• Non ci sono risultati.

40 1. Iside

Ἑλληνικὸν γὰρ ἡ Ἶσίς ἐστι1

: Plutarco introduce con questa affermazione paradossale la rassegna delle etimologie divine nel De Iside et Osiride. L’opera si apre con un’appassionata descrizione della sostanza intellettuale del divino, cui viene riconosciuto l’accesso esclusivo alla sapienza autentica. Il dio permette agli uomini di partecipare di questa dimensione, purché essi si sforzino di raggiungere con uno slancio della mente la sfera della verità (θειότητος ὄρεξίς ἐστιν ἡ τῆς ἀληθείας μάλιστα δὲ τῆς περὶ θεῶν ἔφεσις)2. Plutarco pone l’accento sull’analisi dei culti e del senso del sacro

espresso nei templi e nelle cerimonie; la preghiera con cui l’uomo cerca di stabilire un rapporto con gli dèi è interpretata come una incessante richiesta di partecipazione alla ἐπιστήμη che li riguarda e che coincide con la verità immutabile. L’apostrofe alla sacerdotessa Clea, iniziata ai misteri di Iside, giustifica il ruolo centrale giocato dalla dea egizia nel prologo dell’opera: la riflessione sull’eternità assume il valore di un ufficio divino, specialmente se essa si riferisce a una divinità che onora la ricerca sapienziale, come nel caso di Iside. Ella porta nel suo stesso nome la traccia del verbo εἰδέναι; esso è inoltre composto di -ισ-, elemento riconoscibile nella parola ἐπιστήμη3

. Ἑλληνικὸν γὰρ ἡ Ἶσίς ἐστι καὶ ὁ Τυφὼν πολέμιος <ὢν> τῇ θεῷ καὶ δι’ ἄγνοιαν καὶ ἀπάτην τετυφωμένος καὶ διασπῶν καὶ ἀφανίζων τὸν ἱερὸν λόγον, ὃν ἡ θεὸς συνάγει καὶ συντίθησι καὶ παραδίδωσι τοῖς τελουμένοις <διὰ> θειώσεως σώφρονι μὲν ἐνδελεχῶς διαίτῃ καὶβρωμάτων πολλῶν καὶ ἀφροδισίων ἀποχαῖς κολουούσης τὸ ἀκόλαστον | καὶ φιλήδονον, ἀθρύπτους δὲ καὶ στερρὰς ἐν ἱεροῖς λατρείας ἐθιζούσης ὑπομένειν, ὧν τέλος ἐστὶν ἡ τοῦ πρώτου καὶ κυρίου καὶ νοητοῦ γνῶσις, ὃν ἡ θεὸς παρακαλεῖ ζητεῖν παρ’ αὐτῇ καὶ μετ’ αὐτῆς ὄντα καὶ συνόντα. τοῦ δ’ ἱεροῦ τοὔνομα καὶ σαφῶς ἐπαγγέλλεταικαὶ γνῶσιν καὶ εἴδησιν τοῦ ὄντος· 1 De Is. et Os. 351 F. 2 De Is. et Os. 351 E.

3 Nel Cratilo (437a3 sgg.), Platone connette ἐπιστήμη a histemi, proprio per indicare una conoscenza

salda, non precaria. Il nome egiziano sembra connesso all’aspetto della regalità; Iside andrebbe forse intesa come personificazione del trono di Osiride (Gwyn Griffiths 1970, 258). La paronomasia tra Iside e la radice verbale che indica percezione e conoscenza ha almeno un precedente nella letteratura greca: Callimaco nell’epigramma 49 propone un gioco di parole scherzoso a proposito di una maschera comica di terracotta “simile [...] ai lucignoli di Iside” (tr. D’Alessio),λύχνοις Ἴσιδος εἰδόμενον. Non si tratta che di una suggestione fonica, che tuttavia potrebbe denotare il riconoscimento di un’affinità semantica tra i due termini da parte del poeta.

41

ὀνομάζεται γὰρ Ἰσεῖον ὡς εἰσομένων τὸ ὄν, ἂν μετὰ λόγου καὶ ὁσίως εἰς τὰ ἱερὰ τῆς θεοῦ παρέλθωμεν.4

ὢν add. Reiske; θειώσεως: <διὰ> add. Reiske: ὡς ἱερώσεως Cole Babbit; θείως ὁσίως τε Wyttenbach; κολουούσης: κολουούαις MSS.

Plutarco contrappone a Iside un altro dio egizio, il cui nome può facilmente essere riconosciuto come greco: si tratta di Tifone, il corrispettivo ellenico di Seth. A questa divinità Plutarco si riferisce sempre con il nome Τυφών, pur avvertendo il lettore che gli Egizi sogliono chiamarlo Seth, che significa “l’oppressore”5

. Privilegiando l’identità greca del dio6, Plutarco ha buon gioco nel fornire un’etimologia che ne evidenzia il carattere ottuso e violento, in contrapposizione all’amore per la sapienza che contraddistingue Iside. Tifone viene connesso a τετυφωμένος, «essere pazzo per l’eccessiva superbia», e viene descritto come un principio distruttore del sacro e del vero, vittima dell’ignoranza e della bestialità; nell’ordine cosmico simboleggiato dalla saga di Iside e Osiride, esso rappresenta τὸ ἐπίκηρον, la parte mortale, instabile e soggetta alle passioni7. Per comprendere la natura di Iside è necessario porre attenzione a ciò che ella compie per contrastare l’operato di Tifone: se questi «smembra la ragione divina» (τὸν ἱερὸν λόγον8), come Seth fa con il corpo di Osiride, è compito di Iside raccogliere questi brandelli di sapienza e ricomporli con ordine, per metterli a disposizione degli iniziati. Il suo ruolo è essenzialmente di mediazione e di esempio; la paziente raccolta delle tracce del divino richiede un regime di astinenza e un insieme di pratiche spirituali propedeutiche alla piena intellezione del supremo principio divino (τοῦ πρώτου καὶ κυρίου καὶ νοητοῦ).

4 De Is. et Os. 351 F-352 A: «Iside, infatti, è un nome greco, e così anche quello di Tifone, il nemico della

dea, orrendamente gonfio per gli inganni dell’ignoranza. È lui a stracciare e cancellare la sacra Ragione, che la dea poi raccoglie e ricompone per trasmetterla agli iniziati: a significare che la tensione verso il divino, attraverso una regola di vita costante e morigerata e l’astinenza dall’eccesso di cibo e di piaceri amorosi, consente da un lato di frenare l’incontinenza e la libidine, dall’altro abitua a sopportare la durezza e il rigore degli esercizi spirituali, il cui fine è la conoscenza dell’Essere primo, del Signore, dell’Intelligibile. La dea stessa ci chiama a cercarlo, perché presso di lei e insieme a lei esso vive in perenne unione. Anche il nome stesso del tempio promette apertamente la conoscenza e la comprensione dell’essere: Iseion si chiama, e ciò vuol dire che noi comprenderemo l’essere se sapremo accostarci con spirito razionale e al tempo stesso devoto ai riti della dea» (tr. Cavalli con modifiche).

5 Cfr. De Is. et Os. 367 D. Questa etimologia viene approvata dagli egittologi; cfr. Gwyn Griffiths 1970 e

Hopfner 1991 ad locum.

6 Cfr. De Is. et Os. 371 B: τοὔνομα κατηγορεῖ τὸ Σήθ, ᾧ τὸν Τυφῶνα καλοῦσι. 7

De Is. et Os. 371 B.

8

Non credo che questa espressione vada modificata in νεκρόν, termine peraltro non trasmesso dai manoscritti, come vorrebbe Gwyn Griffiths in base alla ricorrenza a 373 A; mi pare anzi che essa metta in risalto il valore simbolico che Plutarco attribuisce alla mistica egiziana. L’intero passo è punteggiato di termini facenti capo all’iniziazione misterica.

42

L’accostamento di Tifone e Seth permette di chiarire un aspetto fondamentale del

modus operandi di Plutarco, che trova nella lettura etimologica un punto di appoggio

sicuro per la fusione armoniosa dell’interpretazione onomastica greca con quella egizia. La corrispondenza tra Tifone e Seth non è nuova nella cultura greca9, ma non trova un immediato riscontro nei dati della tradizione mitologica più antica, in base alla quale Tifone era il mostruoso figlio di Tartaro e Gea, divenuto fiero avversario di Zeus dopo la sconfitta dei Titani e a sua volta annientato dal signore dell’Olimpo10

. La vicenda di Seth è in parte differente: egli era il fratello di Iside e Osiride e dunque era un dio a tutti gli effetti, oltre a essere l’artefice dello smembramento del corpo di Osiride nel corso della lotta per il potere. Prima di Plutarco, già Erodoto aveva parlato dello scontro tra i due dèi, riferendosi a Seth con il nome di Tifone11 e ricordandone la sconfitta definitiva a opera di Horos/Apollo. L’affinità tra i due dèi è quindi sostenuta dal ruolo di ‘avversari’ che essi rivestono nei rispettivi miti, ma è garantita ancor più saldamente dall’interpretazione etimologica che Plutarco tratteggia per le loro denominazioni. Il nome di Tifone era già stato connesso al concetto di arroganza da Platone, Phaedr. 230a12, ma la paronomasia trova nuova linfa nella lettura di Plutarco, che pone Tifone e Seth in antitesi a divinità che incarnano la sapienza. Secondo Gwyn Griffiths, riconoscere in Tifone un nome greco può solo significare che «the explanation of this Greek name sheeds light on the nature of the Egyptian god»13; tuttavia, l’interpretazione congiunta del nome di Tifone e di quello di Seth, “l’oppressore”, suggerisce un legame più profondo tra queste due figure, accomunate dal ruolo di forze oscure, ma anche da

9 Walter Kranz (Kranz 1934, 114-115) ha ravvisato nelle Supplici di Eschilo, vv. 559-560, un chiaro

indizio della conoscenza della religione egizia da parte del tragediografo e dei suoi compatrioti già in una fase molto antica; bisogna però notare che il coro parla della furia di Tifone, problematicamente identificata con l’acqua del Nilo, che irrompe sulla piana d’Egitto, ma non menziona Seth o altri dèi egiziani; se pure si può considerare assodata l’omologia tra i due dèi, già individuata da Ecateo, la menzione di una forza distruttrice là dove si parla della qualità fecondante del fiume crea gravi problemi di senso. Friis Johansen e Whistle notano l’incompatibilità di questo dio ostile con il contesto di esaltazione della fertilità della terra (cfr. v. 558 Δῖον πάμβοτον ἄλσος) e pongono il verso 560, Τυφῶ μένος, tra cruces, poiché, a livello logico, nessuna spiegazione risulta soddisfacente (1980, ad locum).

10 Cfr. Hes. Th. 820-868, dove il mostro è chiamato Τυφωεύς.

11 Cfr. Hdt. II 144, 2: Ὕστατον δὲ αὐτῆς βασιλεῦσαι Ὧρον τὸν Ὀσίριος παῖδα, τὸν Ἀπόλλωνα Ἕλληνες

ὀνομάζουσι· τοῦτον καταπαύσαντα Τυφῶνα βασιλεῦσαι ὕστατον Αἰγύπτου. Ὄσιρις δέ ἐστι Διόνυσος κατὰ Ἑλλάδα γλῶσσαν. È singolare che Erodoto offra la doppia denominazione, greca e egizia, per tutti gli dèi meno che per Seth, indicato unicamente alla maniera ellenica.

12

Plat. Phaedr. 230a: σκοπῶ οὐ ταῦτα ἀλλ’ ἐμαυτόν, εἴτε τι θηρίον ὂν τυγχάνω Τυφῶνος πολυπλοκώτερον καὶ μᾶλλον ἐπιτεθυμμένον, εἴτε ἡμερώτερόν τε καὶ ἁπλούστερον ζῷον, θείας τινὸς καὶ ἀτύφου μοίρας φύσει μετέχον. Il gioco di parole include anche il riferimento al verbo τύφω, «emettere fumo»: secondo il mito, le cento teste di Tifone spiravano fiamme.

43

una natura violenta e ottusa che giustifica l’attribuzione di appellativi che rimarcano questo aspetto. Il nome è il suggello esteriore che conferma l’affinità intima tra questi dèi nel quadro dell’ordine cosmico14.

A proposito della descrizione dell’insieme di pratiche iniziatiche che deriverebbero dall’ispirazione divina, la lezione trasmessa dai manoscritti, θειώσεως, ha creato alcuni problemi interpretativi. Innanzitutto è stata messa in questione la pertinenza del lemma; Wyttenbach ha pensato di potere sciogliere il termine in due avverbi, θείως ὁσίως τε, che preciserebbero in maniera un po’ ridondante la natura dell’azione della dea; tuttavia questa congettura rende molto problematica la costruzione in genitivo assoluto che i due participi κολουούσης e ἐθιζούσης presuppongono: se essi si riferissero a Iside, dovrebbero figurare al nominativo, dal momento che la dea è il soggetto della frase principale. Cole Babbit ha dubitato della correttezza di θείωσις, termine poco attestato, e ha preferito emendare in ὡς ἱερώσεως. Entrambi i termini hanno scarse attestazioni e l’intervento di Cole Babbit è piuttosto mirato a evidenziare il valore causale del genitivo assoluto. Froidefond e Gwyn Griffiths mantengono a testo la lezione θειώσεως15, forma di genitivo singolare; essa deve essere intesa come reggente di una costruzione al genitivo assoluto, da coordinare con i participi κολουούσης16 e ἐθιζούσης. Per questa ragione, l’integrazione <διὰ>, opera di Reiske, sembra superflua per una buona comprensione del testo, che si può reggere tranquillamente sulle lezioni trasmesse dai manoscritti. Non mi pare facilmente giustificabile neppure l’espunzione della relativa ὃν ἡ θεὸς παρακαλεῖ ζητεῖν παρ’ αὐτῇ καὶ μετ’ αὐτῆς ὄντα καὶ συνόντα, proposta da Sieveking; essa non è affatto una glossa esplicativa rispetto a quello che viene detto in precedenza, e aggiunge un dettaglio prezioso sul rapporto di comunione tra Iside e il dio sommo17.

L’agire di Iside corrisponde alla vera filosofia, nella misura in cui entrambe mirano a far comprendere all’uomoτὸ ὄν, che assume probabilmente un valore metafisico superiore a “tutto ciò che è”, poiché questo è il massimo grado di comprensione che l’uomo può

14 Lo stesso Plutarco, in De def. or. 421 C-D menziona il “peccato” commesso da Tifone contro Osiride,

mescolando la tradizione egizia con quella greca dei Titani.

15 Essi traducono, rispettivamente: «une disposition divine» e «the process of consecration». 16

Questa lezione, sicuramente corretta, è stata appuntata da un anonimo in luogo del termine trasmesso dai manoscritti, ovvero κολουούαις; l’errore si è chiaramente generato per la confusione con il vicino ἀποχαῖς e per la grande distanza tra il verbo e il sostantivo reggente.

17 Inoltre, la “chiamata” è un tratto tipico del culto isiaco; cfr. ad es. Ap. Met. XI.21 (neque vocatus

44

raggiungere da solo, mentre il sostegno di Iside può consentire un passo ulteriore nella ricerca del divino. Il richiamo al tempio e ai riti della dea come luoghi privilegiati per intraprendere un percorso di γνῶσις si avvale ancora una volta della vicinanza fonica tra Ἰσεῖον e i verbi di conoscenza; in particolare, Hopfner sottolinea che la pronuncia corrente ai tempi di Plutarco confondeva il suono di ει e di ι; εἰσομένων veniva quindi percepito come ἰσομένων, ciò che rende ancora più efficace il processo di lettura etimologica. Dietro l’impiego così disinvolto di un nome straniero entro il sistema linguistico greco non bisogna però sospettare un’astuzia retorica di Plutarco, che cercherebbe di annettere in maniera gratuita al pantheon ellenico una divinità a esso completamente estranea: il nome di Iside era da tempi molto antichi al centro dell’attenzione di storici, filosofi e poeti greci, e l’integrazione nella cultura ellenica del frutto più alto della tradizione religiosa egizia sembra compiuto all’epoca di Plutarco.

1.1 Il nome di Iside nella cultura greca

Nel suo saggio sulla saggezza straniera, Arnaldo Momigliano ritenne di lasciare da parte l’indagine sistematica del rapporto politico e culturale tra la Grecia e l’Egitto nell’età ellenistica. Ciò essenzialmente per due ragioni: in primo luogo, perché l’Egitto venne sempre considerato dai Greci “il deposito di un sapere fuori dal comune”18

, senza che questo atteggiamento di fondo subisse modifiche nel corso del periodo preso in esame dallo storico piemontese; in secondo luogo, in quanto “la cultura egizia originaria decadde nell’età ellenistica perché soggetta al diretto controllo greco, fino a divenire indice di classe sociale inferiore”19

. Momigliano non rinveniva elementi di interesse storico-antropologico nell’Egitto ellenizzato20, ma riconosceva che questo stato di cose era il frutto di secoli di ininterrotta frequentazione tra le due culture, che durava sin dai tempi di Omero21, sebbene essa non rispettasse mai i termini di uno scambio paritario: la tendenza greca fu sempre quella di tradurre in termini greci le peculiarità straniere, anche a costo di creare falsità vistose o di cadere in equivoci grossolani. Ciò non significa che i Greci intendessero sempre e comunque sminuire la sapienza egizia: la ricostruzione erodotea dei rapporti di derivazione della religione greca dall’Egitto

18 Momigliano 1980, 5. 19 Momigliano 1980, 6. 20

Lo stesso Momigliano ricorda però una pagina acuta di Polibio sull’Egitto, o meglio sulla composizione della cittadinanza di Alessandria, dove gli Egiziani vengono definiti in termini positivi: τό τε Αἰγύπτιον καὶ ἐπιχώριον φῦλον, ὀξὺ καὶ πολιτικόν. Pol. Hist. XXXIV 14; la citazione si trova in Momigliano 1980, 40.

45

dimostra una grande considerazione per la saggezza nilotica22. Il problema è che questa e molte altre analisi della civiltà egizia mancano completamente di attendibilità storica e si fondano su dati francamente bizzarri, se non addirittura fantasiosi. Ciò è motivato dalla tendenza greca, che è già presente in epoca classica e che assume nuove forme durante la dominazione tolemaica dell’Egitto, ad attribuire alla saggezza straniera l’origine di usanze, scienze e riti per cui i Greci non riescono a trovare una documentazione attendibile in patria; in altre parole, l’Egitto ha la funzione di colmare le lacune degli storiografi greci, che a partire da questa necessità cominciano a interessarsi alla cultura di quella terra, «mapping an otherwise unfamiliar mental landscape»23. La convivenza tra le due culture in epoca tolemaica porta a contaminazioni e tentativi di conciliazione più o meno riusciti (Ecateo di Abdera, Evemero di Messene, Dionigi di Mileto), ma all’epoca di Plutarco il contatto più stretto tra Egitto e Grecia si è realizzato probabilmente a livello cultuale, in virtù di un diffuso atteggiamento sincretistico che conduce a parziali teocrasie tra divinità greche e egiziane24.

Il nome di Iside fa la sua prima comparsa in greco nel V sec. a.C., in area ionica su un’iscrizione apposta su una statua bronzea dedicata alla dea, nella forma genetivale

22

Non si può non ricordare a questo punto il monumentale e controverso studio di Bernal 1987, teso a modificare quello che l’autore definisce «the Aryan Model» nell’approccio al mondo mediterraneo antico. Secondo Bernal, a partire dall’Alto Medioevo la ‘cultura occidentale’ avrebbe cercato in ogni modo di cancellare o limitare l’importanza delle radici afroasiatiche della civiltà ellenica, divenuta nel frattempo pietra angolare per la definizione dell’identità europea; i Greci avrebbero invece avuto ben presente il loro debito verso la sapienza egiziana in particolare. Bernal propone in sostanza di tornare ad adottare «the Ancient Model» per ridimensionare l’arroganza culturale dell’Europa. Questa tesi ha sollevato numerose obiezioni, sia nel merito di alcune questioni, sia per la visione d’insieme che ne risulta. La raccolta di saggi curata da Mary Lefkowitz nel 1996, Black Athena Revisited, ha illustrato i punti deboli e le contraddizioni di fondo dell’opera: nell’introduzione, la stessa Lefkowitz (1996) ha messo in guardia dal pregiudizio intimamente razzista che cova nella rivalutazione delle culture africane e asiatiche operata da Bernal alla luce del loro contributo alla formazione della civiltà ellenica e ha invitato a distinguere accuratamente, anche all’interno delle fonti antiche, tra ciò che davvero si può considerare storicamente fondato e ciò che invece è riconducibile al mito. Coleman 1996 ha corretto alcune opinioni errate di Bernal in merito all’interazione tra Greci e gli altri popoli mediterranei, sottolineando peraltro che «nobody would maintain that Greece developed in a vacuum» (280), ma che i rapporti con altre culture vanno analizzate secondo il metodo storico contemporaneo, in base a conoscenze che potevano sfuggire anche agli storiografi antichi. L’eccessiva leggerezza nel prendere alla lettera Erodoto è imputata a Bernal anche da Tritle 1996.

23

Stephens 2003, 21; lo studio di Stephens si concentra in particolare sull’Egitto tolemaico e sulla cultura greca che fiorisce in questo contesto interculturale. Sul mito dell’Egitto nella Grecia classica si veda anche Vasunia 2001.

46

THS ESIOS25. Come è ovvio, Erodoto non manca di menzionare il culto di Iside nella sua ricognizione della terra del Nilo; egli si adopera per individuare l’omologa greca di tale divinità, che viene riconosciuta in Demetra26. La maggiore fortuna di Iside in Grecia si riscontra a partire dall’età ellenistica, quando l’assimilazione dell’Egitto alla sfera d’influenza ellenica favorisce l’ingresso di alcune divinità “nazionali” nella letteratura greca. Il caso di Iside conosce una grande ricchezza di interpretazioni; di particolare interesse appare la versione che sarebbe stata formulata da Ecateo di Abdera (vissuto a cavallo tra IV e III sec. a.C.), il cui unico testimone è Diodoro Siculo, I, 10- 1227. In realtà, l’attribuzione a Ecateo dell’intera sezione dedicata alla civiltà egiziana è piuttosto controversa, anche per la presenza in essa di teorie risalenti al I sec. a.C. che sono senz’altro frutto di una rielaborazione operata da Diodoro28

. Sappiamo da Diogene Laerzio, I, 10, che Ecateo di Abdera aveva associato Iside e Osiride alla luna e al sole, «but this was a popular belief in Hellenistic times»29 e questo dato non basta da solo a dirimere il problema della paternità della sezione diodorea. La diatriba non ha trovato una soluzione unanime, benché il buon senso induca a tener conto del probabile rimaneggiamento delle fonti da parte di Diodoro. Il passo in questione fornisce una lettura allegorizzante delle divinità egizie, che vengono connesse ai corrispettivi dèi del

pantheon greco in virtù del comune ambito fisico di influenza. Iside viene identificata

con la luna e per questo viene accostata a Demetra30. L’autore di questa trattazione, chiunque egli sia, non esce tuttavia dal solco della tradizione erodotea e sembra affermare la priorità cronologica delle divinità egizie su quelle greche. Egli individua in Iside e Osiride i due dèi principali della cosmologia egizia; ciò sembra confermare la stabilità e il prestigio del culto di queste due divinità nel contesto del variegato regime politeista vigente nei templi nilotici. La traduzione in greco del nome egizio di Iside ne indicherebbe l’antica dignità e il primato, anche cronologico, rispetto agli altri dèi31

.

25 Gwyn Griffiths 1970, 258; Hopfner 1991, 53. La provenienza della statuetta, conservata al Museo del

Cairo, è ignota (Edgar 1904).

26

Hdt. II, 59: Ἶσις δέ ἐστι κατὰ τὴν Ἑλλήνων γλῶσσαν Δημήτηρ.

27 Buona parte di questo primo libro corrisponde a FGrHist 264 F 25 Jacoby. 28 Per l’intera controversia, cfr. Burton 1972, 2-9.

29 Burton 1972, 7.

30 FGrHist 264 F 25 Jacoby, 11-12.

31 FGrHist 264 F 25 Jacoby, 11: τὴν δὲ Ἶσιν μεθερμηνευομένην εἶναι παλαιάν, τεθειμένης τῆς

προσηγορίας ἀπὸ τῆς ἀιδίου καὶ παλαιᾶς γενέσεως. Cfr. Burton 1972, 65: «Diodorus’ etymology of the name Isis contains, as does that of Osiris, a grain of truth. Although Isis was certainly of ancient origin, this is not the meaning of her name; but it is far from being an implausible suggestion, since it is obvious that there was some confusion between the Greek form of the name and the Egyptian word ỉs, “old”». La Burton ammette anche la possibilità che questa etimologia abbia avuto origine in ambiente egiziano.

47

Nell’attribuzione dei nomi da parte dei primi uomini in grado di utilizzare la lingua egiziana, Ecateo-Diodoro riconosce loro un grande senso dell’opportunità nell’attribuire a ciascuno l’appellativo appropriato32

. Il tentativo di rendere intellegibile la cosmogonia egiziana passa per il riconoscimento di un parallelismo con gli dèi dell’Olimpo, nel segno di un’analisi etimologica e allegorica di sapore stoicheggiante33

.

La conquista greca della terra del Nilo in epoca alessandrina ha l’effetto di creare una folta schiera di egiziani ellenizzati. Uno di costoro, Isidoro34 innografo (I sec. a.C.), rappresenta il tentativo da parte di un egiziano di legittimare all’interno della cultura greca alcuni aspetti di cultura locale. I quattro inni a Iside a lui attribuiti, incisi sul portale di un tempio nel Fayum, presso l’odierna Medinet Madi, offrono un’immagine della dea incredibilmente affine a quella che sarà resa immortale dalle pagine di

Documenti correlati