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I. La tragedia alfieriana: evoluzione dei modelli drammaturgici 5

III.1. Il Parere sulle tragedie

«Essendomi io immutabilmente proposto di non rispondere d’ora in poi mai più a qualunque cosa potesse venire scritta su queste tragedie, mi parve perciò cosa degna di chi ama veramente l’arte ed il vero, il dare una scorsa a ciascheduna di esse, e con quell’occhio d’imparzialità giudicarle, […]. Sarò breve, quanto più il potrò; verace quanto il comporterà il mio giudizio, che non è certo infallibile; severo, quanto il potrebbe essere un mio illuminato, e ragionevole nemico. […]: egli non altro dee contenere, che il semplice effetto, e impressione che ho ricevuto da questi poemi, […]. Il metodo che intendo di tenere, […] si è di esaminare ogni tragedia da sé quanto al soggetto, all’interesse, condotta, e caratteri di ciascuna; prendendo ad esaminarle nell’ordine in cui sono state composte, non come sono stampate: ed infine poi tutte insieme quanto all’invenzione, sceneggiatura, e stile».100

Sono queste le parole di apertura del Parere sulle tragedie, testo critico con il quale Alfieri si propone di analizzare, con occhio severo e oggettivo, tutti i suoi drammi, e di giustificarne le scelte

linguistiche e stilistiche che erano state oggetto di numerose critiche. Notizie sulla stesura del testo si rinvengono nella Vita dove Alfieri scrive: «Continuata

tutto l’88 la stampa, e vedendomi oramai al fine del quarto volume, io stesi allora il mio

100

V. ALFIERI, Parere sulle tragedie e altre prose critiche, a cura di M.Pagliai, Asti, Casa d’Alfieri, 1978, pp. 283-285.

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parere su tutte le tragedie, per poi inserirlo in fine dell’edizione» (IV,18). Questo testo divenne espressione della consapevolezza che l’autore ebbe della propria

attività letteraria, che egli fu in grado di comprendere e giudicare, inaugurando il nuovo

genere dell’autocommento e dimostrando capacità di introspezione ed oggettività. Alfieri, dopo aver passato in rassegna tutte le tragedie, difende il suo genio creativo e la

scelta di comporre tragedie brevi capaci di appassionare il pubblico senza affaticarne l’intelletto: Se la parola invenzione, si restringe a far cosa non fatta, nessun autore ha inventato meno di me: poiché di diciannove tragedie che do al pubblico, sei appena ve ne sono non fatte prima da altri ch’io sappia; e sono i Pazzi,Don Garzia, Saul, Maria Stuarda, Rosmunda, e Mirra. […]. Se poi l’inventare si estende fino a far cosa nuova di cosa fatta, credo che nessuno abbia inventato più di me; […]. Da questo adottato metodo, ne nasce che queste tragedie ne son riuscite più brevi, che nessune delle fatte da altri finora: e se elle son calde è un bene che tanto non durino per non istancare troppo: s’elle non lo sono è un bene maggiore, perché elle non tedino. E il breve, quando però egli sta nei limiti del genere suo, non lo credo mai difetto».101 Alfieri giustifica poi la propria scelta di eliminare i personaggi non necessari all’azione, che avrebbero inevitabilmente rallentato il dramma; si deve infatti all’Astigiano la riduzione dei personaggi a quattro: «Dalla soppressione d’ogni incidente episodico, e d’ogni chiacchiera che non sviluppi passione, e non conduca al fatto, ne è necessariamente derivata la soppressione di tutti i personaggi non strettamente necessari, […]. Era facile il burlarsi di questa riduzione di personaggi fino al numero di quattro soli: ma non credo che fosse facile il valersene con esito».102 Alfieri con le pagine conclusive del Parere, si dimostra fermamente deciso a dichiarare la propria originalità: «Mi pare intanto da questa esposizione del mio metodo di aver provato abbastanza ch’egli è mio, e diverso in tutto da tutti i fin qui praticati. Non dimostrerò io ch’egli sia migliore, perché far non lo debbo: ma udirò con piacere che altri mi dimostri ch’egli è peggiore. […]. Non annoverò insomma tutti [i] mezzi che non ho impiegati: ma basta credo il già detto, per provare, che in quelli adoprati, sono stato diverso dagli altri».103 Il poeta si sofferma poi sui personaggi che compaiono nelle sue tragedie dandone un giudizio positivo poiché anch’essi rappresentativi della sua originalità: «Non intendo però dire con ciò, e

101 Ivi, p. 327. 102 Ibidem. 103

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far credere altrui, che i miei siano migliori […]; pure spogliatomi poi del carattere, e occhio d’autore, guardandoli con quelli di critico, trovo loro delle bellezze, e dei difetti, e di questi non pochi; ma colla stessa sincerità assicuro chi mi vorrà credere, che non vedo in essi né le stesse bellezze, né gli stessi difetti che vedo in quegli degli altri, perché son concepiti diversi. E questa è la sola cosa ch’io ho inteso di provare nel trattare dell’invenzione di queste tragedie: ch’elle possono forse essere, o parere

mediocri o cattive, ma non mai, credo, esser giudicate non mie».104 Nel Parere Alfieri indugia poi sulle critiche più feroci che gli vennero mosse e che

colpirono l’uso, per alcuni troppo frequente, dei soliloqui: «Ma già mi sento addosso le grida dei più, che tra i difetti di sceneggiatura, […], annoverano come il primo, quello dei soliloquj. […]. Credo, che il soliloquio non sia fuori della natura d’un uomo passionato fortemente, e che medita qualche grand’opera. […]. I miei soliloquj non eccedono quasi mai 30 versi, e sono spesso minori: […]. Alcune, e forse troppe delle mie tragedie cominciano con un soliloquio; ma egli è brevissimo: è sempre fatto da uno dei personaggi primarj: in esso è racchiuso, e non per via di narrazione, ma per via di passione, tutto il soggetto della tragedia; […]; lo spettatore che ha prestato attento orecchio, viene a sapere credo, quello che non sa alle volte in altre tragedie dopo il primo atto intero».105 Alfieri, facendo menzione delle tragedie che si aprono con un soliloquio, conclude poi, a giustificazione di questo suo vasto utilizzo del monologo, che «tutte le passioni estreme, fuorché l’amore, piuttosto si concentrano nel cuor dell’uomo, ch’esternarsi: e non sono che le passioni deboli, negli enti deboli, che cercano sfogo».106 Chiude l’osservazione sui soliloqui affermando di averne ridotto il numero nelle nove tragedie che seguirono le prime dieci stampate, più per il tedio datogli dai censori che non per sua propria convinzione.

Alfieri dedica un’ultima osservazione allo stile, ponendo ad esempio un verso del

Filippo che subì ripetute revisioni, testimonianza dell’accurato labor limae cui il poeta

sottoponeva i propri testi, e chiude rivendicando nuovamente la ferma decisione di allontanarsi dagli autori tragici che lo hanno preceduto: «mi voglio valere dell’esempio d’un solo mio verso stato fatto successivamente in quattro maniere, e dirvi come e

104 Ivi, p.330. 105 Ivi, pp. 330-331. 106 Ivi, p.332.

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perché di ciascuna. E piglio a bella posta un verso di nessuna importanza,[…]. Questo è nel Filippo, atto quarto, scena quinta, […]:

I. Ai figli che usciranno dal tuo fianco. II. A quei che uscir den dal tuo fianco figli. III. A quei figli, che uscir den dal tuo fianco. IV. Ai figli, che uscir denno dal tuo fianco.

[…] Il primo verso naturale e triviale era d’uno che poco sapea far versi: il secondo era d’uno che stava imparando, tentando, e facendosi una maniera: il terzo, cioè quel che c’è, era di uno che non ha ancora in tutto conosciuto i difetti in cui era caduto: e l’ultimo forse era il verso d’uno, che a forza d’arte era pervenuto a tornare alla naturalezza, spogliandola della trivialità. […]. La totalità di questo stile, ha, e dee avere un aspetto nuovo, e suo: […]. Onde, raffrontandolo a qualunque altre specie di versi sciolti, che abbiam nella lingua, non rassomiglierà a nessuno. Tal ch’egli è lo credo[…], il migliore per tragedia, che gl’Italiani abbiano avuto fin qui; […]. Ogni autore ha, e dee avere la sua faccia». 107

Alfieri dà prova quindi della capacità di osservarsi con sguardo oggettivo e spirito critico, identificano il suo impegno di autore tragico con la conquista cui giunse attraverso uno studio continuo fatto di ripetute correzioni e modifiche; il poeta si dimostra inoltre pienamente consapevole dell’originalità e del pregio della propria arte tragica alla quale, egli è convinto, ha dato un volto nuovo.

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