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Come son contento d’esser scontento di me. E il mio fegato tesse ricami di bile491

Parente stretta della licantropia, della nostalgia e del furor uterino, la melanconia amorosa rende assai problematica una classificazione nosologica precisa.492 Nelle

pagine seguenti cercheremo di tracciare una sua storia possibile, ovviamente senza alcuna pretesa di esaustività, a partire dall’opera di Arnaldo da Villanova, celebre medico, teologo e alchimista catalano, che viene considerato il primo vero e proprio trattato sul mal d’amore. Composto probabilmente tra il 1276 e il 1286, il suo De amore

heroico fu pubblicato per la prima volta a Lione, nel 1504, e conobbe molte edizioni nel

corso del XVI secolo. Arnaldo lo definisce “una cogitazione intensa e permanente sull’oggetto del desiderio, unita alla ferma speranza di trarne il godimento immaginato”,493 e ne spiega così l’origine: quando una forma ci si presenta davanti agli

occhi, e pensiamo che da essa possiamo ricavare qualcosa di piacevole, la nostra facoltà immaginativa trattiene saldamente l’impressione di quell’oggetto, e fa sì che la mente, le idee e l’attenzione ne siano polarizzate. Ne deriva, così, un’assolutizzazione dell’oggetto d’amore. 494

Se la causa formale dell’amor hereos è questa cogitazione intensa – ovvero quello che in termini psicoanalitici, chiameremmo “sovrainvestimento” sull’oggetto d’amore –

491 M. Marchesi, Essere o benessere?, Rizzoli, Milano 1962, cit. in A. Bonito Oliva, a cura di, Preferirei di no, Electa, Milano 1994, p. 37.

492 A. Gowland, The Worlds of Renaissance Melancholy, Cambridge University Press, Cambridge-New

York 2006, p. 71 e H. King, Once upon a text, in S. Gilman et alii, Hysteria beyond Freud, cit. p. 3 e sgg.

493 “Dico igitur [...] quod amor talis (videlicet qui dicitur hereos) est vehemens et assidua cogitatio supra

rem desideratam cum confidentia obtinendi delectabile apprehensum ex ea”, Tractatus Arnaldi de Villanova de amore heroico, in Arnaldi de Villanova Opera Medica Omnia, III, Granada-Barcelona, Seminarium Historiae Medicae Granatensis, 1985, p. 46. Sul mal d’amore nel medioevo, sia dal punto di vista letterario che medico-scientifico e filosofico, si veda soprattutto M. F. Wack, Lovesickness in the Middle Ages, University of Pennsylvania Press, Philadelphia, 1990 e M. Ciavolella, La “malattia d’amore” dall’antichità al medioevo, Bulzoni, Roma 1976, in part. p. 70 e sgg.

494 “Primo namque cum forma rei cuiuspiam presentatur alicui seu devenit ad apprehensum eiusdem [...],

et ex forma dicte rei vel accidentibus eius apprehendens aliquod concipit delectabile, sicut in rebus omnibus ex grate speciei intuitu aut in homine ex suavitate colloquii seu liberalitate persone seu consuetudinis lenocinio seu circumstantiis quibuscumque; tunc si prefatum delectabile preiudicet estimativa eius excellentissimum in re tali (cuius erronee operationis causa inferius ostendetur), exinde sequitur cum appetitus inquam talis delectabilis sit – quod ipsum vehementer desiderat obtinere eo quod excellentissimum delectabile iudicavit. Et ex hoc ulterius necessario sequitur quod propter hoc rei desiderium vehemens eius formam impressam fantastice fortiter retinet et memoriam faciendo de re continue recordatur”, Tractatus Arnaldi de Villanova de amore heroico, cit., pp. 46-47; M. Ciavolella, La “malattia d’amore” dall’antichità al medioevo, cit., p. 78; R. Poma, Metamorfosi dell’hereos, in S.

sarà facile immaginare che una proposta terapeutica possibile consisterà nell’indurre la

virtus fantastica a funzionare alla rovescia, cioè a immaginare cose che rendano odioso

l’oggetto fin qui ritenuto appetibile. Tale operazione può aver luogo parzialmente attraverso il graduale inserimento nella vita quotidiana del paziente di elementi di distrazione o di sostituzione (passeggiate, bagni tiepidi, musica, viaggi, ecc…), o più radicalmente, attraverso autentiche pratiche di capovolgimento valoriale, che inducano il malato a sovrainvestire, questa volta, le difformità e le nefandezze dell’oggetto. Nel primo caso, evidentemente, si agirà attraverso palliativi che, a poco a poco, potranno influire positivamente sull’immaginazione; nel secondo, si agirà ex post, tentando di provocare la repulsione. 495

Arnaldo pare essere il primo a offrire una teoria “psico-fisiologica” del mal d’amore in contesto medico. La sola fonte citata nel suo scritto è il De moto animalium di Aristotele ma in filigrana si individua l’influenza dell’Etica Nicomachea e della teoria dei sensi interni del Canone di Avicenna. Questi sosteneva che, per comprendere la vera causa del male natura malinconica, fosse necessario prendere il polso dell’ammalato mentre si pronunciano i nomi dei possibili colpevoli, così da individuare quale tra di essi provochi un mutamento nella frequenza nel battito. Dopodiché sarà necessario perfezionale l’indagine, passando in rassegna i dettagli delle sembianze dell’amato. Una volta che questi è stato identificato si passerà alla terapia: se i due amanti si potranno unire in matrimonio, il male scomparirà da sé; se invece non sarà possibile, si dovrà ricorrere al salasso; infine, in caso di insuccesso di questo metodo, a una terapia genericamente “psicologica”: lunghe dormite, musiche dolci, moderata attività fisica ma anche il ricorso all’azione di vecchie donne che denigrino l’amato dinanzi all’amante.496

Questi suggerimenti sono ripresi anche da Bernardus Gordonius, uno dei medici più celebri della scuola di Montpellier, attivo tra la fine del Duecento e l’inizio del Trecento. In un capitolo del suo Lilium Medicinae dedicato alle malattie “cerebrali”, Bernardus tratta dell’aegritudo amoris: una “sollicitudo melancholica”, causata da una corruzione delle capacità estimative, per cui le forme esteriori dell’amato ci appaiono le

495 “Tales vera forme delectationem afferentes acquirunt ex omni delectabili sensibus obiecto, ex quorum

delectabilium numero consistit balneum temperatum, confabulatio dilectorum, intuitus pulchrarum / ac delectabilium facierum, et etiam quantum est ex arte coitus-precipue si cum iuvenibus et magis delectationi congruis exerceatur; incessus iterum per viridaria seu prata virentia florum varietate distincta multiplici, necnon etiam musicalium cantuum seu instrumentorum suavitas. Profundus etiam somnus distrahit a predicto. De summe vera iuvantibus et distrahentibus est in partes remotas et etiam peregrinas recedere”, Tractatus Arnaldi de Villanova de amore heroico, cit., pp. 53-54.

496 M. Ciavolella, La “malattia d’amore” dall’antichità al medioevo, cit., p. 60 e sgg. Cfr. J. Ferrand, Malinconia erotica [1623], Marsilio, Venezia 1991, pp. 29, 80 e sgg.

più belle e le sue qualità morali le migliori. I signa sono gli stessi già indicati dagli antichi: tremori, pallore, sudore e battito irregolare del polso; la pronosticatio può essere fatale; quanto alla terapia, una soluzione possibile sta nel convincere il malato “ad diligendum multas, ut distrahatur amor unius propter amores alterius”.497

Appare dunque evidente come alla causa e alla natura immaginative del mal d’amore debbano corrispondere, già nel Medioevo, terapie altrettanto immaginative, o meglio contro-immaginative (altre parole, altre immagini, altre azioni…). Nella tradizione medica antica l’immaginazione ha una forte natura fisiologica: sono gli “spiriti vitali”, i vapori del sangue, puri e caldi, prodotti dall’azione del calore del cuore sulla parte più sottile e aerea del sangue, che, una volta giunti al cervello, entrano in contatto con l’anima, la quale, poi, elabora le sensazioni trasmutandole in “immaginazione”.498

Siamo dunque lontanissimi da una psicologia così come la intendiamo oggi.499

C’è un aspetto essenziale. Nel Medioevo, e nel primo Rinascimento, l’amor hereos assume anche una connotazione diversa, “cortese” e declinata al maschile. Per l’errata comprensione e trascrizione dell’opera di Arnaldo assistiamo, infatti, a una sovrapposizione tra eros e heros: il mal d’amore colpirebbe soprattutto i nobili, la cui vita è dominata dall’otium, e li spingerebbe a comportarsi con gli amati come i sudditi verso i loro signori. Sarà dunque un amor heroicus e, contemporaneamente,

dominalis.500 È in questa forma che il mal d’amore compare, il più delle volte, nella letteratura profana. Ritroviamo il mal d’amore in quasi tutto il lessico della lirica cortese; lo ritroviamo nel Collare della colomba di Ibn Hazm, nel De amore di Andrea Cappellano, in alcune storie delle Mille e una notte, nel Roman de Tristan, in alcune novelle del Decameron, così come nella storia di Antioco e Stratonice, attribuita a Erasistrato, poi tramandata da Valerio Massimo (Memorabilia, V, 7, ext 1) e Plutarco

497 Bernardus Gordonius, Practica dicta Lilium medicinae (1305 ca.), II sez., XX cap., cit. in M.

Ciavolella, La “malattia d’amore”dall’antichità al medioevo, cit., pp. 115-116. “Causa huius passionis est corruptio existimativae propter formam et figuram fortiter affixam, unde cuin aliquis philocaptus est in amore alicuius mulieris, ita fortiter concipit formam et figuram et modum quoniam credit et opinatur hanc esse meliorem, pulchriorem, magis venerabilem, magis speciosam, et melius dotatam in naturalibus et moralibus quam aliquam aliarum; et ideo ardenter concupiscit eam, et sine modo et mensura opinans si posset finem attingere quod haec esset sua felicitas et beatitudo. Et intantum corruptum est iudicium rationis, quod continue cogitat de ea, et dimittit omnes suas operationes.... Et quia est in continua meditatione, ideo sollicitudo melancholica appellatur”, ibidem.

498 S. Marinozzi e M. Conforti, Dal sangue come terapia alla terapia attraverso il sangue nel XVII secolo. “Medicina nei secoli”, vol. 17, n. 3, 2005, p. 695.

499 M.F. Wack, Lovesickness in the Middle Ages, Pennsylvania University Press, Philadelphia 1990, p.

79.

500 D. Jacquart e C. Thomasset, L’amour “héroique” à travers le traité d’Arnauld de Villeneuve, in J.

Céard, a cura di, La folie et le corps, Presses de l’Ecole Normale Supérieure, Paris, 1985, pp. 150-154. Cfr. J. L. Lowes, The loveres maladye of hereos, “Modern Philology”, vol. 11, n. 4, aprile 1914, pp. 491- 546.

(Vita Demetri, 38), che viene ripresa in pressoché tutti i testi medici che trattano del mal d’amore.501 Qualsiasi selezione sarebbe necessariamente arbitraria.

Sarà utile, invece, evidenziare la virtualità negativa, e visiva, di questo tipo di amore. Pensiamo a Lucrezio, che nel De rerum natura descrive in maniera incomparabile l’amore come dolore: gli sventurati coinvolti nelle illusioni d’amore [in amore Venus

simulacris ludit amantis], per una piaga segreta si consumano nell’incertezza [usque adeo incerti tabescunt volnere caeco].502 Pensiamo alla novella boccacciana del Conte di Anguersa, dove troviamo l’amore è descritto come una cogitatio permeabile alla vista: Giachetto si innamora “sì forte” di Giannetta “che più avanti di lei non vedeva”:

Avvenne un giorno che, sedendosi appresso di lui un medico assai giovane, ma in scienzia profondo molto, e lui per lo braccio tenendo in quella parte dove essi cercano il polso, la Giannetta, la quale, per rispetto della madre di lui, lui sollicitamente serviva, per alcuna cagione entrò nella camera nella quale il giovane giacea. La quale come il giovane vide, senza alcuna parola o atto fare, sentì con più forza nel cuore l’amoroso ardore, per che il polso più forte cominciò a battergli che l’usato; il che il medico sentì incontanente e maravigliossi, e stette cheto per vedere quanto questo battimento dovesse durare.503

La positività dell’alto e nobile amor hereos va quindi rimessa in discussione. Giorgio Agamben ci ricorda che la natura ambiguamente dolorosa di questo tipo di amore è più evidente nelle trattazioni dei poeti che non in quelle dai medici. Scrive Agamben:

Se i medici consigliano come rimedio principale all’amor hereos il coito, e raccomandano tutto ciò che possa distogliere il malato dalla sua “falsa immaginazione”, l’amore dei poeti è invece rigorosamente e ossessivamente mantenuto all’interno del proprio circolo fantasmatico. Esso appare così come la “malattia mortale” dell’immaginazione che bisogna aver scavalcato fino in fondo, senza né eluderla né scavalcarla, perché essa, accanto a un rischio letale, racchiude un’estrema possibilità di salvezza. […] Come appropriarsi dell’inappropriabile oggetto d’amore (cioè del fantasma), senza incorrere nella sorte di Narciso (che soccombette al proprio amore per

501 Per una sintesi si veda il fondamentale M. Ciavolella, La “malattia d’amore” dall’antichità al medioevo, cit., in part. p. 25 e 97.

502 Lucrezio, De rerum natura, IV, 1097-1120, in part. 1101 e 1120. Cfr. M. Menghi, La temperanza

erotica, “Medicina nei secoli”, vol. 11, n. 1, 1999, pp. 29-41.

una ymage), né in quella di Pigmalione (che amò un’immagine senza vita)? Come può, cioè, Eros trovare il proprio spazio tra Narciso e Pigmalione?504

Non sorprende il fatto che i poeti sappiano mettere in luce gli elementi più sottili e più complessi della psiche. Ce lo ha insegnato lo stesso Freud.

Continuiamo a seguire l’evoluzione del mal d’amore, condiderando quanto avviene nella seconda metà del Cinquecento, quando l’accezione positiva delle “melanconie”, cioè le varianti della malinconia, è ormai fortemente compromessa.505 Da un lato, infatti, le malinconie iniziano ad essere “medicalizzate”, dall’altro diventano equiparabili a stati d’animo e ad atteggiamenti convenzionali, manierati, femminei, insignificanti. Quella amorosa, in particolare, diventa una “petite mérencolie” – secondo l’espressione con cui, già nella poesia tardomedievale, si definivano le lagnanze degli innamorati cagionate da futili bisticci con l’amato.506 È evidente che le

malinconie, più o meno amorose, potranno allora farsi oggetto di scherno. Non a caso Shakespeare, in As you like it, farà dire a Rosalind:

The poor world is almost six thousand years old, and in all this time there was not any man died in his own person, videlicet, in a love cause. […] Men have died from time to time, and worms have eaten them, but not for love.507

Così Rosalind rimprovera Orlando. Ma nel Midsummer Night’s Dream Teseo dirà:

Lovers and madmen have such seething brains, Such shaping fantasies, that apprehend

More than cool reason ever comprehends. The lunatic, the lover and the poet

Are of imagination all compact:

One sees more devils than vast hell can hold, That is, the madman: the lover, all as frantic, Sees Helen’s beauty in a brow of Egypt.508

504 G. Agamben, Stanze, cit., pp. 142-145. Cfr. M. F. Wack, Lovesickness in the Middle Ages, cit., p. XII 505 R. Suciu, Introduction, in A. Du Laurens, Discours des maladies mélancoliques [1594], Klincksieck,

Paris 2012, p. LXXXII

506 R. Klibansky, E. Panofsky e F. Saxl, Saturno e la melanconia, cit., p. 207 e n. 8. 507 W. Shakespeare, As you like it, Atto IV, scena 1.

Il disturbo del folle, dell’innamorato, resta dunque un disturbo dell’immaginazione, o meglio una corruzione della virtus immaginativa: in qualsiasi oggetto, anche nel meno piacevole, l’amante scorgerà il volto dell’amato, vorrà baciarlo, vorrà accarezzarlo, e smetterà di mangiare, di bere e di dormire... 509 È una malattia, insomma, che fa perdere la ragione. Non è più la condizione esemplificata dalla celeberrima Melancolia I di Dürer, che, secondo il non meno celebre testo di Panofsky, raffigurerebbe il primo grado di un’ascesi dalla melancholia rationalis alla melancholia mentalis; non è neppure il furor metafisico dell’uomo di genio o l’acedia medievale. È la patologia della passione divorante, da cui bisogna guardarsi in ogni modo: dovremmo tutti diventare anti-malinconici, prendere le distanze da questo sentimento, votandolo al ridicolo e, magari, alla commedia.

Pensiamo a Montaigne, che considera il malinconico un songe-creux (espressione traducibile con “meditabondo”, ma che si ricollega anche al nome di un attore comico dell’epoca), e lo irride in uno di quei suoi passi che sono, a tutti gli effetti, delle prove meravigliose di illuminata ragione scettica:

Quanto a me, immagino che vi sia determinazione, consenso e compiacimento a nutrirsi di malinconia […]. C’è qualche ombra di squisitezza e delicatezza che ci ride e ci lusinga nel grembo stesso della malinconia. […] La natura ci rivela questa confusione: i pittori ritengono che i moti e le pieghe del volto che servono al pianto servano anche al riso.510

Montaigne, lo sappiamo, estendeva il suo scetticismo anche alla medicina, facendola bersaglio di critiche e accuse. Nell’ultimo saggio del secondo libro degli Essais, scritto tra il 1579 e il 1580, si scaglia contro i medici, che “non si accontentano di avere la malattia sotto il loro dominio, ma rendono malata la salute, per impedire che uno possa in qualche modo sfuggire alla loro autorità”.511 Si dirà che la medicina, e in particolare quella del suo tempo, fondava il proprio agire su troppe variabili per potere dare adito a certezze (la chirurgia, invece, per Montaigne sarebbe molto più sicura, perché “vede e tocca ciò che fa” e ha “molto meno da congetturare e da indovinare”).512 Ma in realtà è

509 Si veda M. Ciavolella, Eros and the phantasms of hereos, in R. Beecher e M. Ciavolella, a cura di, Eros and Anteros, University of Toronto Italian Studies-Dovehouse, Toronto-Ottawa 1992, p. 76. M. Simonin, Aegritudo amoris et res literaria à la Renaissance, in J. Céard, a cura di, La folie et le corps, Presses de l’Ecole Normale Supérieure, Paris 1985, pp. 88-89

510 Montaigne, Saggi, Adelphi, Milano 1998, vol. II, p. 899. Ivi, vol. I, p. 111. Cfr. M. Fumaroli, La mélancolie et ses remèdes, in Id., La Diplomatie de l’esprit, Hermann, Paris 1994, pp. 406-407 e 419. 511 Montaigne, Saggi, cit., vol. II, p. 1015.

512 Ivi, pp. 1021 e 1026. Cfr. L. S. King, Medical Thinking, Princeton University Press, Princeton 1982,

un tipo di tradizione scettica che attraversa i secoli della nostra cultura in maniera piuttosto coerente e robusta.513

Torniamo alla melanconia amorosa. Negli anni di Montaigne, e nei decenni posteriori, ne scrivono diversi medici: gli spagnoli Andrés Velazquez nel 1585, Luis de Mercado nel 1604 e Alonso de Santa Cruz nel 1613; e ancora, gli inglesi Timothie Bright, Robert Burton e Thomas Willis, e i francesi André Du Laurens e Jacques Ferrand. Ne parla anche lo svizzero Félix Platter, il cui Praxeos medicae opus (1602-1608) conobbe grande successo nel Seicento. Scrive Platter:

La melanconia, che prende il nome dalla bile nera, è una sorta di alienazione mentale in cui l’immaginazione e il giudizio sono così alterati al punto tale che senza nessun motivo le vittime divengono tristi o impaurite. Esse non possono addurre nessuna causa certa di dolore o di paura, fatta eccezione che per cause triviali o opinioni false, che hanno concepito come risultato di apprensioni disturbate. […] Questa terribile melancholia, che spesso conduce gli uomini alla disperazione, è la forma più comune. Nel curarla io sono stato di frequente in difficoltà.514

Quindi, nella “difficoltà”, consiglia purghe, vomito, una selezione di bevande, l’induzione del sonno, bagni e salassi e altre pratiche per evacuare gli “umori offensivi”. Anch’egli, comunque, collega la malinconia all’immaginazione, secondo una tradizione secolare. Già Marsilio Ficino, nel 1491, in El libro dell’amore, scriveva:

L’Amore è arido, magro e squalido. Chi è quello che non sappia quelle cose essere aride e secche, alle quali manca l’omore? E chi negherà la squalidezza e giallura venire da difecto di caldo sanguigno? Ancora per lungo amore gli huomini pallidi e magri divengono, perché la forza della natura non può bene due opere diverse insieme fare. La intentione dello amante tutta si rivolta nella assidua cogitatione della persona amata, e quivi tutta la forza e la naturale complessione è attenta, e però el cibo nello stomaco male si cuoce.515

513 Su questo punto, si veda l’acuta analisi di A. Carlino, Afflizione e scetticismo, “Medicina nei secoli”,

vol. 14, n. 2, 2002, p. 490 e 494. Cfr. anche qui, I.Epilogo.

514 F. Platter, cit. in P. L. Cabras, D. Lippi e F. Lovari, Due millenni di melancholia, Clueb, Bologna

2005, pp. 98-99.

515 M. Ficino, El libro dell’amore [1491], a cura di S. Niccoli, Olschki, Firenze, 1987, p. 135 [Orazione

Qualcuno ha sostenuto che, a partire dagli ultimi due decenni del Cinquecento, anche l’immaginazione, a poco a poco “divorzierebbe” dalla melanconia.516 Osservazioni di questo tipo non tengono conto che il concetto di “immaginazione”, come risulta chiaro dagli esempi fin qui riportati, dal punto di vista storico e filologico non è legato solo a quello di “ispirazione”, “ingegno” o “creatività” ma più spesso si riferisce a quelli, assai più perniciosi, di “fantasma”, “illusione” o “allucinazione”. Ha dunque una dimensione visiva, o persino “oftalmica”, che non può essere trascurata.

Nel 1584, Giovan Battista Della Porta spiega così l’innamoramento: gli spiriti scatenano negli umori del corpo una serie di reazioni disordinate; questi poi salgono verso gli occhi, li trovano “porosi” e da lì scagliano mille dardi che si conficcano negli occhi dell’affascinato, raggiungono il suo cuore e “l’infettano tutto” (fig. 3).

Et io di questo ne posso far fede che trassi a me una infermità di occhi, che un amico pativa, perché l’occhio infetta l’aria e quell’aria infetta e avvelena quello che gli sta appresso e così quell’aria che sta vicino a gli occhi del riguardante e porta seco un vapor di sangue corrotto della cui contagione s’infetta l’occhio di colui che guarda. 517

Certo, la descrizione di Della Porta è un po’ confusa, ma qui ci interessa sottolineare come anche qui si istituisca una relazione serrata tra occhio e innamoramento, tra immagine-immaginazione e malattia. L’amore si insinua dagli occhi e raggiunge il cuore; così si spiegano i tanti perturbamenti (brividi, rossori, tremori, tachicardia) che si manifestano in presenza o nel ricordo dell’amato:

Quel splendente mirar d’occhi costringe la cosa amata insin la pazzia; [...] Dice Apuleio:

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