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11.1. Il

quadro

storico-culturale

della

plastica

antropomorfa bronzea sarda

La scarsità dei dati di contesto inducono a utilizzare una certa cautela nella ricostruzione delle sequenze cronologiche relative al fenomeno della piccola plastica di bronzo sarda. Allo stato attuale i riferimenti più puntuali per una datazione dei bronzetti rimangono quelli provenienti dall’Italia medio-tirrenica dove bronzi figurati di fattura o imitazione sarda facevano parte del corredo funerario di sepolture inquadrabili tra la seconda metà del IX secolo a.C. ed il terzo quarto dell’VIII secolo con attestazioni del VII e inizi VI secolo (Milletti 2012). Questi cimeli erano considerati dalle popolazioni villanoviane beni di prestigio esotici che sottolineano lo status dei defunti e pertanto erano il segno di un sistema di relazione tra le comunità delle opposte sponde del Tirreno basato sullo scambio di doni come suggello di alleanze di tipo commerciale e politico (Sciacca 2006).

In Sardegna, invece, i riferimenti cronologici puntuali che consentano una datazione certa dei depositi votivi contenenti bronzi sono molto scarsi. L’ampio panorama di rinvenimenti, notevolmente accresciuto nel corso degli anni, non è infatti supportato dall’esauriente pubblicazione dei dati di scavo archeologico.

Alcuni studi recenti riguardanti i rapporti tra il mondo villanoviano-etrusco e quello protosardo hanno considerevolmente migliorato le nostre conoscenze riguardo il catalogo delle attestazioni e le caratteristiche dei contesti di provenienza dei bronzi di importazione o imitazione italica in Sardegna (Ialongo 2011b; 2013; Milletti 2012; Salis & Minoja 2015). In particolare, la revisione della documentazione archeologica ha consentito di registrare la frequente associazione di fibule ad arco ribassato e ingrossato, a sezione romboidale e a sanguisuga, con statuine antropomorfe presso le località di culto e all’interno di ripostigli isolati.

Tale constatazione fornisce degli indizi a favore dell’ipotesi di una contemporaneità tra la formazione dei corredi funerari dell’Italia villanoviana e la produzione dei bronzi figurati antropomorfi nell’isola che si oppone alla tesi dei “falsi contesti”, sostenuta da diversi studiosi, secondo la quale esisterebbe, invece, uno scarto cronologico tra i due eventi (Campus & Leonelli 2012; Campus et al. 2010).

Un ipotesi di scansione cronologica dell’intero repertorio di bronzi figurati è stata oggetto di discussione di una recente tesi di dottorato realizzata da Ialongo. L’autore del lavoro, partendo dalla pubblicazione di materiali inediti fittili e di bronzo del santuario di S. Antonio di Siligo, realizza una seriazione crono-tipologica delle diverse categorie di manufatti. Tale griglia diacronica colloca gran parte del repertorio bronzo figurato nel Primo Ferro sardo il quale viene suddiviso in quattro fasi sincrone alla periodizzazione dell’Italia medio-tirrenica, PF1A-2B, che comprende per intero i secoli IX e VIII a.C. (Ialongo 2013).

La periodizzazione delle fasi successive l’VIII secolo a.C. risulta, invece, ancora incerta a causa del persistente vuoto documentale archeologico. Secondo Alessandro Usai durante questo orizzonte cronologico arriva a compimento la crisi dell’esperienza culturale nuragica che si conclude con la rapida assimilazione di nuovi tratti culturali sfociati dal contatto con una sempre più forte presenza di agenti levantini nelle coste dell’isola e conseguente perdita dell’identità culturale locale nuragica (Usai 2012b).

Recentemente sono emersi indizi in favore di una prosecuzione della produzione di bronzi figurati durante il VII e VI secolo a.C.. Le ultime campagne di scavo del santuario-villaggio di S’Arcu ‘e is Forros di Villagrande Strisaili hanno interessato due isolati di capanne con cortile

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Giovanni Piredda, Los Bronces Antropomorfos de la Cerdeña Nurágica, Tesi di Dottorato in História, Universitat Pompeu Fabra-Barcelona, e “Storia, Letterature e Culture del Mediterraneo”, Università degli Studi di Sassari.

centrale adiacenti ai templi a Megaron. All’interno nell’insula 1 venne scavato un ambiente rettangolare fungente da officina per la lavorazione di bronzi figurati con la tecnica della cera persa arredata con una base da lavoro fornita di forni a basso fuoco sui quali si individuarono tracce di stagno e piombo, pozzetti per lo scarico della cera e dell’argilla e strumenti litici. A conferma di questo fu anche rinvenuto un frammento di piede di bronzetto inglobato nel piombo fuso.

Nel secondo isolato si recuperarono tre grandi ripostigli composti da frammenti di bronzi d’uso e figurati di produzione locale e cimeli di importazione quali ad esempio fibule ad arco ingrossato, a sanguisuga, a navicella con decorazioni geometriche; strumenti di ferro e grappe di piombo; recipienti di bronzo tra i quali si annoverano due bacili, una brocchetta con ansa a nastro e decorazione a cordicella e un oinochoe con collo largo, orlo estroflesso e ansa con attacco a palmetta. A questi ritrovamenti bisogna aggiungere un frammento di cantharos di bucchero etrusco rinvenuto nel vano 2 in un livello sottostante quello nel quale fu ritrovato il primo ripostiglio.

Il complesso dei materiali, depositi in previsione di una loro rifusione, indica una frequentazione del sito perdurata durante l’arco cronologico compreso tra l’IX secolo a.C. ed il VI secolo a.C. (Fadda 2012a, pp.56–76).

Insieme ai manufatti di importazione, alcuni dei quali costituiscono imprescindibili agganci cronologici, si recuperarono bronzi figurati di produzione locale quali ad esempio, faretrine, bottoni, spade del tipo Monte sa Idda e una navicella integra con protome bovina. La formazione di questi ripostigli deve essere ricondotta alle fasi durante le quali erano funzionanti gli ambienti di lavorazione del metallo.

L’attività metallurgica a S’arcu ‘e is Forros era finalizzata alla fabbricazione di oggetti a destinazione votiva che venivano esposti negli ambienti di culto del medesimo sito o in alternativa venivano fatti circolare nel mercato interno dell’isola e all’esterno.

La composizione dei ripostigli del santuario invita a riflettere circa i vettori del commercio tra le opposte sponde del Mar Tirreno. Nel resto della Sardegna si annoverano diverse attestazioni di beni di manifattura greco-etrusca o di imitazione, trovati insieme a manufatti rispondenti alla produzione locale, all’interno di Templi a Pozzo, Fonti Sacre e Nuraghi-Santuario. L’ammontare di queste attestazioni è pari a circa un terzo dei rinvenimenti etruschi di tutta l’isola (Santocchini Gerg 2010; Santocchini Gerg 2011).

Tra le località che hanno restituito questo tipo di offerte ci sono il pozzo sacro di Camposanto di Olmedo dove, insieme alla figura di stile levantino, fu rinvenuta una statuina di un Kouros di fattura probabilmente etrusca, il nuraghe Nurdole di Orani da cui provengono una figura di leone accovacciato che guarda indietro di gusto orientalizzante, una statuetta acefala, nuda con la gamba sinistra avanzata che accenna una falcata, un amuleto riproducente la testa di una figura con un disco incastrato tra due corna collocate sopra la testa.

Allo stile marcatamente fenicio appartengono anche due figurine dell’insediamento di Monte Sirai rinvenute nella torre centrale del nuraghe in un contesto molto tardo, IV secolo, ma probabilmente sono residui dei livelli più antichi precedenti l’insediamento levantino. Il nuraghe Flumenelongu presso il quale fu rinvenuto un busto di bronzetto con copricapo tipo corona bianca dell’alto Egitto. Il santuario di Abini-Teti e annoverano esemplari di statuine antropomorfe fittili affini a ad altri esemplari ritrovati nel sito di S’Urbale-Teti e datate dagli autori della scoperta al VI secolo a.C. (Babbi 2008).

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In definitiva, i dati che stanno pian piano stanno emergendo nel corso degli ultimi anni suggeriscono di inquadrare il fenomeno della piccola plastica di bronzo antropomorfa all’interno di tre fasi sequenziali. Una prima fase iniziale che grossomodo è possibile inquadrare tra il X e la prima metà del IX secolo a.C. (BFIII-PF1A) nella quale nasce la bronzistica figurata antropomorfa la quale emerge come un fenomeno gestito collettivamente nei grandi piccoli complessi santuariali. In quel momento non emergevano a livello formale differenze di ordine sociale tra i membri delle stesse comunità. Il repertorio ritraeva offerenti-rituanti e guerrieri senza specifiche connotazioni aggiuntive di status.

Nella seconda fase inquadrabile a partire della seconda metà del IX e per tutto l’VIII secolo a.C. nella quale emergono nuovi canoni estetici nell’arte figurata che riflettono l’emergere di una differenziazione di condizione sociale a livello formale tra membri della stessa comunità. Nacque un ceto dominante di tipo gentilizio a cui erano vincolati gruppi subordinati. Le élites gestivano le risorse del territorio intraprendendo senza intermediari una politica di relazioni con l’Etruria Villanoviana e partecipavano attivamente al commercio trans-mediterraneo che coinvolgeva le aree geografiche della Penisola Italiana, la Sicilia, l’Africa del Nord e la Penisola Iberica fino alle coste atlantiche. Allo stesso tempo, le comunità locali accoglievano agenti mercanti e artigiani di diversa provenienza che ne influenzarono profondamente il sistema di produzione e i tratti culturali (Rendeli 2012b).

La terza fase corrispondente all’arco cronologico tra la fine dell’VIII secolo a.C. e gli inizi del VI secolo, è caratterizzata dal passaggio verso nuove forme di autorappresentazione distinte da quelle nuragiche. I rinvenimenti di manufatti di pregio etruschi nei luoghi di culto ereditati dall’epoca nuragica e la contemporanea presenza di manufatti sardi in ambito etrusco suggerisce l’ipotesi che le élites locali sarde, eredi della cultura, continuassero a intraprendere una politica di sviluppo dei rapporti trans-tirrenici in maniera indipendente e autonoma rispetto a quella condotta dalle colonie fenicie ricevendo da questi stimoli che ebbero riflessi anche nella produzione della bronzistica locale (D’Oriano 2004; Tronchetti 1988).

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