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Le parole morte e la poesia che resuscita il passato

Nel documento La morte e il nulla - tesi (pagine 69-75)

1 «Un alternarsi di fiducia e di sconforto»

6. Le parole morte e la poesia che resuscita il passato

Si direbbe che sull'opera poetica di Landolfi gravi, secondo l'autore, la responsabilità di una sorta di profetismo:

Oh che compiute forme mi presenta La mia invincibile sofferenza! Parrebbe io fossi a ciò ordinato: A dar sesto a una sorte scompigliata, A rivestirla di parole vive

(Ma presto morte), di colori e suoni.

97 T. LANDOLFI, Il tradimento, cit., p. 55. 98 IVI, p. 27.

Ebbene, questo incarico declino: Io sono l'ultimo degli uomini.99

L'ultimo verso della poesia è forse tratto da un brano dell'Antico Testamento. Dove, però, il testo biblico ha perlopiù «disprezzato e reietto dagli uomini», il già citato racconto delle Finzioni di Borges, Tre versioni di Giuda, riporta una traduzione dello stesso pezzo (ad opera di Franco Lucentini) simile al verso landolfiano:

Il famoso passo: «Salirà come radice da terra arida; non v'è in lui forma né bellezza alcuna...Disprezzato come l'ultimo degli uomini; uomo di dolori, esperto in afflizioni» (Isaia, LIII, 2-3), è per molti una profezia del crocifisso nell'ora della sua morte; per alcuni (per Hans Lassen Martensen, ad esempio) una confutazione della bellezza che per volgare consenso s'attribuisce a Cristo; per Runeberg, la puntuale profezia, non d'un momento solo, ma di tutto l'atroce avvenire, nel tempo e nell'eternità, del Verbo fatto carne. Dio interamente si fece uomo, ma uomo fino all'infamia, uomo fino alla dannazione e all'abisso. Per salvarci avrebbe potuto scegliere uno qualunque dei destini che tramano la perplessa rete della storia; avrebbe potuto essere Alessandro o Pitagora o Rurik o Gesù; scelse un destino infimo: fu Giuda.100

In questa prospettiva il traditore assume lo statuto di salvatore dell'umanità e il tradimento è un atto necessario al compiersi della volontà divina. «L'ultimo degli uomini», che nell'interpretazione del protagonista del racconto di Borges è Giuda, è anche l'uomo necessario. Non a caso, alcuni versi di una poesia dello scrittore argentino verranno posti in epigrafe al Tradimento insieme a due terzine di Giuseppe Gioachino Belli. Entrambe le citazioni si riferiscono all'eternità come punizione terribile. Leggendo Landolfi, d'altro canto, si ha spesso la sensazione che esista esclusivamente un eterno presente che contiene in sé tanto il passato quanto il futuro. Anche se il ricordo è una componente fondamentale della poesia landolfiana, esso è sempre posto in rapporto al presente.

Le parole vengono riesumate e finiscono per scavare come tarli nella memoria dell'autore. Le opere che gli erano state, in qualche misura, care tornano a

99 T. LANDOLFI, Viola di morte, cit., p. 118. 100 J. L. BORGES, Tutte le opere, cit., p. 751.

esacerbare o ad alleviare gli sconforti di Landolfi. Sono accenni minimi che, a volte, solo l'autore può comprendere. Tornano temi, protagonisti e ambienti facenti parte di racconti e romanzi di un passato irrecuperabile. La pietra lunare è forse uno dei più citati:

Lontana Aziola, la tua voce Da cantoria di Donatello induce Le notti che sognavo di Gurù –

Le notti che non sono, che non saranno più.101

La donna-capra protagonista della seconda opera landolfiana è forse il simbolo di una giovinezza perduta, legata a una fantasia visionaria e folle. Con parole non molto dissimili Montale definì la Canzone di Gurù in un suo giudizio personale102

che Landolfi, più di trentanni dopo, avrebbe riportato in una sua poesia:

Canzone di Gurù – « Questo È il cantare uterino

D'una femmina folle »:

Così il grande poeta ha definito

Il cantare uterino d'una femmina folle.103

La lingua acquista senso con il trascorrere del tempo. L'uso di citazioni provenienti dalla tradizione, tanto cospicuo in Landolfi, è giustificato dal profondo legame che le parole intrattengono con i grandi poeti del passato: «Nella piazza sulle smorte trabeazioni/sono iscritti grandi versi di quel poeta/che, così, suonano più sonori e profetici/e che il tempo dota di vasta eco».104 Tempi e uomini altri

conferivano alle parole dignità e solennità. Ma i giorni che trascorrono nel tedioso vivere quotidiano non possono che esprimersi attraverso scarti di parole:

101 T. LANDOLFI, Viola di morte, cit., p. 281.

102 Nelle note a La pietra lunare, Idolina Landolfi ci informa che due copie dattiloscritte della Canzone recano «sul verso dell'ultimo foglio, per mano di Landolfi, a caratteri grandi e chiari, i nomi «Leone» [Traverso], «Eugenio» [Montale]. Si tratta evidentemente dei testi che lo scrittore aveva dato in lettura agli amici, attendendone il giudizio. E Montale, il suo, lo appone poco sotto il proprio nome (autografo, con firma, a matita): «questo “è il cantare uterino di una folle” - E. Montale».» in T. LANDOLFI, Opere I (1937-1959), cit., pp. 983-984.

103 T. LANDOLFI, Viola di morte, cit., p. 205.

Mai quest'ora distorta

Mi rende alcuna limpida parola

Donde muovere io possa a giorno nuovo. Melma e belletta solo vi ritrovo:

Torbido sedimento D'una giornata vissuta.105

Tempo innocente lo avrebbe chiamato nell'omonimo elzeviro scritto e pubblicato in quegli anni, nel quale si narra di un uomo che trascorre le proprie giornate osservando, seduto in poltrona di fronte a una sveglia, «il moto delle sfere» del quadrante. L'uomo, però, confessa poco dopo l'aspirazione ad ampliare la propria prospettiva ad altre vette e, ancora una volta, sono le parole usate a drappeggiare solennemente la sua banale attività: «Non queste sfere, bensì quelle, quelle rotanti maestosamente nello spazio, io contemplo nel o attraverso il mio quadrante. Il moto delle sfere, l'armonia delle sfere, la musica delle sfere: sì, in tali antichi termini è pienamente restituito il mio sentimento. Il mio quadrante, giovane amico, è in verità un quadrante siderale, universale».106 La contemplazione delle stelle, del

resto, è pratica che trova ampio spazio nella poesia landolfiana:

Le vergini sorelle Perse nel firmamento

Hanno anch'esse una legge, e qualche volta Le vedi travagliare, astrette

Ad insensati giri, a chiuse volte – E le piangi, e le soffri, e ti domandi Se valeva la pena

D'essere stelle, quando, Per volteggiare nella notte, Non si fugge la regola celeste. O stelle, cavalli di circo, Botoli alla catena.107

105 T. LANDOLFI, Viola di morte, cit., p.173.

106 T. LANDOLFI, Tempo innocente, in «Corriere della Sera», 23 luglio 1970; poi in ID., Diario perpetuo: elzeviri

1967-1978, cit., pp. 191-195: 193-194.

Sorte delle stelle e vita umana connessi dall'inesorabile trascorrere del tempo ricorrono spesso nelle due raccolte poetiche: «Breve perché non eterna:/Per ogni altro riguardo è lunga quanto/Il cammino da nulla a nulla/Di quella grande stella/Un istante accesa».108 Il discorso tornerà a proposito nel prosieguo di questo

lavoro, quando il tempo sarà posto in rapporto al senso della morte, massicciamente presente nella poesia landolfiana. Intanto è utile non dimenticare che la conclusione del Tradimento e quindi dell'opera poetica landolfiana sembra seguire il dettame dantesco della citazione delle stelle: «Per chi contempli le stelle/La Luna è pruno negli occhi».109

Rodolfo Sacchetti, nel saggio Le parole morte e la morte delle parole, mette in evidenza il carattere di trapasso che assume la lingua nelle opere landolfiane. Attraverso la poesia è dato scoprire «Nel presente il passato addormentato»,110

l'identità perduta (Creatura di tenebra ero forse),111 una vita precedente alla

trasmigrazione dell'anima, che assume, in alcune liriche, lo statuto universale di un'età umana di cui non esiste più alcun ricordo:

Forse, ancor che di ciò perso il ricordo, È per libera scelta che viviamo.

Dio! dove finirebbe allora L'accusa in cui ci rifugiamo? Chi soffrirebbe tanto grave soma: L'aver voluto nascere e morire?112

L'ultima punizione, allora, sta nel tradimento della memoria: «Tu ci tradisci memoria».113 Perdere il ricordo significa perdere la propria identità. La poesia ne

alimenta la ricerca, ma solo il miracolo, ancora una volta, pare essere la soluzione

108 IVI, p. 141.

109 T. LANDOLFI, Il tradimento, cit., p. 152. 110 T. LANDOLFI, Viola di morte, cit., p. 265. 111 IVI, p. 39.

112 IVI, p. 33.

improvvisa e sconcertante dell'enigma: «Le campane si sciolsero: e fu come/Fosse dichiarato il mio nome./Il mio nome rimasto sempre oscuro;/Il mio nome segreto, il mio tormento/Che si accampava di là dal vento».114

Nel documento La morte e il nulla - tesi (pagine 69-75)