci siano delle connessioni tematiche; ed è possibile che il papiro contenesse un libro o tutti e quattro i libri della raccolta di carmi composti da Gallo e nota con il titolo di Amores. 5. Se è probabile che l’epigramma c, imitato da Virgilio nella seconda Ecloga, da lui composta nel 40 a.C., sia stato scritto da Gallo poco prima di questa data, è molto verosimile che l’epigramma b, in onore di Caesar, risalga al 45-44 a.C., appunto dopo la vittoria di Munda e poco prima della spedizione contro i Parti. 6. Certamente il rotolo con le poesie di Gallo fu trascritto non a Primis; difficile che lo sia stato in qualche altra parte dell’Egitto: molto verosimilmente la trascrizione fu eseguita in Italia e quasi certamente la presenza di quel testo nella fortezza nubiana deve essere messa in connessione con la sua conquista da parte dei Romani (25/24 a.C.) e con la loro successiva permanenza sul posto (almeno fino al 20 a.C.); qui un’élite politico-culturale romana, non necessariamente o non esclusivamente militare, comunque caratterizzata da bilinguismo e da elevati interessi culturali, leggeva, secondo quanto mostrano altri rinvenimenti papiracei a Qaṣr Ibrîm, l’Iliade e l’Odissea e scriveva lettere e documenti in greco.

6 Sul PHerc 817 cfr. Capasso 2011, pp. 45-60.

7 Così Radiciotti in Capasso 2003, p. 11.

Come è noto, nel 1984 il papiro fu ritenuto da uno studioso di letteratura latina medievale, Franz Brunhölzl,9 un falso, architettato da un membro della Missione inglese, forse allo scopo di verificare, quasi in una sorta di sfida, se le tradizionali tecniche di indagine nelle discipline umanistiche siano destinate a durare dinanzi al progredire degli strumenti tecnologici e siano perciò capaci di sostenerne il confronto. Secondo il Brunhölzl, che si basava su delle fotografie in bianco e nero del papiro non perfettamente stirato, il falsario avrebbe innanzitutto sottratto un pezzo di papiro non scritto, precedentemente rinvenuto dalla Missione; vi avrebbe delineato, utilizzando dell’inchiostro moderno, fabbricato secondo una formula an-tica, e ricorrendo ad una scrittura irregolare e disorganica, dei versi goffi e banali, costruiti sulla base del poco che si sa della vita di Gallo; avrebbe spezzato il frammento in cinque parti, che avrebbe poi seppellito non di-stanti da una moneta di Cleopatra VII, in un punto nel quale sapeva che sarebbe arrivato successivamente lo scavo ufficiale; per eliminare ogni traccia della cosa avrebbe infine approfittato di uno dei frequenti acquaz-zoni che si abbattono sulla zona.

È capitata a me la ventura di ritrovare, dopo una non agevole ricerca nei kafkiani meandri della burocrazia egiziana, il papiro in una cassa, dimenti-cato in un magazzino nella necropoli di Saqqara, restaurarlo, fotografarlo centimetro per centimetro, studiarlo e dimostrare l’autenticità del docu-mento. Non mi soffermo sugli argomenti da me addotti per dimostrare la sua genuinità;10 mi limito a dire che tutte le elucubrazioni di Brunhölzl, alcune delle quali – lo dico con rispetto per questo studioso – ricordano la trama di una fiction, alla luce soprattutto, ma non solo, dell’analisi autopti-ca dell’originale, sono svanite: le linee di scrittura sono state regolarmente delineate nello spazio non scritto del papiro; l’inchiostro non è stato appo-sto, in epoca moderna, su di un papiro antico, già consunto, ma in epoca antica su un papiro allora nuovo, che insieme con l’inchiostro si è consunto nel corso dei secoli; i segni a forma di H che separano un carme dall’altro sono attestati in altri testi antichi; la fenomenologia grafica e quella orto-grafica sono perfettamente coerenti con quanto sappiamo della scrittura e dell’ortografia latina del I secolo a.C. Può essere forse di un qualche significato il fatto che, almeno per quello che mi consta, nella produzione critica sul papiro apparsa dopo quella mia dimostrazione nessuno ha più messo in dubbio la sua autenticità.

Una ragionata, utile rassegna di questa produzione è stata pubblicata nel 2012 da Paola Gagliardi, alla quale dobbiamo, tra l’altro, una serie di puntuali, illuminanti articoli su alcuni dei versi contenuti nel

frammen-9 In Brunhölzl 1984, pp. 33-37.

to.11 La studiosa ha rilevato negli studi apparsi nell’ultimo decennio per lo più una tendenza ad esaminare i versi del papiro in relazione agli altri poeti elegiaci «o, nei casi più estremi, per cercare di ricostruire in modo più ampio la produzione di Gallo»,12 una tendenza che, a suo avviso, ha dato vita in qualche caso, soprattutto a proposito del rapporto tra Gal-lo e Properzio, a interpretazioni e ricostruzioni piuttosto speculative e sdrucciolevoli: una circostanza, quest’ultima, che, devo dire, non di rado siamo stati costretti a riscontrare nella ricca letteratura critica sul papiro. Dati per risolti problemi fondamentali posti dal documento, quali la sua autenticità e la sua attribuzione a Gallo e considerate di difficile soluzio-ne altre questioni, la Gagliardi suggerisce, e non si può non essere d’ac-cordo con lei, di «continuare ad indagare le questioni singole e concrete proposte dal papiro appoggiandosi sui dati certi, che pure ci sono, senza spingere troppo al di là di essi congetture e interpretazioni»,13 un modo di procedere che, pur nella sua lentezza, può far sperare in acquisizioni solide, tali da valorizzare il contributo del papiro alla storia della nascita dell’elegia latina e del rapporto tra Gallo e i poeti che vissero subito dopo di lui. A mio avviso, comunque, il papiro continuerà a costituire un punto di riferimento importante anche come testimone della scrittura latina e come manufatto.14

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