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Pascal, Nicole, Hobbes

Sul tema della comunità di «membra pensanti» sono da considerare, in particolare, i frammenti 702-710 dei Pensieri. Basti citare il fr. 710:

«Essere membro vuol dire non avere vita, consistenza e movimento che attraverso lo spirito del corpo e a causa del corpo. Il membro separato, non vedendo più il corpo al quale appartiene, non ha più che un essere che sta per morire e scomparire. Tuttavia crede di essere un tutto, e, non vedendosi parte del corpo da cui dipende, crede di dipendere solo da sé, e vuol farsi centro e corpo lui stesso […]. Infine, quando arriva a conoscersi, è come se tornasse a sé, e non si ama più se non in funzione del corpo. Commisera i suoi smarrimenti passati […].

Non potrebbe per sua natura amare un’altra cosa se non in funzione di se stesso e per asservirla a sé, giacché ogni cosa si ama più di tutto. Ma, amando il corpo, si ama perché non ha l’essere se non in esso, attraverso esso e per esso: Qui adhaeret

Deo unus spiritus est.

Il corpo ama la mano; e la mano, se avesse una volontà, dovrebbe amarsi allo stesso modo con cui l’anima la ama. Ogni amore che va al di là di questo è ingiusto […].

Si ama Gesù Cristo perché è il corpo di cui siamo membra. Tutto è uno, l’uno è nell’altro, come le tre Persone»22.

Ora, rispetto a questo e agli altri frammenti ricordati – che sono sulla stessa linea e che quindi sarebbe superfluo citare –, il dato importante è che Pascal vi tratta, appunto, del corpo mistico e non del corpo politico. Nel corpo mistico si aderisce a Dio in spirito e si ama Gesù Cristo perché il corpo di cui sia- mo membra ha in lui la sua ragion d’essere e il suo principio di unità. Il modello è la Trinità, in cui ciascuno è in tutto e il tutto è uno. Il piano di riferimento è teologico, non politico, è escatologico e non storico. E Pascal – come vedremo meglio

procedendo – è chiaro e netto quando mette l’accento sull’im- possibilità di mediazione tra questi piani, cioè tra gli «ordini» della carne, dello spirito, della carità23. Si tratta di un aspetto

ben noto del suo pensiero.

Per sviluppare questa linea interpretativa ed evidenziarne le conseguenze vale la pena di analizzare la differenza tra la posizione di Pascal, da un lato, e di Nicole, dall’altro, ricondu- cendo entrambe a un referente quanto mai significativo, cioè Hobbes.

Se prendiamo in esame Pascal e Hobbes, troviamo una con- trapposizione tra modelli di ordine politico che non sono col- locabili sullo stesso piano ed entro lo stesso livello di realtà. Il modello pascaliano di autentica comunità – antitetico rispetto all’aggregazione tenuta insieme solo dalle «corde» dell’interes- se individuale che trova una mediazione con gli altri interessi mediante la rigida reciprocità del diritto – rinvia, infatti, a un orizzonte altro da quello mondano e, per ciò che a noi qui più interessa, da quello politico. Scrive Pascal:

«Da tutti i corpi insieme non si potrebbe far sortire un pensiero, per piccolo che sia: ciò risulta impossibile essendo [il pensiero] di un altro ordine. Da tutti i corpi e spiriti insieme non si riuscirebbe a trarre un movimento verso la vera carità: è impossibile, si tratta di un altro ordine, soprannaturale»24.

Difficile essere più chiari: l’ordine del vero bene non è, per Pascal (che prende evidentemente una strada ben diversa da quella di Nicole), un ordine realizzabile in questa terra.

È il motivo per cui Hobbes ha ragione e torto insieme. Ha ragione – parzialmente ragione – perché delinea tratti cruciali e incontestabili dell’unico ordine concretizzabile nel mondo segnato dal peccato originale. Resta, però, che la caduta originaria non entra, se non marginalmente, nella prospettiva

23 Cfr. ibi, fr. 829, pp. 1340-1341. 24 Ibi, fr. 829, p. 1342.

hobbesiana. Da essa, quindi, si vedono bene le cose, ma – se guardiamo con gli occhi di Pascal – bisogna aggiungere che le si vedono senza capirle nella loro scaturigine originaria.

Il torto di Hobbes diviene ancora più evidente se si conside- ra che l’autore del De Cive pensa la sua «filosofia civile» come la chiave per la vera giustizia. Detto con Pascal: Hobbes ignora del tutto le conseguenze dell’abisso che il peccato di Adamo ha scavato tra uomo e Dio, tra il piano del divino e quello del mondo.

Evidenziato questo, va ora sottolineata la peculiarità della soluzione pascaliana. Sta nell’idea che, pur senza cedere alla vanità consistente nel pretendere di giungere alla definizione del vero giusto, è possibile una disciplina delle relazioni collet- tive e un esercizio di esse in termini ragionevoli. Tale disciplina consente un assetto che, comunque sia, è migliore della guerra civile e che, con tutti i suoi limiti, pur non potendosi richiama- re alla legge divina nel senso di Nicole o alla legge naturale nel senso di Hobbes, è un ordine, in quanto permette una convi- venza almeno esteriormente regolata.

Questo mi pare il punto saliente: tagliato fuori dalla verità e dalla giustizia, l’uomo, nell’ottica pascaliana, non risulta per questo disarmato di fronte al compito di attuare rapporti nei quali si manifesta la capacità, prodotto della ragionevolezza, di organizzare le relazioni umane dopo il primo peccato. Rispet- to a Nicole ciò significa che l’ordine dell’amor proprio illumi- nato acquista un peso maggiore, essendo l’unico praticabile e in grado di impedire la guerra aperta. Nel pensiero dell’autore degli Essais de morale la condizione prevalente in cui vivono gli uomini dopo la caduta non elide – come abbiamo visto – la possibilità di ipotizzare e concretizzare un ordine che incarni le direttive della legge divina, cioè della giustizia autentica. Ne deriva che a tale condizione se ne può contrapporre un’altra nella quale il vero giusto può essere attivato, pur con i limiti connessi alle conseguenze del primo peccato.

Da qui la tendenza, onnipresente in Nicole, a individuare i punti di passaggio che possano trasformare il fallace equilibrio dell’amor proprio nell’ordine conforme a giustizia. E da qui anche l’attenzione nel decifrare le tracce che, partendo dalla logica dell’amor proprio éclairé, fanno intravedere ciò che può condurre a oltrepassarlo25. Quell’equilibrio, regno dell’appa-

renza, non è quindi l’ultima parola di Nicole.

In Pascal, invece, l’alternativa non c’è e quindi lo sforzo va nella direzione di pensare un giusto possibile senza ricorrere a un giusto naturale – nel senso onto-teleologico tomista, più o meno rielaborato (come avviene in Nicole), o nel senso del- la ratio calcolante tipica del giusnaturalismo moderno (come avviene in Hobbes). Questo giusto naturale l’uomo non è più all’altezza di conoscerlo e di realizzarlo. Malgrado ciò, lo spazio della disproportion può ospitare un ordine conforme a giustizia ragionevole, la quale può essere teoreticamente motivata anche dopo che si siano fatti i conti con l’improponibilità di concezio- ni della ragione e, in generale, dei poteri conoscitivi e operativi umani che pretendono di ottenere dagli eredi di Adamo molto più di quanto è ottenibile.

In base a quest’ultima considerazione diviene ora possibile allargare la prospettiva, cercando di approfondire ulteriormen- te la proposta di lettura sin qui delineata.