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Parti e intervenienti nella giurisprudenza della Corte

Nel documento 4 QUESTIONE GIUSTIZIA (pagine 125-129)

di Marilisa D’Amico

3. Parti e intervenienti nella giurisprudenza della Corte

Come è noto, in Assemblea costituente, con la bocciatura dell’azione diretta e la successiva scelta per il sistema incidentale, il ruolo del cittadino come portatore di una visione generale, di idee e principi utili a tutti viene fortemente ridotto.

Vero è che la parte del giudizio a quo, intervenen-do nel giudizio costituzionale, intervenen-dovrebbe rappresen-tare anche interessi più ampi e il “caso” oggetto del giudizio divenire emblema e veicolo di una decisione dagli effetti e dai riflessi generali7.

Tuttavia, in concreto, il ruolo delle parti è sem-pre stato ridimensionato dalla Corte, sia per la loro

ininfluenza nel modificare il contenuto dell’ordinan-za di rimessione8, sia per la totale chiusura, almeno fino alla nota sentenza n. 20 del 1982, a qualsiasi in-tervento di soggetti che non fossero parti formali del giudizio a quo.

Nella decisione n. 20 del 1982 la Corte costituzio-nale, infatti, ha ammesso per la prima volta l’interven-to nel suo processo di soggetti non formalmente parti del giudizio a quo, allo scopo di tutelarne il diritto di difesa ex art. 24 Cost., perché titolari di un «interesse a difendere» la propria posizione processuale incisa dall’autorimessione di una nuova e diversa questione di costituzionalità sollevata dalla Corte costituzionale dinanzi a se stessa.

Pur a fronte di tale apertura, dal 1982 inizia però al tempo stesso una giurisprudenza altalenante e contraddittoria, dove si riscontrano alcune aperture e molte chiusure e dove è sostanzialmente la Corte a decidere i criteri di ammissibilità, spesso contraddi-cendosi.

Fino alla seconda “apertura”, infatti, la Corte ri-badisce per tutti gli anni ottanta la propria chiusu-ra in tema di intervento, nonostante alcuni richiami effettuati dai terzi che chiedevano di intervenire alla decisione n. 20 del 1982, che la Corte definisce alla stregua di un’«eccezione che conferma la regola»9.

In quel periodo, la Corte non ha, così, mancato di dichiarare inammissibili interventi di soggetti privati, perché non parti costituite del giudizio a quo10, nonché di soggetti pubblici portatori di un interesse qualifi-cato alla questione di costituzionalità da un punto di vista oggettivo11. La Corte ha, invece, dichiarato am-missibile l’intervento dispiegato da un partito politi-co, perché interventore non estromesso nel giudizio a

quo, accogliendo un’impostazione di fondo favorevole

all’ammissibilità di interventi nel giudizio di costitu-zionalità dispiegati da parte soggetti titolari di una po-sizione processuale già definita nel giudizio principale.

Una seconda importante apertura si innesta, poi, in occasione della decisione n. 429 del 1991.

In quella pronuncia, la Corte costituzionale ha di-chiarato ammissibile l’intervento del padre naturale che non era parte del processo a quo e che non vi

ave-8. Si veda la consolidata giurisprudenza costituzionale che ribadisce che l’oggetto del giudizio è limitato alle disposizioni e ai parametri indicati nell’ordinanza di rimessione, non potendosi prendere in considerazione ulteriori questioni dedotte dalle parti: fra le molte, Corte cost., ord. n. 24/2015, sentt. nn. 37/2015, 35/2017 e 96/2019.

9. Corte cost., sent. n. 1/1984.

10. Si vedano Corte cost., sent. n. 191/1983, ma, anche, sent. n. 412/1988.

11. Per fare qualche esempio, la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile l’intervento dispiegato dall’Associazione nazionale magi-strati (sentt. nn. 230/1987 e 119/1991), dall’Associazione generale italiana dello spettacolo (ord. n. 298/1985), così come dall’Ordine degli avvocati e procuratori legali di Roma (sent. n. 272/1987).

12. Considerato in diritto, punto 2. 13. Ibid.

va dispiegato un proprio intervento, essendo precluso per legge, in quanto la questione di costituzionalità verteva proprio sulla mancata legittimazione e dall’e-ventuale accoglimento sarebbe derivato il diritto per il padre naturale di partecipare al processo a quo.

Riprendendo, sebbene non esplicitamente, l’im-postazione della sentenza n. 20 del 1982, la Corte costituzionale conferma la propria giurisprudenza in senso ostativo all’ammissibilità di interventi dispie-gati da soggetti che non siano parti del giudizio a quo, ma, allo stesso tempo, chiarisce che «il preteso padre naturale, in quanto privo di legittimazione ad agire in un giudizio di disconoscimento della paternità, non aveva diritto di intervenire nel giudizio di reclamo proposto dai genitori legittimi contro il decreto di no-mina del curatore speciale»12 e che, quindi, «avendo il giudice del reclamo sollevato d’ufficio questione di costituzionalità dell’art. 244 c.p.c. anche nella parte in cui non prevede la legittimazione del preteso pa-dre naturale, è sorto in questi un interesse diretto a intervenire nel giudizio incidentale perché dall’esito di tale giudizio dipende il suo diritto di intervento nel giudizio a quo»13.

Se, quindi, il criterio di ammissibilità dell’inter-vento nel giudizio di costituzionalità rimane quello della qualifica formale di parte processuale nel giu-dizio a quo, la Corte introduce però una nuova ecce-zione sulla scorta della già citata sentenza n. 20 del 1982. La regola vale a meno che l’oggetto del giudizio costituzionale non sia costituito da una norma che ri-guardi direttamente lo stesso “essere parte” nel giu-dizio a quo del soggetto privato che avanza la propria richiesta di intervento.

Ne discendono due conseguenze importanti. La prima è che, per la Corte, vi sono dei casi nei quali è possibile e, anzi, doveroso dare spazio anche nel suo giudizio a interessi specifici e che su questi stessi interessi può radicarsi e, dunque, ammettersi l’intervento di soggetti privati che non siano parti del giudizio a quo.

La seconda, più generale, che si può essere parti del giudizio di costituzionalità anche senza essere for-malmente parti del giudizio principale, ma nei limiti

tracciati dalla sentenza n. 429 del 1991. Il contraddit-torio viene, quindi, a costruirsi in chiave “residuale”, come sede che non può tollerare che posizioni sogget-tive rimangano sguarnite di tutela.

In una sentenza di poco successiva, la n. 314 del 1992, la Corte compie un ulteriore passo in avanti. Questa volta, l’intervento dichiarato ammissibile ri-guardava la cd. “parte necessaria” del giudizio princi-pale e, cioè, un soggetto non costituitosi nel giudizio

a quo perché non posto nelle condizioni di conoscere

l’atto introduttivo.

Si tratta di un caso che segna un’importante svolta nella storia del processo costituzionale, in cui la Corte apre la strada non solo alle parti “storiche”, ma anche a quelle “giuridiche”. La Corte mostra di volersi far cari-co dei vizi processuali che possono sorgere nell’ambito del giudizio principale, attenuando quell’impostazione che voleva il giudizio costituzionale necessariamente separato e distinto dal giudizio a quo.

La Corte, quindi, giunge ad ammettere che nel suo processo vi sono parti; che le vicende del proces-so costituzionale toccano “diritti”, che non posproces-sono essere ignorati; che questi “diritti” sono anche quelli del giudizio a quo e che al Giudice costituzionale può essere assegnato il compito di riparare a errori del processo a quo.

A queste importanti novità si alternano, però, nella giurisprudenza costituzionale degli anni novan-ta anche numerose decisioni di inammissibilità.

Si tratta di pronunce in cui la Corte ribadisce il principio generale della necessaria corrispondenza tra parti del giudizio a quo e parti del processo costitu-zionale14 fino alla decisione n. 456 del 1993, con cui la Corte costituzionale ammette, per la prima volta, l’in-tervento di un soggetto pubblico nel proprio giudizio. Nella sentenza n. 456 del 1993, infatti, la Corte dichiara ammissibile l’intervento della Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri perché, a suo avviso, le norme oggetto della questione di costituzionalità «interessano an-che la sfera di competenza degli Ordini professionali, poiché attengono all’oggetto della professione medica e della relativa attività».

Pure presentata come una novità sul piano dell’in-terpretazione delle regole che presiedono alla forma-zione del contraddittorio costituzionale, la decisione n. 456 del 1993, poi ripresa dalla successiva sentenza n. 171 del 1996, non è stata però sempre confermata nelle decisioni degli anni seguenti.

Anzi, come premesso, la giurisprudenza costi-tuzionale successiva ha continuato a oscillare tra 14. Corte cost., sent. n. 90/1992; ord. n. 98/1992; sent. n. 226/1993. 15. Corte cost., ord. n. 95/1995; sent. n. 421/1995.

chiusure – improntate alla regola della rigorosa cor-rispondenza tra parti del giudizio a quo e parti del giudizio di costituzionalità15 – e aperture.

Si pensi alla decisione n. 108 del 1995, in cui, va-lutando direttamente il rapporto fra l’interesse di cui è titolare il soggetto che chiede di intervenire e l’oggetto del giudizio di costituzionalità, la Corte apre il con-traddittorio a un soggetto che non era parte del giudi-zio a quo. Ancora, può richiamarsi la sentenza n. 248 del 1997 in cui, a dimostrazione di quanto siano ancora poco rigorosi i criteri di selezione impiegati dalla Corte in sede di valutazione dell’ammissibilità dell’interven-to, vengono dichiarati, inspiegabilmente, inammissi-bili numerosi interventi di associazioni di categoria.

Se la giurisprudenza costituzionale inizia, quindi, a valorizzare i “diritti” del soggetto privato quale ter-zo interveniente nel processo costituzionale, non così può dirsi invece per i soggetti pubblici, estranei alla posizione giuridica specifica del giudizio a quo.

L’ingresso dei soggetti pubblici, portatori di un interesse generale e collettivo, nel giudizio di costi-tuzionalità continua così a essere prevalentemente ostacolato dalla giurisprudenza costituzionale mag-gioritaria o comunque rimesso alla discrezionale sin-dacabilità del Giudice costituzionale.

Tale impostazione viene codificata con la modifi-ca delle norme integrative del 2004.

Queste introducono, infatti, un riferimento espli-cito alla eventualità che soggetti terzi, diversi dal Presidente del Consiglio dei ministri e dal presidente della Giunta, possano richiedere di dispiegare un in-tervento nell’ambito del giudizio di costituzionalità e rimettono alla Corte costituzionale la competenza a deciderne l’ammissibilità.

Il novellato art. 4, comma 3, stabiliva che: «[e] ventuali interventi di altri soggetti, ferma la compe-tenza della Corte a decidere sulla loro ammissibilità, devono aver luogo con le modalità di cui al comma precedente».

La riforma, quindi, assegna discrezionalità alla Corte nel selezionare gli interventi, codificando la prassi inauguratasi a partire dal 1982.

Oltre agli elementi di diritto positivo, un dato, però, nella giurisprudenza successiva, va chiarendosi: le as-sociazioni portatrici di interessi generali, quelle che sa-rebbero gli “amici curiae” della recente riforma, inter-vengono in modo sempre più intenso e “visibile”, pur venendo sistematicamente dichiarate inammissibili.

Si crea così una situazione di fatto nella quale que-sti soggetti rivestono un ruolo nel processo coque-stitu- costitu-zionale, essendo loro consentito di depositare atti di

costituzione e memorie scritte che spesso entrano a far parte degli argomenti della decisione costituzionale.

In linea pratica, in molte situazioni l’apporto de-gli interventi poi dichiarati inammissibili in udienza è più significativo di quello delle parti formalmente costituite16.

Addirittura, in molti casi, in assenza di parti re-golarmente costituite, erano solo tali associazioni a “difendere” la questione e a supportare i profili di ille-gittimità costituzionale.

Prima di questa riforma, dunque, i cd. “amici

curiae” facevano già parte di fatto del processo

co-stituzionale ed erano tenuti in considerazione dalla Corte: si costituivano formalmente, osservando i ter-mini, avevano accesso agli atti delle parti costituite, partecipavano all’udienza pubblica solo per difendere l’ammissibilità del loro intervento e, una volta dichia-rati inammissibili, rimanevano, volendo, nella stessa aula d’udienza.

Di fatto, dunque, gli interventi delle associazioni dispiegavano effetti e la presenza stessa delle associa-zioni in udienza consentiva loro di veicolare attraverso la comunicazione anche i principi e i valori che stava-no rappresentando davanti al Giudice costituzionale.

La Corte costituzionale, quindi, nei fatti si era già “aperta” alla società civile: la presenza fisica delle as-sociazioni in udienza e la loro possibilità di accedere al contraddittorio, sia pure attraverso gli atti scritti, poneva già la Corte a contatto con visioni e argomenti più generali ed esterni rispetto a quelli delle parti for-malmente costituite.

In questa direzione, per esempio, si possono ri-cordare le decisioni nn. 151 del 2009, 138 del 2010, 162 del 2014, rese in materie cd. eticamente sensibili, relative rispettivamente alle tecniche di procreazione medicalmente assistita e al riconoscimento del matri-monio fra persone dello stesso sesso.

La Corte costituzionale, in queste occasioni, ri-tiene inammissibili i diversi interventi spiegati nei giudizi dei soggetti che non fossero parti dei giudizi a

quibus, in ragione della mancanza di titolarità di un

interesse qualificato suscettibile di essere inciso dalle decisioni della Corte stessa e della sussistenza di un

16. Come si vedrà poco oltre, si possono richiamare i casi relativi alle sentenze nn. 151/2009, 138/2010 e 162/2014, laddove in alcuni casi, nella parte del ritenuto in fatto, i contenuti delle memorie dei terzi sono richiamate anche per quanto attiene ai profili di merito e non solo per quelli attinenti all’ammissibilità degli interventi (a volte anche sottolineandone l’analogia con i profili prospettati nelle ordinanze di ri-messione). Viene in rilievo anche la sent. n. 286/2016, in materia di attribuzione del cognome ai figli, dove la Corte richiama gli argomenti spesi dalla difesa dell’associazione intervenuta, sottolineandone l’analogia con quelli prospettati dal giudice rimettente.

17. A commento della decisione, si vedano le osservazioni di T.F. Giupponi, L’interpretazione “costituzionalmente orientata” dell’inci-dentalità: la Corte e il Codice di autoregolamentazione dell’astensione collettiva degli avvocati, tra riserva di legge e disapplicazione, in Forum di Quad. cost., 30 maggio 2019.

18. Sul fermo orientamento della Corte costituzionale nell’escludere l’intervento di terzi nel giudizio in via principale, vds. F. Dal Canto ed E. Rossi, Il giudizio di costituzionalità delle leggi in via principale, in R. Romboli (a cura di), Aggiornamenti in tema di processo costituzionale (2014-2016), Giappichelli, Torino, 2017, pp. 227 ss.

interesse di mero fatto: tuttavia, nella motivazione delle decisioni, è stato dedicato spazio ad argomenta-zioni introdotte dalle associaargomenta-zioni, anche sottolinean-done l’analogia con profili dedotti dai giudici remit-tenti, che avevano potuto depositarie atti e memorie scritte, ma il cui intervento era stato dichiarato inam-missibile in udienza.

È importante sottolineare al riguardo che, anche laddove la Corte renda conto “solo” dell’identità o analogia dei profili posti in evidenza nei relativi atti e memorie di intervento, con ciò essa mostri espli-citamente di aver conferito, evidentemente, rilievo agli stessi. In particolare, infatti, tale ulteriore do-cumentazione, pur proveniente da soggetti terzi non parti dei giudizi principali, è confluita e confluisce nei lavori preparatori e istruttori informali interni della Corte.

Merita di essere segnalata, a conferma dell’ecce-zionalità delle aperture da parte del Giudice costitu-zionale, la sentenza n. 180 del 201817. In quella occa-sione sono intervenute nel giudizio le Camere penali italiane che, oltre all’ammissibilità del proprio inter-vento, chiedevano la dichiarazione di inammissibilità o infondatezza delle questioni sollevate in materia di astensione dalle udienze degli avvocati in caso di im-putato in stato di custodia cautelare o di detenzione. La Corte, in modo significativo, pur rilevando che le Camere penali non erano parti in nessuno dei giudizi

a quibus, dichiara ammissibile il relativo intervento,

sottolineando la natura di «soggetti terzi (…) titolari di un interesse qualificato, immediatamente inerente al rapporto sostanziale dedotto in giudizio e non sem-plicemente regolato, al pari di ogni altro, dalla norma oggetto di censura».

Da ultimo, sebbene la decisione sia resa in un giu-dizio per conflitto di attribuzione fra enti, che condi-vide con il giudizio in via principale la natura di giudi-zio di e fra parti18, deve essere segnalata la sentenza n. 230 del 2017, dove la Corte, ribadendo che, «di rego-la, non è ammesso l’intervento di soggetti diversi da quelli legittimati a promuovere il conflitto o a resister-vi», afferma che «non può escludersi che l’oggetto del conflitto sia tale da coinvolgere, in modo immediato e

diretto, situazioni soggettive di terzi, il cui pregiudizio o la cui salvaguardia dipendono dall’esito dello stes-so». Poiché, nel caso, la società interveniente è stata parte del giudizio amministrativo avente a oggetto il provvedimento di autorizzazione e poiché con il giu-dizio costituzionale instaurato la Regione Puglia mira «in definitiva a incidere su tale provvedimento», «l’e-sito dell’odierno giudizio è suscettibile di ripercuoter-si sulla poripercuoter-sizione giuridica soggettiva della società, la quale si fonda proprio su quel provvedimento». In tal modo, quindi, si permette alla società di «far valere le sue ragioni davanti» alla Corte.

Come si è cercato di mostrare, dunque, è proprio la giustificazione che la Corte individua per sostenere l’ammissibilità (pure sporadica) a confluire in modo diretto e sostanzialmente identico nell’attuale previ-sione del riformulato art. 4 delle norme integrative, senza per nulla scardinare la natura del processo co-stituzionale19.

4. Gli amici curiae davanti alla Corte

Nel documento 4 QUESTIONE GIUSTIZIA (pagine 125-129)

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