Tenez votre corps propre. Et gardez-le en constant surveillance.377 Conosciamo tutti il successo del ciclo di mostre itineranti realizzate da Gunther Von Hagens, al secolo Gunther Liebchen, ovvero “amoruccio”. Vi sono esposte una serie di preparazioni anatomiche, ottenute grazie a un metodo brevettato, in cui i corpi, scorticati o vuotati dagli organi, sono messi in posa in maniera sensazionale.378 Von
Hagens tiene molto a promuovere le finalità educative della sua operazione: mostrare la verità anatomica significa far comprendere al pubblico che il corpo, il nostro corpo, è un oggetto fragile, che ne siamo responsabili e dobbiamo tenerlo sotto controllo, evitando qualsiasi condotta pericolosa che possa mettere a repentaglio la nostra salute (non a caso, in mostra troviamo anche i preparati di fegati cirrotici e di polmoni di fumatori).
Von Hagens viene definito dai suoi come un grande genio visionario, un “Vesalius redivivus”, un Avicenna del XXI secolo – e, talvolta, come “die Leichen Beuys”, ovvero il Beuys cadavere, per la straordinaria somiglianza con l’artista Joseph.379 Per riuscire nell’intento pedagogico, i promotori delle mostre si affidano a una retorica molto simile a quella utilizzata nei musei di anatomia popolare dei secoli scorsi (il “mistero”, la “meraviglia del corpo”, l’“universo interiore”…). Inoltre sottolineano il fatto che i corpi presentati sono corpi veri e, per agevolare le possibilità “proiettive” da parte del pubblico, li collocano nello spazio espositivo senza vetrine o garde-fous o li fanno interagire con alcuni oggetti della modernità (racchette da tennis, computer, sassofoni, e così via).
Queste mostre, come sappiamo, hanno fatto abbondantemente discutere. Ma quello che ci importa qui, al di là di aspetti legali, delle polemiche, degli scandali o dei richiami all’ordine, è il fatto che Von Hagens, dal punto di vista visivo, sceglie modelli e
377Grand Musée Anatomique et Ethnologique du Docteur Spitzner (1895), cit. in E. Stephens, Anatomy as Spectacl, Liverpool University Press, Liverpool 2011 p. 47.
378 Tra i numerosissimi contributi che riguardano le mostre di Von Hagens ne segnaliamo alcuni
provenienti dagli ambiti più vicini alle medical humanities: L. Burns, Gunther Von Hagen’ Body Worlds, “The American Journal of Bioethics”, n. 7, 2007, pp. 12-23; J. T. H. Connor, Faux reality show?, “Bulletin for the History of Medicine”, n. 81, 2007, pp. 848-865; J. Desmond, Postmortem eExhibitions, “Configurations”, n. 16, 2008, pp. 347-77; J. van Dijck, Bodyworlds, “Configurations”, n. 9, 2001, pp. 99-126. Cfr. www.bodyworlds.com.
379 A. Whalley, a cura di, Pushing the limits, Arts&Science, Heidelberg 2007, pp. 146, 205 e 220. Si veda
anche G. Von Hagens e A. Whalley, a cura di, Body Worlds, Institut für Plastination, Heidelberg 2002. Cfr. J. van Dijck, The Transparent Body, cit., p. 59.
paradigmi molto tradizionali per mettere in mostra i suoi corpi. Cioè, per avvalorare il mito della verità e della trasparenza del corpo, ricorre alle stesse convenzioni di cui si servivano gli illustratori anatomici di un tempo per dimostrare che le loro rappresentazioni erano state realizzate sulla base di una osservazione diretta. I cadaveri di Von Hagens hanno tutti gli occhi aperti, paiono consapevoli del fatto che l’anatomia sia stata compiuta sul loro corpo (sono tutti corpi “donati” alla scienza), e vi partecipano attivamente, come quegli scorticati che, secoli addietro, stringevano tra le mani i coltelli che erano serviti allo scopo (figg. 48-49).
Von Hagens, però, non è un “artista”. Non è Beuys, che utilizzava la medicina in modo metaforico e concettuale per dare vita a una biografia o a una terapeutica possibile – figuriamoci: Beuys i coltelli li fasciava! (fig. 50).380 Non è neppure Fritz Kahn, lo
scrittore e ginecologo berlinese che, sull’impronta delle teorie di Ernst Kapp, illustrava
le forme e le funzioni degli organi in analogia con l’universo delle macchine: pensiamo al sue Die Mensch als Industriepalast, dove il cuore è un pistone, lo stomaco una raffineria, il fegato un’apparecchiatura chimica e i reni una struttura di filtraggio.381 L’arte del Novecento è piena di metafore sul corpo ma Von Hagens, di queste metafore non sa che farsene: la sua è vera anatomia…
Ciononostante, i suoi specimen sono pesantemente connotati in senso artificiale. Non solo perché “artificioso” è lo stesso procedimento che consente di ottenere questi oggetti destinati all’eternità, ma perché essi, con i loro gesti e i loro colori – che, secondo Von Hagens, servirebbero soprattutto ad “attenuare il disgusto” –382 si ispirano a un tipo di rappresentazione anatomica d’antan. Ricordano le figure del Musée Fragonard o quelle del chirurgo Jean-Galbert Salvage, che, nella seconda metà del Settecento, faceva assumere ai cadaveri di soldati morti in duello le pose della statuaria
380 J.-Ph. Antoine, La pillule d’art du docteur Beuys, in L. Barbier, a cura di, L’art médecine, Musée
Picasso-RMN, Antibes-Paris 2000, p. 16. Si veda T. Davila, Joseph Beuys, le remède dans le mal, in M. Fréchuret e T. Davila, L’art médecine (catalogo della mostra), RMN, Paris 1999, pp. 171-186 e A. H. Murken, Joseph Beuys und die Medizin, F. Coppenrath, Münster 1978. Cfr. E. Scarry, La sofferenza del corpo, cit., p. 35.
381 Scriveva Gombrich: “Se i vittoriani prendevano le loro metafore visive nei musei, noi prendiamo le
nostre nelle sale operatorie e nelle fabbriche”, E. H. Gombrich, Metafore visive dei valori nell’arte (1952), in Id., A cavallo di un manico di scopa, cit., p. 29. Si veda F. Kahn, Das Leben des Menschen, vol. III, Franckh’sche Verlagshandlung, Stuttgart 1926, E. Kapp, Grundlinien einer Philosophie der Technik (1877), Stern-Verlag Janssen, Düsseldorf 1978. Si veda U. e T. von Debschitz, Fritz Kahn, Springer, Wien-New York [2009].
382 G. von Hagens, cit. in C. e M. Bouffard, Body Worlds, in P. Paul e R. Gagnayre, Le Rôle de l’art dans les éducations en santé, cit., p. 94. Cfr. T. Besterman, Body language, “Museum Journal”, vol. 102, n. 5, 2002, p. 16, cit. ivi, p. 103. Cfr. E. D. Lestermann, Visitors’ reactions to Body Worlds [http://koerperwelten.de].
antica (fig. 51).383 Su queste anatomie, insomma, agisce una sorta di re-intrusione postuma dell’artisticità (qualcuno ha addirittura confrontato il corridore di Von Hagens con Forme uniche della continuità nello spazio),384 che ne fa delle “immagini di immagini”, forse postmoderne, come si sarebbe detto un po’ di tempo fa, ma più probabilmente anacronistiche, tanto per l’arte quanto per la scienza
Von Hagens è una figura pop, un esperto nel ribaltamento da interno e esterno. Come viene sottolineato sempre più spesso, molti media – televisione, cinema, pubblicità, riviste generaliste, letteratura, moda e, ovviamente, la Rete (figg. 52-54) – continuano a proporci imagini anatomiche altamente spettacolarizzate con finalità “educative”.385
Qualcuno ha detto che le mostre di Von Hagens, proprio come le proposte di questi media, offrono a grandi e piccini “il brivido di una profanazione senza rischi” e dunque soddisfano “una curiosità infantile” collegabile al “ritorno del rimosso”.386 A ciò sarebbe dovuto il loro successo. Sta di fatto che, innegabilmente, le rappresentazioni del corpo “interno”, ossia le traduzioni visive del Körper, fanno ormai parte della nostra cultura e del nostro immaginario.
Lo dimostra anche la “medical art” che, negli ultimi vent’anni, ha operato sulle raffigurazioni del corpo mediate dalle tecnologie biomediche. Pensiamo, ad esempio, all’influenza esercitata sugli artisti dal Visible Human Project, messo a punto negli anni
Novanta dalla National Library of Medicine, e presentato come il primo data base di un “corpo”, o meglio di due corpi, uno maschile e uno femminile, segmentati millimetro per millimetro, puntualmente rappresentati grazie al concorso di più tecniche di imaging e caricati in Rete (fig. 55).387 Nonostante tutta questa fedeltà al reale, né l’uomo né la donna “visibili” rispecchiano appieno l’ideale della trasparenza, ed è proprio questa problematicità ad aver interessato gli artisti. È il caso, tra i tanti, di Alexander Tsiaras, che nel suo Body Voyage del 1997, un libro corredato da un CD-
Rom, utilizza le immagini del Visible Human Project non solo per compiere un
383 Cfr. L. Cadot, Hier et aujourd’hui, in C. Degueurce, Honoré Fragonard et les écorchés, RMN, Paris
2010, p. 131 e P. S.[énéchal], Le Gladiateur Borghèse écorché, in J.-P. Cuzin, J.-R. Gaborit e A. Pasquier, a cura di, D’après l’antique, RMN, Paris 2000, pp. 392-394.
384 J. van Dijk, Bodyworlds, cit., p. 113. Cfr. Ead., The Transparent Body, cit., pp. 51-52 e C. e M.
Bouffard, Body Worlds, in P. Paul e R. Gagnayre, Le rôle de l’art dans les éducations en santé, cit., p. 91.
385 E. Stephens, Anatomy as Spectacle, cit., pp. 140-141. Cfr qui § I, 3. Si veda anche A. Brodesco, I’ve got you under my skin, “Nuncius”, vol. 26, n. 1, 2011, pp. 201-221. Cfr. S. Dionisio, Quando la medicina si fa in Tv, Guida, Napoli 2009, passim.
386 Si veda L. Laufer, La morgue: voir l’irreprésentable, “Recherches en Psychanalyse”, n. 8, 2009, cit. 387 Si veda http://www.nlm.nih.gov/research/visible/. Nel 1995 era già on line il “visible man” (Joseph
Paul Jerigan, un condannato a morte che ha accettato di donare il suo corpo alla scienza), nel 1996 la “visible woman” (una casalinga del Maryland di cinquantanove anni deceduta per attacco cardiaco). Cfr. J. van Dijck, The Transparent Body, cit., p. 131.
“viaggio nel corpo” ma per ricostruire l’integrità di questo stesso corpo;388 è anche il caso di Carolyne Henne, autrice nel 2001 di un autoritratto composto di ottantanove lastre in vinile sospese, che, da lontano, restituiscono l’impressione di un corpo fluttuante e, da vicino, o sfiorate appena, ne disfano qualsiasi supposta unitarietà (fig. 56).389
Già a partire da questi esempi intuiamo un aspetto importante: gli artisti utilizzano l’imaging per parlare di ciò che, dinanzi alle sue astrazioni, percepiamo come eliminato o rimosso, ovvero l’unitarietà del Leib, assieme ai ricordi, le sensazioni e i pensieri di cui esso è portatore. Non vi è nulla di sorprendente nel fatto che l’arte utilizzi il Körper per parlare del Leib (Bachelard diceva che “una scienza che ammetta le immagini è più di ogni altra vittima delle metafore”).390 Ma, come si vedrà, se si ricorre alla
bioimmagine, e poi se ne sovrainveste l’aspetto simbolico o metaforico, essa finirà per assumere le prerogative di una “anti-immagine”.
Scrive Belting:
I media digitali reintroducono l’analogia con il corpo attraverso la sua negazione. La perdita del corpo aveva già pervaso l’immaginario ottocentesco legato agli specchi nel momento in cui il Doppelgänger non obbediva più allo spettatore e smetteva di essere immagine del corpo riflesso. Le immagini digitali si rivolgono alla nostra immaginazione corporea e attraversano il confine tra immagini visive e immagini virtuali, tra immagini viste e immagini proiettate. In questo senso la tecnologia digitale persegue l’imitazione della nostra immaginazione. […] Le rappresentazioni esterne e le rappresentazioni interne sono spinte a fondersi le une nelle altre.391
Ci pare che, con l’imaging biomedico, accada proprio così, e che la “medical art” abbia spesso un solo obiettivo di fondo: dimostrare che, a fronte della pervasiva diffusione delle immagini tecnologiche sul corpo, l’interesse debba restare concentrato sulla dicotomia tra oggettività e soggettività, tra spossessamento e riappropriazione del
388 N. Lizama, The post-biological body, in E. Klaver, a cura di, The Body in Medical Culture, cit., p.
138. Si veda A. Tsiaras, Body Voyage, Warner, New York 1997.
389 M. Sappol, Dream anatomy, National Library of Medicine, Washington 2006, in part. pp. 158-159.
Per un elenco dei progetti artistici influenzati dal Visible Human Project si veda http://www.nlm.nih.gov/re-
search/visible/products.html.
390 G. Bachelard, La formazione dello spirito scientifico, cit., p. 42. Cfr. L. Cartwright, Screening the body, cit., p. 107. Cfr. anche M. Sturken e L. Cartwright, Practices of Looking, Oxford University Press, New York 2001, pp. 279-314.
391 H. Belting, Immagine, medium, corpo, in A. Pinotti e A. Somaini, a cura di, Teorie dell’immagine,
corpo, così da evitare che la biologia, la medicina o la scienza si coalizzino davvero “contro il nostro pathos”.392
Utilizziamo un esempio noto ai più, il celebre Corps étranger del 1994, realizzato da Mona Hatoum, con il supporto di un’équipe medica, per il Centre Pompidou (figg. 57- 59). Come sappiamo, il visitatore era invitato ad entrare in un cilindro bianco, a osservare le immagini endoscopiche ed ecografiche del corpo dell’artista, e ad ascolare il suono del suo respiro e del suo battito cardiaco. Si è parlato di “voyeurismo della profondità”, dello “stupore” che chiunque prova dinanzi a queste immagini estranee che tuttavia ci appartengono (o meglio: dinanzi alle immagini di un corpo che è étranger anche per l’artista).
Alcuni studiosi hanno analizzato Corps étranger alla luce delle teorie psicoanalitiche, in particolare di quelle lacaniane.393 Altri si sono opposti a tali letture, e hanno fatto notare che la psicoanalisi non presterebbe troppa attenzione al “corpo interno”, concentrandosi sulla pelle e sugli orifizi, cioè sulle soglie tra interno ed esterno.394 O meglio: per la psicoanalisi, il biologico sarebbe, sì, la “roccia basilare sottostante”, ma questa roccia sarebbe sempre vincolata a uno “strato” metafisico, psicologico appunto, che lo ridurrebbe a un traslato o a una metafora.395 Per comprendere il funzionamento di questo Io primordiale e sensibile, potrà dunque essere utile rivolgersi alla tradizione fenomenologica, in particolare a quella di Merleau-Ponty e alla sua idea di “corpo proprio”.
Secondo il filosofo,
la scienza manipola le cose e rinuncia ad abitarle. Se ne costruisce dei modelli interni e, operando su questi indici o variabili […], si confronta solo di quando in quando con il mondo effettuale. Essa è, ed è sempre stata, quel pensiero mirabilmente attivo, ingegnoso, disinvolto, quel partito preso di trattare ogni essere come “oggetto in
392 V. Jankélévitch, L’ironia, il melangolo, Genova 1987, p. 37. 393 E. Lajer-Burcharth, Real bodies, “Art History”, vol. 20, n. 2, 1997.
394 J. Slatman, L’imagerie du corps interne, “Methodos”, n. 4, 2004, § 17-18. Cfr. ovviamente D. Anzieu, L’Io-pelle, Borla, Roma 1987, passim e Id., L’epidermide nomade e la pelle psichica, Raffaello Cortina, Milano 1992, passim. Cfr. F. Dagognet, La Peau découverte, Les Empêcheurs de penser en rond- Synthélabo, Paris 1993. La mostra Skin ha avuto luogo presso la Wellcome Collection di Londra dal 10 giugno al 26 settembre 2010. Cfr. S. Freud, L’Io e l’Es (1922), Boringhieri, Torino 1989, p. 39; J. Lacan, Lo stadio dello specchio come formatore della funzione dell’io, in Id., Scritti, trad. it. Einaudi, Torino 1974, pp. 87-94.
395 Si veda S. Freud, Analisi terminabile e interminabile (1937), in Id., Opere, vol. 11, Boringhieri,
Torino 1979, p. 535. Cfr. anche Prendere corpo. Il dialogo tra corpo e mente in psicoanalisi, a cura di P. Carignano e F. Romano, Franco Angeli, Milano 2006, in part. p. 44.
generale”, cioè come se non ci fosse niente per noi e tuttavia si trovasse predestinato ai nostri artifici.396
Perciò le rivolge un appello:
È necessario che il pensiero scientifico […] si ricollochi in un “c’è” preliminare, nel luogo, sul terreno del mondo sensibile, e del mondo lavorato così come lo sono nella nostra vita, per il nostro corpo; non quel corpo possibile che è lecito definire una macchina dell’informazione, ma questo corpo effettuale che chiamo mio, la sentinella che vigila silenziosa sotto le mie parole e sotto le mie azioni. […] Il mio corpo è insieme vedente e visibile. Guarda ogni cosa, ma può anche guardarsi, e riconoscere in ciò che allora vede “l’altra faccia” della sua potenza visiva. […] Il mio corpo è annoverabile tra le cose, è una di esse, è preso nel tessuto del mondo e la sua coesione è quella di una cosa. Ma poiché vede e si muove, ritiene le cose in cerchio intorno a sé, […] incrostate nella sua carne, […] e il mondo, la casa degli altri, è fatto della medesima stoffa del corpo.397
Merleau-Ponty, con questi passaggi scritti nell’estate del 1960, arricchisce le posizioni già emerse venticinque anni prima nella sua immensa Fenomenologia della percezione, dove l’autore rifletteva sulla relazione tra corpo-oggetto e corpo-soggetto – il primo con precise qualità fisiche e spaziali, il secondo con una spazialità e una fisicità assai più complesse e sfuggenti, perché ascrivibili all’ambito della “auto-affezione”.398 Tuttavia,
nella versione di gran parte della “medical art”, dove “interiorità” è sinonimo di “soggettività”, la relazione tra Körper e Leib mediata dall’imaging si irrigidisce in forme esasperate: ovvero, viene ribadito, più o meno costantemente, che tra il corpo che vedo con gli occhi della scienza e quello che vedo con i miei “occhi interiori” vi sarebbe un divario incolmabile.
Corps étranger è esemplare in questo senso, già a partire dal titolo. Realizzato quasi
vent’anni fa, come franca critica all’appropriazione delle immagini corporee da parte della tecnologia, chiarisce bene che in arte l’imaging biomedico serve primariamente a
396 M. Merleau-Ponty, L’occhio e lo spirito, SE, Milano 1989, p. 13 (corsivo nostro). 397 Ivi, pp. 15-19.
398 Si veda ovviamente M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, Bompiani, Milano 2003; P.
Schilder, Immagine di sé e schema corporeo, Franco Angeli, Milano 1973; M. Klein Alcune conclusioni teoriche sulla vita emotiva del bambino nella prima infanzia (1952) in Ead., Scritti 1921-1958, Bollati Boringhieri, Torino 1978, pp. 460-493; J. Kristeva, La folie. Melanie Klein ou le matricide comme douleur et comme créativité, Fayard, Paris 2000, pp. 225-236; F. Dolto, L’immagine inconscia di sé, Red, Como 1996.
confermare lo scarto tra il Körper e il Leib. Mona Hatoum si è espressa in maniera chiara:
I wanted to give the feeling that the body becomes vulnerable in the face of the scientific eye, probing it, invading its boundaries, objectifying it.399
Le sue immagini endoscopiche, assieme ai rumori del suo corpo, ci hanno catturati, hanno fatto appello ai nostri fantasmi e ci hanno ricordato che l’idea di “estraneità” è sempre consustanziale a quella di corpo. Ma a partire dagli anni Novanta del secolo scorso un numero di artisti pressoché sterminato ha riflettuto su queste stesse tematiche, riconducendole ai loro argomenti fondamentali – l’io, l’altro, l’identità, la soggettività e, ovviamente, l’aggressività dello sguardo medico, il tutto condito da una versione semplificata del pensiero di Foucault, che, ci permettiamo di supporre, avrebbe infastidito lo stesso filosofo (fig. 60).
Non è nostra intenzione tracciare una mappa esaustiva delle esperienze della “medical art” susseguitesi negli ultimi vent’anni.400 Ci limitiamo a menzionare alcuni esempi, a partire quello di Helen Chadwick che, dopo un soggiorno presso il Kings College Hospital di Londra, ha scelto di intitolare Autoritratto (1991) una fotografia in cui le sue mani (vere) reggono un cervello (vero) e Unnatural Selection (1996), una serie di foto di embrioni umani (figg. 61-62). Pensiamo anche a Joyce Cutler-Shaw, già artist in residence presso la Medical School di San Diego, che, in Anatomy lesson (1992), sovrappone le immagini della diagnostica a comuni fotografie di volti (fig. 63), per evidenziare lo scarto tra i due concetti di corpo; pensiamo anche ai “ritratti generici” di Justine Cooper, realizzati a partire dalle immagini della risonanza magnetica, del microscopio elettronico o del DNA sequencing (figg. 64-65).
Susan Aldworth, artist in residence presso il Royal London Hospital, ha realizzato una serie dal titolo Brainscape (2006), con al centro i suoi angiogrammi cerebrali (fig. 66). È la stessa Aldworth a riferirci della meraviglia provata nell’osservare quelle immagini:
399 M. Hatoum [intervista con C. Spinelli], in M. Archer, G. Brett e C. de Zegher, Mona Hatoum,
Phaidon, London 1997, p. 138.
400 Per avere un’idea della vastità del fenomeno si veda la sezione “Medicine Now” del sito del
Looking up at the screens, I could see the inside of my brain with my eyes—my brain was working, while I was looking inside it. I will never make sense of that moment.401
È chiara la ragione di questa meraviglia: l’artista può vedere il suo cervello “between a thing and a thought” (è il titolo di un’altra sua opera). Ma se poi si vanno a vedere i testi di accompagnamento della Aldworth si rimane un po’ delusi: “You can look INTO
my brains but you will never find me”, scrive; oppure “I’m both in my head, and out of my brain”.402 Certo, illustrano il suo pensiero, o la sua poetica, ma ci paiono ben poca cosa: un appiattimento, o una banalizzazione, di celebri posizioni del passato.
Anche la fotografa Katherine du Tiel, nella serie Inside-Outside (1994), lavora su queste tematiche. La serie, presentata nella mostra Dream Anatomy del 2003, comprende alcune opere nate dalla proiezione di immagini anatomiche su comuni ritratti fotografici. Tuttavia, l’artista ha volutamente commesso degli errori (ad esempio, ha proiettato l’immagine dell’anatomia anteriore su un corpo fotografato posteriormente, o viceversa). Ecco che cosa dichiara sul suo sito:
With the projection work, I am projecting the interior onto the exterior with the intention of inverting and confounding insides and outsides. Combining dichotomies, a double take creates a third-take or whole. I am interested in unifying the polarities of inner/outer realities, life/death, mortality/immortality, mind/body, body/spirit. I am looking at scientific representation and how it is imposed upon the body. We demand some sense of order in the world. And we are always defeated. This is the human condition. Scientific/technological progress particularly since the late 19th century has reinforced the
schism between the concrete and the intangible, privileging physical absolutes and human authority over spiritual considerations.403
Non vi sono dubbi sulla coerenza di intenti di questi artisti: l’imaging accentua la