• Non ci sono risultati.

Il percorso nascita italiano tra letteratura, pratica e politica Sappiamo tutte le conseguenze dell’eccessiva medicalizzazione nell’assisten-za, sia al percorso nascita, sia alla gravidanza che al parto: sono sfociate nel-la montagna di ecografie che non servono a niente, si fanno troppi cesarei, troppi esami; si ricorre a esami diagnostici riservati a una popolazione ri-stretta a tappeto, per tutti; si aumentano così i falsi positivi, di diagnosi inap-propriate, di ansia nell’attendere i secondi livelli della diagnosi. Il tutto sot-teso da questa idea che comunque le donne non abbiano in qualche modo la competenza biologica per portare avanti la gravidanza e partorire ma che debbano affidare la loro salute e quella dei loro bambini alla tecnologia oste-trica che in qualche modo dovrebbe garantire migliori risultati sia per loro che per i loro figli. Non c’è uno straccio di evidenza scientifica a sostegno di questa tesi, però di fatto culturalmente è la tesi che sottende il percorso di estrema medicalizzazione che noi abbiamo registrato nel nostro Paese (Se-rena, Istituto Superiore di Sanità, 2010).

In Italia, negli ultimi decenni, si rileva una medicalizzazione cre-scente del parto e della nascita anche in situazioni non patologi-che (Donati, Spinelli, Grandolfo, 1999; Sabbadini, 2001; Grandol-fo, Donati, Giusti, 2002; ISTAT, 2006; ISTAT, 2007; Ministero del-la Salute, 2008; Boldrini, Di Cesare, Tamburini, 2010; Lauria, An-dreozzi, 2011; Lauria, Lamberti, Buoncristiano et al., 2012). Sep-pure i dati mostrino una certa disomogeneità territoriale – con pic-chi più elevati nelle regioni meridionali rispetto a quelle settentrio-nali – l’eccessiva medicalizzazione è evidente su tutto il territorio nazionale. Il tasso di taglio cesareo, per esempio, è aumentato in

maniera costante nel corso degli anni: dall’11,2% nel 1980 è giun-to al 33,2% nel 2000 al 38% nel 2009 e al 37,5% nel 2010: un dagiun-to che nelle linee guida emanate nel 2010 è definito «allarmante» (Mi-nistero della Salute, Istituto Superiore di Sanità, 2010: 1) e che si-tua il nostro Paese al primo posto in Europa (dopo Cipro) per l’uso/abuso di questa pratica1.

Anche il percorso in gravidanza risulta sempre più controlla-to dal puncontrolla-to di vista medico. Il numero medio di ecografie per le donne italiane con gravidanza a decorso fisiologico era, nello scor-so decennio, di 5.3 (Grandolfo, Donati, Giusti, 2002) ed è attual-mente di sette ecografie per gravidanza; solo una in più se vi è qual-che patologia. La percentuale scende di qualqual-che punto per le don-ne straniere che effettuano mediamente cinque ecografie, sei se vi sono problemi gravi. In generale, però, solo il 9,4% delle italiane e il 43,6% delle straniere effettua al massimo le tre ecografie pre-viste dal servizio sanitario nazionale2(Lauria, Andreozzi, 2011; Lau-ria, Lamberti, Buoncristiano et al., 2012).

Un altro dato emblematico riguarda il numero di visite medi-che durante la gravidanza: la media è pari a 6.9, ma il 53,9% del-le donne ha effettuato sette o più visite. Il dato è edel-levato non solo per le donne che hanno avuto gravidanze difficili, ma anche per coloro che hanno vissuto una gravidanza fisiologica. Infatti, chi ha avuto minaccia di parto pretermine ha effettuato, in media, solo una visita in più di chi ha avuto un decorso normale (7.8 contro 6.8); lo stesso accade per le donne che hanno avuto minacce d’abor-to in gravidanza: il numero delle loro visite è 7.6 contro 6.8 visi-te delle donne senza problemi (Sabbadini, 2001).

La situazione appena descritta indica che le gravidanze fisiolo-giche e quelle a rischio di patologia (o patolofisiolo-giche) non sono og-getto nel nostro Paese di un percorso differenziato. Al contrario, tutte le gravidanze in Italia – anche quelle normali – vengono ge-neralmente trattate come se fossero patologiche. Si tratta di una con-statazione fondamentale, che riguarda l’intera organizzazione dei nostri servizi di assistenza al parto, inclusi gli aspetti formativi os-sia la visione attraverso la quale viene formata la classe

medico-oste-trica. La cornice d’insieme entro cui si inserisce questo processo è peraltro inquietante: la necessità di un numero così elevato di con-trolli medico-diagnostici non rimanda all’evidenza scientifica di cui disponiamo. In altre parole, non è dimostrato scientificamente che un maggior numero di visite e di ecografie porti a ciò che gli esper-ti chiamano un miglior esito», cioè un parto o una nascita in miglio-ri condizioni di salute per la mamma e il bambino.

Da almeno un due decenni, si rileva poi un eccesso di interven-tismo e di utilizzo di farmaci (per esempio di ossitocici) durante il travaglio e il parto (Grandolfo, Donati, Giusti, 2002). Dalle due indagini campionarie condotte tra il 2008 e il 2009 dall’Istituto Su-periore di Sanità in venticinque aziende sanitarie italiane emerge che il 19,4% delle donne italiane e il 12,8% delle donne straniere che hanno partorito con parto spontaneo hanno avuto un trava-glio indotto. Nel 43,6% delle italiane e nel 45,6% delle straniere che hanno partorito con parto spontaneo è stata invece praticata l’epi-siotomia (Lauria, Bonciani, Lamberti et al., 2012): in pratica, qua-si una donna su due ha subito «il taglietto», come è stata definita questa pratica in modo quanto meno riduttivo da alcuni miei in-terlocutori3.

Oltre a comportare un aumento dei costi sanitari, tale situazio-ne causa anche «una dipendenza e una perdita di controllo da par-te delle donne della propria condizione, in una fase della loro vita in cui si esprime la loro potenza creativa al massimo livello e in cui, al contrario, sarebbe altamente auspicabile il loro coinvolgimen-to in processi di empowerment» (Grandolfo, Donati, Giusti, 2002: 1).

Nell’indagine multiscopo Condizione di Salute e ricorso ai servizi sa-nitari condotta dall’ISTAT tra il 1999 e il 2000 il dato riguardante la possibilità di scegliere liberamente la posizione più consona du-rante il parto (anche in linea con le direttive Oms 1985 e seguen-ti) è impressionante: l’87,9% delle donne ha partorito sul lettino ginecologico e solo un 12,1% in posizioni diverse: di queste, l’8,6% sulla sedia ostetrica, 1,3% accovacciata, lo 0,6% in acqua, lo 0,2% di fianco e 1,4% in altra posizione. Ciò avviene nonostante le evi-denze scientifiche dimostrino da tempo come la posizione

litoto-mica non sia la migliore dal punto di vista fisiologico e sottolinei-no l’importanza di permettere alla donna di muoversi a suo pia-cimento durante il travaglio e il parto. Al contrario, secondo l’in-dagine, solo il 26,3% delle donne che hanno partorito spontanea-mente ha potuto scegliere autonomaspontanea-mente la posizione; quasi mai questo si è verificato nelle regioni meridionali (Sabbadini, 2001). Lo studio, ripetuto a cadenza quinquennale, rivela che tra il 2004 e il 2005 l’assistenza in gravidanza è migliorata, in particolare per quanto riguarda le donne che si sottopongono a visite e accerta-menti nei primi mesi della gestazione; vi è inoltre più informazio-ne sulle tecniche di diagnosi prenatale. La medicalizzazioinformazio-ne è però ancora in aumento e le donne continuano ad apparire poco infor-mate, poco supportate nelle varie fasi della gravidanza e del po-stparto e poco coinvolte nei processi decisionali che le riguarda-no (ISTAT, 2006).

A contribuire a tale situazione vi è la tipologia di assistenza e in particolare il tipo di professionista che prende in carico la don-na in gravidanza. Nonostante quasi il 90% delle donne partorisca in un ospedale pubblico, la maggioranza delle donne italiane (78,5%) si rivolge al ginecologo, che nel 44,7% dei casi lavora in regime pri-vato; ed è proprio nel settore privato che si riscontra il maggior ec-cesso di medicalizzazione (Grandolfo, Donati, Giusti, 2002). L’af-fidamento al ginecologo è rilevante anche nelle gravidanze non a rischio. Ciò costituisce una prima importante differenza con quei Paesi in cui il modello di midwifery è maggiormente centrato nella fisiologia. Nei Paesi Bassi o in Gran Bretagna, per esempio, tale percorso è di competenza esclusiva dell’ostetrica.

Solo l’11% delle donne italiane (al contrario del 52,2% delle stra-niere) si rivolge, invece, al consultorio, dove solitamente la presa in carico è dell’ostetrica (Lauria, Andreozzi, 2011; Lauria, Lamber-ti, Buoncristiano et al., 2012). In generale, le indagini dell’ISS di-mostrano che «quando la nascita è presa in carico, in tutto o in par-te, dai consultori familiari e dalle ostetriche, si ha la maggiore espo-sizione alle pratiche raccomandate dalle conoscenze scientifiche disponibili e dalle norme vigenti; si ha anche una minore

esposi-zione a quelle non raccomandate» (Grandolfo, 2012: 10). Risulta, infatti, che le donne seguite da un consultorio familiare o da un gi-necologo ospedaliero sono sottoposte a un numero minore di eco-grafie, sono maggiormente informate e più autonome nelle loro scelte. Un ulteriore elemento che contribuisce a rendere le donne più consapevoli dell’intero processo è la frequentazione di un cor-so di accompagnamento alla nascita, cor-soprattutto se organizzato da un consultorio: le donne che lo frequentano risultano, infatti, me-glio informate, più autonome e più propense all’allattamento al seno, anche prolungato.

È importante menzionare che l’eccessiva medicalizzazione è ben lontana dagli ideali e dai desideri femminili: ben il 94,7% delle pri-mipare italiane che ha partorito con un parto spontaneo ha dichia-rato che, potendo scegliere, preferirebbe nuovamente il parto spontaneo; e così il 78,1% di coloro che hanno partorito con un ta-glio cesareo. La percentuale delle pluripare italiane che hanno già par-torito con cesareo e che preferirebbe un parto spontaneo in una nuo-va gravidanza si innalza al 96%. Le percentuali sono simili anche per le donne straniere: rispettivamente 94,5% e 78,2%. Il 95% delle don-ne desidera poi allattare al seno (Donati, Grandolfo, Andreozzi, 2003; ISTAT, 2007; Grandolfo, 2012). Questi dati sono particolarmente importanti nel rispondere in maniera chiara a certi luoghi comuni e a non rare affermazioni mediche (alcune raccolte personalmente) secondo cui «sono le donne a preferire il cesareo, l’epidurale e il lat-te artificiale». Un argomento sul quale ritornerò in seguito.

In questo contesto di crescente medicalizzazione, il Ministe-ro della Salute con il D.M. del 24/4/2000 intMiniste-roduce nel Piano Sa-nitario Nazionale relativo al triennio 1998-2000 il Progetto Obiettivo Materno Infantile (POMI) quale «tematica di rilevan-za strategica» (Ministero della Salute, 2000). Il piano si occupa del percorso nascita, dei tumori femminili e dell’adolescenza. In me-rito al parto e alla nascita, tra gli obiettivi principali (riferibili ai Li-velli Essenziali di Assistenza)4vi è l’umanizzazione del servizio di assistenza, raggiungibile attraverso l’attivazione di corsi prepar-to, la preparazione di personale qualificaprepar-to, la presenza di una

per-sona a scelta della donna durante il travaglio e il parto, la speri-mentazione di percorsi di demedicalizzazione del parto, l’attiva-zione di strategie facilitanti il contatto madre-bambino, il rooming in e l’assistenza al puerperio. Altre priorità riguardano il favorire il più possibile il contatto puerpera-neonato (nel caso di una pa-tologia di quest’ultimo) attraverso il collegamento funzionale tra area ostetrico-ginecologica e pediatrico-neonatologica, l’adegua-mento strutturale dei locali al fine di facilitare il rooming in e l’al-lattamento al seno, la realizzazione di dimissioni precoci attraver-so l’attivazione di una rete ospedaliera territoriale e attraver-sociale per il rientro domiciliare della madre e del bambino e la promozione e l’incremento dell’allattamento al seno.

Un ruolo importante viene affidato all’Istituto Superiore di Sa-nità, che ha il compito di accompagnare le Aziende Sanitarie Lo-cali nel percorso di implementazione delle raccomandazioni e di valutare l’efficacia dei programmi implementati. La valutazione del-l’efficacia risulta essere un punto chiave dell’intera operazione, in particolare per comprendere se e come gli interventi promossi rie-scono a promuovere la salute. Partendo dalla definizione della Car-ta di OtCar-tawa che intende la promozione della salute come «l’insie-me delle attività che hanno co«l’insie-me obiettivo finale l’au«l’insie-mento della capacità di controllo sul proprio stato di salute da parte delle per-sone e delle comunità» (WHO, 1986: 1), l’Istituto si impegna a ve-rificare tale processo. Il suo lavoro rimanda non solo al monito-raggio e alla valutazione della riduzione dei tassi di incidenza o pre-valenza delle condizioni di sofferenza, ma anche nell’aumentata ca-pacità di cercare salute e nella maggiore disponibilità della perso-na di promuovere salute verso altre persone (peer education). Il mo-dello di riferimento è, cioè, un momo-dello sociale di salute in cui l’as-sunzione della competenza potenziale della persona e della comu-nità – che conosce e riflette sui suoi vissuti quotidiani e riconosce le determinanti sociali della salute (e non solo quelle biologiche pro-prie del modello biomedico) – risulta essere fondamentale, in quan-to ne promuove la partecipazione. L’inviquan-to è dunque quello di su-perare il modello biomedico di salute di tipo

direttivo-paternali-stico per abbracciare un modello differente – sociale appunto – vol-to all’empowerment individuale e comunitario (Grandolfo, 2012).

Per analizzare la corrispondenza tra pratiche operative e risul-tati conseguiti rispetto a quanto indicato dal POMI, l’Istituto Su-periore di Sanità produce gli studi di cui, in precedenza, ho ripor-tato i risultati principali: la Prima indagine conoscitiva sul percorso na-scita, che coinvolge sessanta Aziende Sanitarie Locali in quindici regioni italiane (Grandolfo, Donati, Giusti, 2002) e le indagini cam-pionarie svolte tra il 2008-2009 e il 2010-2011 in 25 Aziende per valutare l’assistenza pre e postnatale. I risultati di queste ultime dal titolo complessivo Percorso nascita: promozione e valutazione della qualità di modelli operativi vengono resi noti in due pubblicazioni (Lau-ria, Andreozzi, 2011; Lau(Lau-ria, Lamberti, Buoncristiano et al., 2012). Il primo rapporto si occupa in particolare del percorso na-scita delle donne immigrate; il secondo dell’implementazione e va-lutazione di corsi di accompagnamento alla nascita, quali attività attuate nel rispetto dei principi del POMI. In particolare, si va-luta l’assistenza al percorso nascita a tre, sei e dodici mesi dal par-to, attraverso indagini condotte, con le stesse modalità, a un anno di distanza l’una dall’altra. Tra i due periodi, le Aziende Sanitarie Locali hanno il compito di organizzare attività e interventi assi-stenziali proprio nel rispetto di tali principi. Tra i risultati princi-pali dello studio si rileva la persistenza di un’assistenza privata e medicalizzata al percorso di nascita. È presente anche un gene-rale miglioramento degli indicatori assistenziali in gravidanza e nel puerperio, come la partecipazione ai corsi di accompagnamento alla nascita, la quantità e qualità di informazioni ricevute, le visi-te domiciliari offervisi-te dal consultorio, l’organizzazione di gruppi di sostegno all’allattamento o di auto-aiuto tra mamme e l’allat-tamento al seno.

Complessivamente, dagli studi emerge che l’esperienza del par-to è giudicata buona/ottima dall’82,4% delle italiane e dall’83,9% delle straniere. Rispetto al personale che ha assistito il travaglio e il parto, la relazione è giudicata soddisfacente o molto soddisfa-cente dalla grande maggioranza delle donne e per tutte le figure

professionali (>92%), sebbene la relazione con il personale oste-trico risulti in generale più positiva rispetto a quella intrattenuta con altri professionisti. È interessante notare che il giudizio dato dal-le donne sull’esperienza del parto risulta associato al tipo di par-to effettuapar-to e all’eventuale presenza o assenza di anestesia: un giu-dizio positivo è dato con minore frequenza quando il parto è av-venuto con taglio cesareo o con l’uso di ventosa/forcipe (parto ope-rativo), rispetto ai parti spontanei con o senza anestesia; tra i par-ti spontanei non migliora il giudizio della donna se è stata prapar-ti- prati-cata l’anestesia epidurale (Lauria, Bonciani, Lamberti et al., 2012).

In sintesi, quindi, i risultati delle due indagini indicano «cam-biamenti importanti in alcuni degli indicatori considerati, soprat-tutto relativi all’assistenza in gravidanza e in puerperio; ma al con-tempo, registrano una stabilità di altri indicatori, in particolare quelli ospedalieri, che mettono in evidenza una diversa sensibi-lità dei vari settori assistenziali verso il cambiamento. Le resisten-ze maggiori al cambiamento si hanno rispetto alle modalità di assistenza in gravidanza: per le donne italiane tale assistenza con-tinua a essere medica e privata; così come permane la conseguen-te abitudine di effettuare un numero eccessivo di ecografie, ri-spetto al numero raccomandato» (Lauria, Bonciani, Lamberti et al., 2012: 74).

Si tratta di considerazioni importanti, che dovrebbero, in qualche modo, indirizzare le politiche sanitarie in materia. D’altra parte, come sottolinea una ricercatrice dell’Istituto Superiore di Sanità:

Noi come Istituto Superiore di Sanità non abbiamo alcun potere normati-vo, siamo un organo tecnico scientifico del Servizio sanitario nazionale [...]. Quindi, quello che possiamo fare è produrre una buona ricerca nella spe-ranza che questa venga poi usata da chi di dovere in maniera appropriata. Però, questo secondo passaggio è assolutamente indipendente dalle nostre possibilità. Questo è un altro punto critico della questione (Serena). Cosa è accaduto a livello politico centrale (il «chi di dovere» di Serena), dunque, negli ultimi anni?

I Piani nazionali triennali che si sono susseguiti (2006-2008, 2009-2011 e 2012-2014) rivolgono particolare attenzione al percorso na-scita, riprendendo le indicazioni del POMI. Si propongono, infatti, la riduzione del ricorso al taglio cesareo al 20%, l’attenzione alla sicu-rezza, l’umanizzazione del parto, la promozione dell’allattamento al seno e la razionalizzazione della rete dei punti nascita. Argomenti su cui si sofferma nel 2010 il Ministero della Salute, che ha sviluppato le Linee di indirizzo per la promozione ed il miglioramento della qualità, della sicurezza e dell’appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo, oggetto di accordo della Conferenza Uni-ficata Stato-Regioni (Ministero della Salute, 2010b). Tale documen-to riprende i principi del POMI e prevede i seguenti interventi: – razionalizzazione/riduzione progressiva dei punti nascita con

numero di parti inferiore a 1000 all’anno; – carta dei servizi per il percorso nascita;

– integrazione territorio-ospedale per garantire la presa in cari-co, la continuità assistenziale e l’umanizzazione della nascita; – sviluppo di linee guida sulla gravidanza fisiologica e sul taglio cesareo da parte del Sistema nazionale linee guida-Istituto Su-periore di Sanità (SNLG-ISS);

– programma di implementazione delle linee guida;

– elaborazione, diffusione e implementazione di raccomandazio-ni e strumenti per la sicurezza del percorso nascita;

– procedure di controllo del dolore nel corso del travaglio e del parto;

– formazione degli operatori;

– monitoraggio e verifica delle attività;

– istituzione di una funzione di coordinamento permanente per il percorso nascita e di un Comitato per il Percorso Nascita (CPN).

D’altro canto, nel novembre del 2012, un gruppo trasversale di pro-fessionisti della salute, esperti, accademici, esponenti dell’associazio-nismo e della società civile si è riunito a Roma su proposta dell’Asso-ciazione Scientifica Andria e del Gruppo di discussione I Cerchi5.

Dal-la giornata di studio è nato un documento dal titolo Libere di scegliere. Libere di partorire, abortire, contraccepire. Linee di indirizzo per la politica ita-liana. L’intento è quello di «individuare alcuni semplici obiettivi che pos-sano formare una piattaforma per proposte politiche concrete di cam-biamento e di garanzia di maggiore rispetto per le scelte delle donne su parto, aborto e contraccezione; obiettivi concreti per dare una ri-sposta italiana alla negazione dei diritti all’autodeterminazione e alla ne-cessità che le donne riprendano il loro potere sui temi della gestione della salute riproduttiva» (Libere di Scegliere, 2012: 3) La presa di posi-zione, politica ed etica allo stesso tempo, è chiara: «Vogliamo difende-re e miglioradifende-re un Servizio Sanitario Nazionale messo a dura prova dal-le recenti manovre finanziarie. Vogliamo dei servizi sanitari regionali attenti ai bisogni e al sentire delle donne, non solo alle ragioni dell’eco-nomia e alla conservazione dei poteri e delle gerarchie esistenti. Vo-gliamo dire la nostra sulla riorganizzazione dei luoghi della nascita. Le scelte sulla salute riproduttiva sono scelte operate sul corpo delle don-ne, spesso senza il loro consenso» (Ibidem: 3).

Nel documento si ritrovano le preoccupazioni per l’eccessiva medicalizzazione del processo riproduttivo e per il mancato coinvolgimento della donna nelle scelte che riguardano la sua sa-lute già discusse. Trovo interessante presentare un elenco delle prin-cipali proposte del gruppo6, in quanto rimandano in molti casi ai punti di intervento dell’accordo Conferenza Stato-Regioni e allo stesso POMI. Rappresentano, in effetti, un segnale di inadempi-mento di alcune richieste ormai più che decennali. Le ritengo inol-tre interessanti, in quanto delineano un quadro preciso delle ur-genze maggiormente sentite da chi lavora quotidianamente su que-ste questioni. In particolare, il documento richiede:

Documenti correlati