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Le parti degli accordi sulla giurisdizione e la loro capacità

1. Le parti degli accordi sulla giurisdizione. La necessità di far riferimento alla nozione di parte del negozio giuridico. La classica dicotomia tra parte in senso sostanziale e parte in senso formale e il suo (tentativo di) superamento nella dottrina civilistica più recente: in particolare, la parte come autore in senso giuridico del negozio

Il presente capitolo è volto, anzitutto, a individuare i soggetti che deb-bono ritenersi parti di un accordo sulla giurisdizione, per poi procedere a considerare i requisiti che queste devono possedere per concludere dei va-lidi patti.

Come si è veduto, gli accordi sulla giurisdizione sono dei negozi proces-suali, per cui la definizione di «parte dell’accordo» si risolve nel più generale problema della determinazione della «parte del negozio»12.

Parte è anzitutto il soggetto che concretamente pone in essere l’atto ne-goziale, il quale, di regola, sarà anche colui nella cui sfera si producono gli 1 Sul problema della definizione della parte negoziale v., in generale, G.b. Ferri, voce «Parte

del negozio giuridico», in Enc. dir., XXXI, Milano, 1981, pp. 902 ss.; Damiani, voce «Parte del

negozio giuridico», in Enc. giur. Treccani, XXII, Roma, 1990, pp. 3 ss.

2 Sembra inutile chiedersi, con riguardo agli accordi sulla giurisdizione ex art. 23/25 Reg., se la determinazione delle parti debba essere effettuata in base alla stessa norma europea o alla stregua della legge nazionale (indugia in una simile indagine, invece, JunGermann, Die

Drit-twirkung cit., pp. 8 ss., la quale conclude nel senso che l’individuazione delle parti sia

questio-ne da risolvere alla stregua del diritto comunitario: v. pp. 20 s.): invero né l’art. 23/25 Reg. né i diritti nazionali (o almeno la legge italiana) contengono una definizione di parte dell’accordo, perciò risulterebbe comunque necessario far riferimento all’elaborazione dogmatica relativa alla nozione di parte del negozio. A riprova di ciò, basti osservare che JunGermann, Die

Drittwirkung cit., pp. 21 ss., per giungere a definire le parti dell’accordo come coloro tra cui

«eine kongruente Willenseinigung im Hinblick auf den Gerichtsstand zustande gekommen ist» non si fonda in alcun modo nè sulla lettera, nè sullo spirito della norma europea.

effetti che dal negozio discendono. Questa coincidenza tuttavia non sempre si dà, esistendo delle ipotesi in cui gli effetti investono una persona diversa rispetto all’autore materiale del negozio. Ci si riferisce ai casi di rappresen-tanza, nonché a quelli in cui un soggetto è investito da uno o più effetti de-terminati, che trovano fonte in un atto concluso inter alios: si pensi al tipico caso del beneficiario di un contratto stipulato da altri in suo favore. Ed è proprio nel reperire un adeguato fondamento alla distinzione – di intuitiva evidenza – tra la posizione del rappresentato e quella del terzo, nei cui con-fronti si esplicano uno o più effetti negoziali, che è chiamata a misurarsi ogni teoria della parte del negozio.

All’uopo, si è ritenuto necessario “sdoppiare” la nozione di parte, rile-vando che tale non è soltanto il soggetto che pone in essere la dichiarazio-ne dichiarazio-negoziale, ossia la parte in senso formale, ma anche colui dichiarazio-nella cui sfera giuridica si producono gli effetti di tale dichiarazione, ossia la parte in senso sostanziale. Questa nozione “bicipite”, dettata dall’esigenza – almeno im-plicita – di riportare il rappresentato nell’alveo delle parti, escludendone la terzietà rispetto alla vicenda negoziale, ha avuto ampio e generalizzato consenso nella dottrina italiana3, ed è stata poi declinata dai singoli Autori in differenti varianti terminologiche, ad es., come distinzione tra parte della fattispecie e parte degli effetti prodotti da questa4, o tra parte dell’atto e parte del rapporto5.

In tal maniera, sembrerebbe raggiunta una netta distinzione tra la posi-zione del rappresentante, che è parte in senso sostanziale, essendo investito dalla generalità degli effetti del negozio, e quella del soggetto nella cui sfera si producono soltanto uno o più effetti negoziali determinati, che resta inve-ce mero terzo. Nonostante le apparenze, tuttavia, non si può inve-certo dire che si siano fatti reali passi avanti nel reperimento di un’adeguata ratio

distinguen-di tra le due “figure”. Infatti, al distinguen-di là delle distinguen-differenti qualifiche, la distinguen-distinzione

tra rappresentante e terzo riposa, in ultima analisi, sul fatto che il primo è soggetto a tutti gli effetti discendenti dal negozio concluso in suo nome dal 3 Cfr. messineo, voce «Contratto nei rapporti col terzo», in Enc. dir., X, Milano, 1962, pp. 196, 208; iD., Il contratto in genere, I, in CiCu, messineo (diretto da), Trattato di diritto civile e com-merciale, XXI, Milano, 1968, p. 227; iD., Il contratto in genere, II, in CiCu, messineo (diretto

da), Trattato di diritto civile e commerciale, XXI, Milano, 1972, p. 115, testo e nota 4; Carresi,

Il contratto, cit., I, p. 133; GalGano, Il negozio giuridico, in CiCu, messineo, menGoni (già diretto da), Trattato di diritto civile e commerciale, continuato da sCHlesinGer, III, t. I, 2a ed., Milano, 2002, p. 339; bianCa, Diritto civile, III, Il contratto, cit., pp. 53 s.

4 V. betti, Teoria generale del negozio cit., pp. 362 ss. 5 Così bianCa, Diritto civile, III, Il contratto, cit., p. 54.

rappresentante, mentre il secondo è investito da uno o più effetti negoziali

determinati. Il criterio discretivo si mostra dunque del tutto inadeguato

per-ché fondato sul dato meramente estrinseco del quantum di effetti negoziali che si producono nella sfera dei due soggetti67.

Vien però fatto di chiedersi se il problema debba risolversi, non tanto per mezzo di un’acconcia ricostruzione della nozione di parte, quanto piutto-sto attraverso una congrua configurazione della rappresentanza, atteso che la sua tradizionale concezione fondata sulla dissociazione tra la fattispecie negoziale, da imputarsi al rappresentante, e i relativi effetti, di cui è inve-ce investito il rappresentato, non consente di conferire all’istituto una reale autonomia da altre figure di efficacia del negozio nei confronti del terzo8. E 6 Cfr., in tal senso, Delle monaCHe, La «contemplatio domini», Contributo alla teoria della

rappresentanza, Milano, 2001, pp. 121 ss.

7 Si deve rilevare che, in dottrina, sono stati compiuti anche altri tentativi per fondare la di-stinzione tra rappresentato e terzo: ad es., G.b. Ferri, voce «Parte cit., pp. 910 s., ritiene che il criterio discretivo sia quello della tipologia di effetti che possono investire il rappresentato e il terzo. Mentre nella sfera del primo si possono produrre tutti gli effetti che un negozio ha nei confronti degli autori materiali del medesimo, per il “mero” terzo il negozio potrebbe esser fonte – secondo l’Autore – solo di diritti potestativi. Una simile ricostruzione però con-trasta già col tenore letterale dell’art. 1411, c. 2, c. c., ove si specifica che il terzo acquista il diritto contro il promittente per effetto della conclusione del contratto, senza che quindi sia necessaria una sua ulteriore manifestazioni di volontà perché tale diritto abbia ingresso nella sua sfera giuridica.

8 Anche in ambito processuale si è sentita l’esigenza di distinguere tra la rappresentanza e l’attiguo fenomeno della sostituzione processuale, ambedue ipotesi in cui l’attività dell’agire in giudizio è posta in essere - dal punto di vista fattuale - da un soggetto che non si afferma titolare della situazione sostanziale dedotta nel processo. La distinzione è operata da taluno elaborando una nozione di parte che escluda dal suo ambito il rappresentante, ma non invece il sostituto (CHioVenDa, Principii cit., pp. 579, 597; iD., Istituzioni di diritto processuale civile, II, cit., pp. 214 s., il quale definisce la parte come «colui che domanda in proprio nome (o nel cui nome è domandata) una attuazione di legge, e colui di fronte al quale essa è doman-data»; GarbaGnati, La sostituzione cit., pp. 174, 184 ss., 253, 257 ss., che reputa parte colui che «propone nel proprio interesse una domanda giudiziale e chi è chiamato nel proprio interesse a contraddirvi od è comunque chiamato ad agire processualmente nel proprio in-teresse» e inoltre colui «nel cui nome ed interesse un subietto agisce, ed è chiamato ad agire o a contraddire processualmente»; attarDi, Diritto cit., p. 322 s.; Consolo, Spiegazioni di

diritto processuale civile, 8a ed., II, Profili generali, Torino, 2012, p. 199, il quale rileva che, nel caso di azione proposta dal falsus procurator, il rigetto in rito sarà fondato sulla mancanza del potere rappresentativo in capo all’asserito rappresentante processuale, e non già sul difetto di legittimazione di tale soggetto, poiché parte è pur sempre il (falsamente) rappresentato ed è rispetto a quest’ultimo che si deve verificare la sussistenza della legittimazione ad agire). Altri invece riconoscono la qualifica di parte anche al rappresentante, ma nel limitato senso di parte che sta in giudizio con l’attività (manDrioli, La rappresentanza nel processo civile,

proprio questa è, infatti, la strada seguita dalla più recente dottrina civilisti-ca, che ha cercato di elaborare delle concezioni della rappresentanza bensì diverse da quella classica – che fa proprio l’insegnamento della

Repräsenta-tionstheorie9 – ma che siano comunque capaci di spiegare l’efficacia diretta

dell’agire rappresentativo nei confronti del dominus.

Torino, 1959, in part. pp. 133 s.; iD., Delle parti, cit., sub art. 75, p. 885) o di parte in senso formale, ossia di colui che compie gli atti del processo (luiso, Diritto processuale civile, 6a ed., I, Principi generali, Milano 2011, pp. 208 s., 217) o ancora di parte come soggetto degli atti processuali (proto pisani, voce «Parte nel processo, a) Diritto processuale civile», in Enc.

dir., XXXI, Milano, 1981, p. 921). In tal modo si può pur sempre distinguere il rappresentato

dal sostituto, che è invece – a seconda della terminologia preferita – parte che sta in giudizio col nome (manDrioli, La rappresentanza cit., pp. 133 s.; iD., Delle parti, cit., sub art. 75, p. 885), parte in senso processule (luiso, Diritto processuale civile, 6a ed., I, cit., pp. 208, 217) o soggetto degli effetti del processo (proto pisani, voce «Parte cit., p. 921).

La distinzione tra le due figure, si fa però assai più sfumata, allorché le si riguardi non dinami-camente, ossia in relazione al processo pendente, ma statidinami-camente, con riguardo alle posizioni giuridiche processuali di cui sono titolari il rappresentante e il sostituto. GarbaGnati, La

sostituzione cit., pp. 174, 184 ss. infatti ritiene che il rappresentante, così come il sostituto,

allorché propone la domanda eserciti un proprio potere d’azione attinente ad una situazione sostanziale altrui. In quest’ottica, la sostituzione e la rappresentanza processuali non sareb-bero altro che differenti species dell’unico genus legittimazione straordinaria ad agire, che si distinguono tra loro perché la prima sarebbe conferita a tutela di un interesse del sostituto e la seconda a tutela dell’interesse del rappresentato (questa posizione può essere accostata a quella sostenuta nel campo del diritto sostanziale da saCCo, GraziaDei, voce «Sostituzione e

rappresentanza», in Dig. disc. priv., sez. civ., XVIII, Torino, 1988, pp. 625 s., i quali

riconduco-no sia la rappresentanza che la sostituzione “in senso tecnico” nell’ambito della sostituzione in senso lato, poiché in entrambe le ipotesi l’agire di un soggetto produce effetti nella sfera giuridica altrui). manDrioli, La rappresentanza cit., p. 99; iD., Delle parti, cit., sub art. 75, p. 891 ha invece sostenuto che il rappresentante, nel proporre la domanda, esercita non il pro-prio potere d’azione, ma quello di cui è titolare il rappresentato. A me sembra tuttavia che, qualora si continui a concepire la rappresentanza come un fenomeno giuridico in cui si ha una dissociazione tra il soggetto dell’atto e il soggetto degli effetti dell’atto, non si possa che accogliere la posizione di Edoardo Garbagnati. Solo qualora, anche in campo processuale, si inizi a intendere la rappresentanza come strumento per l’imputazione giuridica di una fatti-specie a un soggetto diverso dal suo autore in senso psicologico-materiale, si potrà ravvisare nella proposizione della domanda compiuta, da un punto di vista fattuale, dal rappresen-tante, l’esercizio di un potere d’azione proprio del dominus e anzi un atto di esercizio di tale potere giuridicamente imputabile a quest’ultimo. A quel punto non sarà più di alcuna utilità una nozione tripartita di parte, ma sarà sufficiente distinguere tra parte processuale (di cui si potrà pacificamente accogliere la nozione chiovendiana) e parte in senso sostanziale. 9 Si tratta di una concezione dogmatica sviluppatasi in Germania nel corso del XIX secolo e poi recepita dalla dottrina italiana a partire dalla fine del medesimo secolo. Essa, pur nel-la varietà delle sue espressioni, configurava nel-la rappresentanza come un fenomeno in cui si assisteva a una dissociazione tra il soggetto che poneva in essere la fattispecie negoziale, il rappresentante, e la persona nella cui sfera giuridica tale fattispecie produceva i propri effetti,

In tal senso, nel quadro di una analisi del negozio fondata sulla distin-zione tra fattispecie, nel senso di procedimento formativo dell’atto-negozio, regolamento d’interessi, ed efficacia del negozio, si è rilevato che la rappre-sentanza dovrebbe essere concepita come una dissociazione tra la parte della fattispecie, ossia il rappresentante, e la parte del regolamento d’interessi, ossia il rappresentato10.

Più di recente è stata proposta un’interessante ricostruzione della rap-presentanza, come fenomeno volto a imputare al rappresentato una fatti-specie negoziale, posta in essere, da un punto di vista psicologico-materiale, dal rappresentante11. In forza di una simile imputazione, il dominus deve considerarsi autore in senso giuridico della dichiarazione negoziale che solo

in senso meramente fattuale può dirsi proveniente dal rappresentante. In

quest’ottica, se vi è nella rappresentanza una dissociazione, questa la si deve ravvisare tra l’autore in senso psicologico-materiale del negozio, che è il rap-presentante, e l’autore in senso giuridico che invece è il rappresentato12. Tale dissociazione, però, a differenza di quella che caratterizzava la

Repräsenta-tionstheorie, non si esplica su due piani entrambi dotati di giuridica

rilevan-za, ma su due piani, l’uno meramente fattuale e l’altro giuridico13. Secondo quest’orientamento, dunque, l’efficacia diretta nei confronti del rappresen-tato della dichiarazione negoziale posta in essere dal rappresentante, si spie-ga perché il primo è autore giuridico di questa, senza alcuna necessità di far riferimento al fenomeno eccezionale della efficacia del negozio nei confronti del terzo.

ossia il rappresentato. Per un panorama di sintesi sulla Repräsentationstheorie v., in Italia, Delle monaCHe, La «contemplatio cit., pp. 103 ss. e, meno recentemente, bonelli, Studi in

tema di rappresentanza e di responsabilità dell’imprenditore, Milano, 1968, pp. 1 ss. note 2 ss.;

malaGna, Sulla natura giuridica della rappresentanza, in Riv. dir. civ., 1936, pp. 259 ss. 10 V. Donisi, Il contratto con se stesso, Napoli, 1992, pp. 44 ss.

11 Cfr. Delle monaCHe, La «contemplatio cit., pp. 165 ss.

12 Sulla distinzione tra imputazione giuridica e imputazione psicologico-materiale di un atto v. Delle monaCHe, La «contemplatio cit., pp. 223 ss., sulla scia di Falzea, Il soggetto nel

sistema dei fenomeni giuridici, Milano, 1939, pp. 163 ss.

13 Anche se poi il diritto positivo attribuisce, a determinati fini, rilievo giuridico al fatto che l’autore psicologico-materiale della dichiarazione sia il rappresentante. Ci si riferisce all’art. 1390 c.c., ove si prevede che il contratto è annullabile nel caso di vizio della volontà del rappresentante, purché il vizio non riguardi elementi predeterminati dal rappresentato (su tale norma e sulla sua conciliabilità con la teoria che si va esponendo v. Delle monaCHe, La «contemplatio cit., pp. 187 ss.); e all’art. 1391 c.c., in cui si dispone che, ove sia rilevante un determinato stato soggettivo, si ha riguardo alla persona del rappresentante, sempre che non si tratti di elementi predeterminati dal rappresentato.

Una simile concezione della rappresentanza consente di attingere una totale autonomia di tale istituto rispetto a quello dell’efficacia del contratto rispetto al terzo. Il rappresentato è infatti autore in senso giuridico della dichiarazione negoziale, per cui chiara e netta e la distinzione con i terzi nei cui confronti si esplicano uno o più effetti negoziali determinati.

Alla luce di questa ricostruzione, si può giungere a una meno frastagliata e frammentaria nozione di parte del negozio, che segnatamente sarà il sog-getto autore in senso giuridico della dichiarazione negoziale14. Nella nor-malità dei casi, esso coinciderà con l’autore in senso psicologico-materiale della dichiarazione, ma tale coincidenza non vi sarà ove operi il fenomeno della rappresentanza, che consiste, appunto in uno strumento di imputazio-ne giuridica di una dichiarazioimputazio-ne imputazio-negoziale a un soggetto diverso rispetto all’autore in senso psicologico-materiale.

Applicando agli accordi sulla giurisdizione questi più recenti svolgimenti della dottrina civilistica, si può affermare che parti dell’accordo sono gli au-tori in senso giuridico delle dichiarazioni negoziali di cui esso si compone. A loro volta, gli autori in senso giuridico potranno essere i soggetti da cui materialmente provengono tali dichiarazioni, o coloro ai quali vengono giu-ridicamente imputate, in virtù dello strumento della rappresentanza, delle dichiarazioni negoziali provenienti, da un punto di vista fattuale, da altri15.

2. Il rappresentato, in quanto autore in senso giuridico della dichiarazione negoziale, è parte dell’accordo. La disciplina della rappresentanza volontaria

Si è visto che la rappresentanza deve essere concepita come strumento per imputare una dichiarazione negoziale a un soggetto diverso rispetto a chi ne è l’autore in senso psicologico-materiale. Per cui, nel caso di un accor-do sulla giurisdizione stipulato dal rappresentante in nome e per conto del rappresentato la qualifica di parte dell’accordo dovrà attribuirsi a quest’ulti-mo, che è l’autore in senso giuridico della dichiarazione negoziale. A questo punto, bisogna determinare le condizioni necessarie per affermare che un soggetto agisca quale rappresentante di un altro. Qui ci si occuperà soltanto della rappresentanza volontaria, mentre la rappresentanza legale degli inca-paci verrà trattata nel paragrafo sesto di questo capitolo dedicato alla capa-14 In tal senso cfr. Delle monaCHe, La «contemplatio cit., pp. 169 s.

15 Sostanzialmente nel medesimo senso – seppur utilizzando una differente terminologia – in ordine agli accordi compromissori, E. zuCConi Galli FonseCa, La convenzione cit., pp. 157, 160 ss.

cità di concludere gli accordi sulla giurisdizione (e perciò anche ai “rimedi” predisposti dall’ordinamento in caso di incapacità). La c.d. rappresentanza organica degli enti collettivi, la cui stessa inclusione nella categoria dogma-tica della rappresentanza è peraltro assai dubbia16, sarà invece considerata nel quinto paragrafo, concernente la capacità di esser parte di un accordo sulla giurisdizione (e così pure il modo mediante il quale un ente collettivo può concretamente manifestare la propria volontà e divenire parte dell’ac-cordo).

Quanto si dirà a riguardo della rappresentanza volontaria, vale sia per i patti di cui all’art. 4 l. n. 218/1995, sia per gli accordi di proroga della giurisdizione italiana ex art. 23/25 Reg., ai quali, come si è dimostrato, è applicabile la legge italiana quale lex fori prorogati. La norma regolamentare, infatti, si limita a prevedere che tali accordi siano conclusi dalle «parti», sen-za precisare se, e a quali condizioni, sia possibile avvalersi dello strumento della rappresentanza volontaria1718. Non potendo ricavare nulla a riguardo 16 Sulla questione v. infra § 5, nota 94.

17 Nel medesimo senso v. Carbone, Lo spazio cit., p. 163; mankoWski, in rausCHer, Europäisches cit., sub Art 23 Brüssel I-VO, p. 574; kropHoller, Internationale Zuständigkeit, cit., p. 509; iD., Von Hein, Europäisches cit., sub Art. 23 EuGVO, pp. 422 s.; maGnus, in iD., mankoWski,

Brussels cit., Art 23, pp. 475 s.; G. WaGner, in stein, Jonas, Kommentar cit., sub Art. 23 EuGVVO, p. 405; GottWalD, in rausCHer, Wax, Wenzel (hrsg.von), Münchener Kommentar

zur ZPO, cit., sub Art. 23 EuGVO, p. 1434; Hausmann, Gerichtsstandsvereinbarungen, cit., p. 1967; kröll, Gerichtsstandsvereinbarungen cit., p. 147; kubis, Gerichtspflicht durch Schweigen?

– Prorogation, Erfüllungsortsvereinbarung und internationale Handelsbräuche, in IPRax,

1999, p. 12; karré-abermann, Wirksamkeitsvoraussetzungen von Gerichtsstandsklauseln in

Satzungen von Aktiengesellschaften, in ZEuP, 1994, pp. 147 s. In giurisprudenza cfr. HG

Zürich, 1 dicembre 1994, in Rev. suisse droit int. eur., 1996, p. 99, con riguardo a un accordo

ex art. 17 Conv. Lugano; LG Essen, 12 dicembre 1990, in RIW, 1992, 227, in obiter. La

dottrina e la giurisprudenza citate ritengono però che la lacuna sia da colmare mediante l’applicazione della legge individuata alla stregua delle norme di conflitto del foro e non invece per mezzo della lex fori prorogati richiamata (implicitamente) dalla stessa norma convenzionale o comunitaria. Nel senso – qui preferito – del rilievo della lex fori prorogati v. invece C. koHler, Internationale cit., p. 268.

JunGermann, Die Drittwirkung cit. sostiene che, in linea di principio, la formazione di un ac-cordo sulla giurisdizione nel caso di rappresentanza debba essere disciplinata autonomamen-te dal diritto comunitario, che dovrebbe stabilire se parautonomamen-te dell’accordo sia chi di fatto lo pone

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