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Nella prima sezione diamo spazio alla ricerca di base, dal taglio proso- pografico, che costituisce l’intelaiatura su cui sono stati fondati i successi- vi quadri di sintesi: una rassegna genealogica costruita ex novo, a partire dallo studio diretto delle carte, che intende sostituire quella di Hansmartin Schwarzmaier e contribuire a una più accurata conoscenza dei rapporti di forza e dei luoghi di potere nel territorio di influenza lucchese. Facendo pro- prie le parole di Arnaldo Momigliano con riferimento alle ricerche di Ronald Syme, «per prosopografia si intende in questo caso uno studio rivolto a de- terminare quali famiglie prevalessero politicamente e socialmente, con quali alleanze mantenessero il loro potere, e quali clientele raccogliessero intorno a sé»1. Le strutture e i processi storici delineati nella seconda parte prendo-

no le mosse anzitutto da vicende genealogiche e patrimoniali che è possibile ricostruire in dettaglio grazie alla ricchezza delle fonti disponibili. Ciascu- na storia familiare è a suo modo unica ed esemplare: può essere racchiusa con le altre all’interno della medesima cornice sintetica, composta di pochi lineamenti essenziali, eppure singolarmente mostra alcune delle sfumature, dei tratti divergenti che, per così dire, colorano e arricchiscono il quadro. A questa varietà ed alla ricchezza delle fonti si è voluto rendere qui, almeno in parte, giustizia. Così facendo, intendiamo anche fornire gli strumenti per un serrato confronto critico, mettendo a nudo una serie di elementi in grado di sorreggere e giustificare i modelli più avanti proposti.

Lo studio analitico è stato condotto sui tre più antichi, influenti e ramifi- cati gruppi parentali della “media” aristocrazia lucchese, in via primaria sep- pur non esclusiva, grazie alle migliaia di carte private conservate negli archivi ecclesiastici cittadini. Ci siamo occupati, in successione, di Figli di Rodilando (Capitolo 1), Cunimundinghi (Capitolo 2), Figli di Huscit (Capitolo 3), rispet- tando l’ordine con cui i principali esponenti dei tre ceppi compaiono nel Breve

de feora, inventario che, all’estremo superiore dell’intervallo da noi conside-

rato (896-1096), fotografa il fior fiore della società lucchese. La fonte mette

1 Momigliano, Secondo contributo, p. 337. L’apporto di Syme per la fortuna del metodo proso-

pografico nella ricerca storica è stato fondamentale. Il giudizio di Momigliano su questo tipo di approccio fu fortemente critico. Su ciò vedasi l’introduzione di Giusto Traina alla recente riedizione di Syme, La rivoluzione romana. Per la sua applicazione agli studi medievistici, può essere preso a manifesto Tellenbach, Zur Bedeutung. Su possibilità e limiti della prosopografia si veda da ultimo Prosopographie: volume collettaneo pubblicato a chiusura del monumentale progetto della Prosopographia Imperii Romani.

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in luce il prestigio goduto dai tre nella “capitale” della marca al passaggio fra IX e X secolo: essi figurano in testa alla lista di quanti allora detenevano un beneficio dal vescovato. Dei personaggi elencati nel polittico, sono gli unici la cui discendenza può essere chiaramente annoverata per caratteristiche nel segmento “intermedio” definito dalla Cortese: famiglie che possedevano cen- tri incastellati, ma non ebbero honor comitale2.

La prima delle ragioni che soggiacciono alla scelta di questo campione ri- siede, infatti, nel fattore diacronico. Ricostruire la storia dei tre gruppi paren- tali consente di ragionare su tutto lo spettro cronologico in esame, marcando i momenti di frattura e trasformazione, e di contare su un’eccezionale parabo- la di continuità biologica, ma non, tuttavia, identitaria. Sebbene le loro radici siano rintracciabili almeno dalla prima età carolingia, per avere provvisorie espressioni di autocoscienza familiare è necessario attendere l’inoltrato X se- colo, quando per alcune specifiche linee discese dai tre ceppi cominciarono a formarsi delle etichette onomastiche, ancora comunque provvisorie. Duran- te l’età romanica esse furono soggette a un processo di ulteriore ridefinizio- ne: allora furono coniate le prime vere e proprie denominazioni cognominali, ben attestate dalle fonti e conosciute in storiografia. Anche di qui discende la difficoltà di costruire delle sequenze genealogiche affidabili. Per sfruttare le grandi potenzialità del bacino documentario lucchese e spaziare su un’ampia diacronia è necessario incrociare molti dati all’interno di uno studio mirato e approfondito.

Operando questa selezione riusciamo, in secondo luogo, a coprire quasi tutto il segmento aristocratico di rango “intermedio” attivo sul territorio luc- chese. I tre gruppi possono, infatti, essere visti come la «sorgente dinastica» da cui si originò la gran parte delle casate signorili lucchesi del secolo XII3. A

questi ceppi, che si suddivisero in molteplici rami, perdendo spesso memoria dell’origine comune, più spesso nel terzo quarto del X (Figli di Rodilando, Figli di Huscit), talvolta nell’ultimo quarto dell’XI (Cunimundinghi), possono essere ricondotti rispettivamente Lambardi di Palaia e Rolandinghi; Da Villa e Ca- stelvecchio (Filii Guidi), Suffredinghi, Da Bozzano (Filii Ubaldi) e Da Castello Aghinolfi; Da Corvaia e Vallecchia, Da Montemagno, Fralminghi, Da Careggi- ne e Bacciano e Da Porcari (Primi Porcaresi). Ad eccezione dell’ultimo ramo, che si seccò nel corso del secolo XI, queste ultime denominazioni sono effet- tivamente attestate nelle fonti, come si è detto, soltanto dall’età romanica. Per riferirsi ai gruppi nel periodo precedente abbiamo, pertanto, dovuto ricorrere a etichette di comodo, in genere mai attestate nella documentazione coeva.

Quanto ai gruppi aristocratici lucchesi di affermazione più tarda, molto meno ramificati, ad essi non riserviamo qui un’analisi dettagliata: ci siamo, tuttavia, avvalsi dei passaggi più rilevanti della loro parabola storica per esem- plificare alcuni aspetti del successivo quadro di sintesi. Essi presentano, in-

2 ASDL, AAL, D, A 49, ed. Inventari altomedievali, pp. 225-226.

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fatti, vicende più brevi e in genere lineari, non così difformi dalle ricostruzio- ni già compiute dalla storiografia (le differenze sono state però puntualmente segnalate). Laddove sia stato necessario, abbiamo, d’altro canto, dedicato ad alcune di queste famiglie una trattazione più distesa in altra sede4. Un discor-

so a parte meritano le casate che si radicarono in Valdinievole (Da Uzzano e Vivinaia, Da Maona e Castiglione, Da Buggiano), ben conosciute grazie alle ricerche di Rosanna Pescaglini e Amleto Spicciani5. Non le abbiamo incluse

nel quadro di sintesi conclusivo poiché costituirono, a ben vedere, una piccola cerchia sostanzialmente sganciata dagli altri gruppi: precocemente attratta nell’orbita dei Cadolingi, gravitarono solo limitatamente attorno alla città di Lucca6.

Giova qui proporre una classificazione di insieme di queste famiglie di affermazione più tarda sulla base delle diverse stagioni della loro fioritura. Le origini dei Da Uzzano e Vivinaia risalgono alla matura età carolingia: di- sponiamo, tuttavia, di scarsissime testimonianze circa il periodo anteriore al primo quarto del X secolo, tanto che la ricostruzione del loro più distante passato è necessariamente frammentaria e rapsodica7. Un gruppo abbastanza

nutrito è, poi, composto dalle casate che salgono alla ribalta documentaria nel corso della prima metà del X secolo, in genere discese da figli di alti eccle- siastici, vescovi ed esponenti del corpo cardinalizio, nati all’interno di unioni concubinarie: De Episcopa (Figli del vescovo Pietro II) e Lambardi di San Miniato; Gherardinghi e Da Cellabarotti; Da Maona e Castiglione e Da Bug- giano. La ricerca delle loro origini è un’operazione complessa e arrischiata data la laconicità delle fonti, restie a questa altezza cronologica a esplicitare legami condannati dalle autorità ecclesiastiche.Chiudiamo la rapida rassegna con le famiglie di più recente fortuna, che assunsero caratura “multizonale” o, comunque, assimilabile alle schiatte sopra ricordate dall’ultima metà del X secolo: Giudici di Vorno (Figli del giudice Leone); Avvocati di Coldipozzo (Figli dell’avvocato Flaiperto); Berizzinghi (Secondi Porcaresi). La loro ecce- zionale e tardiva ascesa fu dovuta allo speciale favore della corte imperiale e/o marchionale: nel primo caso in epoca ottoniana, negli ultimi due durante il governo canossano. Particolare è, infine, il percorso dei Comites Versiliae, che compaiono a Lucca già ricchi e potenti nell’ultimo quarto del X secolo, attratti dalla corte marchionale: essi furono subito capaci di integrarsi nel tessuto aristocratico cittadino, allacciando legami matrimoniali di altissima levatura.

Individuato il campione di famiglie, esposti e argomentati i criteri di se- lezione, diamo conto di alcune preliminari riflessioni di metodo. Ogni singolo profilo familiare è inserito entro una griglia di lettura che consente di inqua-

4 Tomei, Locus est famosus; Tomei, Prima dei Bianchi.

5 Spicciani, Benefici, livelli, feudi, pp. 281-379; Pescaglini Monti, Toscana medievale, pp. 141-

153, 156-161, 223-246.

6 Tomei, All’ombra dei Cadolingi; Cortese, L’aristocrazia toscana, pp. 225-226.

7 Su questo ci discostiamo da Rosanna Pescaglini, che ha ricondotto la famiglia al ceppo dei

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drarne la storia entro delle coordinate politico-istituzionali di riferimento. Le vicende della “media” aristocrazia lucchese assumono pieno significato solo se poste in dialogo con quelle della marca di Tuscia, orizzonte politico su cui si dispiegarono le azioni della fitta schiera di personaggi i cui ritratti, talvolta nitidi più spesso necessariamente soltanto abbozzati, affollano questa sezione, e delle dinastie che si successero nel suo governo, con cui gli stessi soggetti riuscirono a intessere una variegata rete di rapporti e relazioni. Abbiamo per- tanto deciso di scandire ciascuna trattazione servendoci delle cesure con cui Mario Nobili ha suddiviso l’“età della marca”: il periodo adalbertino (ante 931); da Ugo a Ottone (931-969); il governo del marchese Ugo (969-1001); gli anni di Bonifacio e Ranieri (1001-1028); il periodo canossano (post 1028)8. Per cia-

scuna famiglia abbiamo dedicato da ultimo qualche pagina alle vicende di età romanica, così da seguire sinteticamente dopo l’eclissi del potere marchionale, gli esiti dei processi storici osservati in precedenza. Pur non disponendo per il secolo XII di una base di dati frutto di uno spoglio sistematico della documen- tazione, siamo riusciti a tracciare con buona continuità genealogica le sorti di tutte le casate del nostro campione che, in questo periodo, erano ancora fiorite9.

Per ciò che concerne i ritratti prosopografici, si è ritenuto opportuno re- stare fedeli alle scelte di rappresentazione onomastica compiute dagli stessi esponenti delle famiglie studiate. Di ogni nome abbiamo quindi individuato le varianti più documentate nelle sottoscrizioni, ad esempio Periteo, Sisemundo, Sighifridi, Fraolmi etc., che abbiamo adoperato poi, senza soluzione di conti- nuità, nell’analisi prosopografica. Si prenda il caso del nome Rodilando: ben- ché nel tempo si finisse per preferire la forma contratta Rolando, che suona certo meno desueta alle nostre orecchie, abbiamo adottato la forma estesa per- ché l’unica attestata nelle sottoscrizioni autografe a Lucca fino all’inizio dell’XI secolo. L’uso di una variante minoritaria è stato, infatti, ristretto a specifiche esigenze distintive. Duplice è il vantaggio che ci si attende da questa soluzione, che a prima vista può sembrare leziosa: essa rende espliciti quei collegamenti parentali e amicali che trovavano compiuta espressione attraverso la ripeti- zione di un nome (Nachbenennung) o, con particolare riguardo al sistema di denominazione germanica, mediante la variazione tematica, sta a dire la com- posizione di due elementi onomastici; più in generale, è in grado di demarcare con chiarezza sul lungo periodo il patrimonio e la tradizione onomastica cui una famiglia consapevolmente andava ad attingere, per via sia maschile, sia femminile. Se il nome può essere considerato a tutti gli effetti un “documento sociale”, il sistema onomastico di una famiglia può essere visto alla stregua di un “testo”, prodotto della cultura e della autocoscienza del gruppo10.

8 Nobili, Gli Obertenghi, pp. 125-150.

9 Circa l’uso dell’espressione età romanica per riferirsi al «carattere unitario e originale (…) del

primo grande sviluppo economico successivo al 1000», al contempo urbano e rurale, si veda Faini, Firenze, p. XXIX.

10 Le Jan, Famille et pouvoir, pp. 179-223; Devroey, Puissants et misérables, pp. 113-123; Nobi-

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Chiosiamo con un’ultima, ma non meno importante, considerazione. Al fine di ottenere ricostruzioni genealogiche coerenti, specie per la sezione più alta dell’arco cronologico considerato, fase in cui la struttura parentale fu più fluida, non ancora dotata di una precisa e definita identità di gruppo, è sempre bene attenersi al celebre Rasoio occamiano: «Entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem». Per quanto ci è stato possibile, abbiamo evitato di ri- correre a soluzioni contorte e artificiose che forzano il dato documentario, complicano il processo risolutivo e finiscono, in ultima istanza, per essere facilmente smontate; soprattutto su base paleografica. In mancanza di un significativo cumularsi di elementi positivi, si è preferito avere rispetto del silenzio delle fonti.

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