• Non ci sono risultati.

I pastori nomadi

1. INTRODUZIONE

1.4 I pastori nomadi

La Penisola Balcanica è divisa in tre zone ben distinte: a nord l'area balcanica, che va dai monti Balcani all'Egeo; a occidente l'area dinarica, lungo i monti dell'Albania e dell'Epiro fino al Peloponneso; al centro l'area con la catena dei Rodopi. La penisola è caratterizzata da forti contrasti fisici e climatici a seconda delle varie aree, il che comporta rilevanti differenze nella loro vegetazione.

La vita pastorale sviluppatasi, fin da tempi antichissimi, in queste condizioni, si è accompagnata a un importante fenomeno, il nomadismo, tipico soprattutto degli Aromeni – definiti "gli ultimi nomadi europei" – e, in parte, degli Albanesi. Si capisce che la base del nomadismo, nei pastori, è legata al cambio periodico, dovuto alla transumanza, dei loro insediamenti estivi e invernali; capita spesso che questi spostamenti da una sede all'altra seguano, per cause impreviste, strade diverse da un anno all'altro, sicché tali movimenti di massa da parte dei pastori, che prendono una direzione diversa da quella solita, magari in cerca di luoghi più sicuri, assumono il carattere di una vera e propria migrazione nomade114. A causa del nomadismo le popolazioni romene dei Balcani si sono spostate nel corso dei secoli dapprima da nord a sud e, dopo l'invasione turca, si sono allontanate, pressoché in ogni secolo, dal centro verso sud. Dovunque si incontravano pastori aromeni, in Grecia, Albania, Serbia o Bulgaria, essi si presentavano vestiti nella loro foggia tipica e tuttora parlano una lingua unitaria, senza grandi differenze locali. Il nomadismo doveva aver caratterizzato anche i pastori albanesi, mentre Greci, Serbi e Bulgari conoscevano la vita pastorale solo sotto forma di transumanza. Anche presso le genti romene dell'attuale Romania mancavano forme di pastorizia nomade, al contrario di quanto afferma Densusianu, che non distingue fra transumanza e nomadismo. Quando insieme alle greggi che si spostano dai pascoli estivi a quelli invernali si muovono soltanto i pastori coi loro cani, è il caso di usare il termine "transumanza", mentre quando i pastori sono accompagnati dalla famiglia e dal resto della comunità organizzandosi in fălcari115, solo allora si può parlare di "nomadismo"116. Presso gli Aromeni era presente anche la semplice transumanza, ma in forma ridotta, in casi di necessità, perché il tipo di vita a loro più confacente era quello nomade. In Albania le vie della transumanza risultavano essere parecchie fra Scutari e Valona117.

Le cause del nomadismo aromeno sono essenzialmente conseguenza della grave situazione che si venne a creare nella penisola in seguito alle invasioni slave e, più tardi, a quelle turche. I pastori dovevano continuamente spostarsi insieme alle loro famiglie e al bestiame per sfuggire alla minaccia di attacchi nemici e trovare luoghi protetti. Questa

                                                                                                               

114 Questo nomadismo pastorale, presentandosi sotto forma di civiltà più avanzata, va separato da quello delle tribù della steppa. In ogni caso, quando al regolare spostamento di greggi o mandrie si associa quello di un gruppo umano è lecito parlare di nomadismo e la popolazione che vi prende parte non può che dirsi nomade.

115 Per fălcare si intende un gruppo familiare che affronta insieme il viaggio da una sede all'altra. Si tratta di un'unità economica e sociale specifica delle comunità aromene nomadi.

116 Naturalmente nel corso del tempo la transumanza si può trasformare in nomadismo.

condotta, dovuta inizialmente a ragioni di sicurezza, finì col diventare uno stile di vita118.

Fig. 6. Capidan (1924/1926: 254a). I romeni del sud della Penisola Balcanica.

Il nomadismo delle genti romene risale a epoca molto antica e la sua espansione nell'area carpato-balcanica è ormai ampiamente documentata119. Se fino al sec. X esso si può solo presupporre, a partire da questo periodo si trovano attestazioni nelle cronache bizantine, dove si parla dei Βλάχoι (Vlákhoi), popolazione romena dell'area sud-danubiana, la stessa di quella degli antenati degli Aromeni120 o, più in generale, dei Romeni121. Tale                                                                                                                

118 Capidan (1924/1926: 195-196).

119 Tra i primi, fondamentali contributi alle ricerche sulle migrazioni dei Romeni vanno menzionati Marțianu D. P. (1864). "Ceva despre Valahii di Moravia", in Buciumul, ziar politic, literar și comercial 281, 1-2 e Miklosich F. (1880). "Über die Wanderungen der Rumunen in den dalmatinischen Alpen und den Karpaten", in Denkschriften der Kaiserlichen Akademie der Wissenschaften. Philosophisch-Historische Classe 30/1, 1-66. Un articolo esauriente e ricco di bibliografia in particolare per quanto riguarda l'area carpatica è: Vašek A. (1967). "Sur la méthodologie des recherches carpatologiques linguistiques", in Romanoslavica XIV, 13-38.

120 Capidan (1924/1926: 197-203).

popolazione, chiamata dai popoli limitrofi con l'equivalente del nome Vlach (srb., bulg.

vlah, ted. Walach, ungh. oláh ecc.) chiamava sé stessa rumîni (nella grafia odierna rumâni), etnonimo documentato a partire dalla metà del XVI sec. grazie al diacono

Coresi122. La prima attestazione relativa ai Vlacchi123 proviene da una nota dell'VIII sec. dello storico bizantino Ioan Skylitzes ritrovata nel monastero di Kastamunitu124. La principessa Anna Comnena (1083-1153)125 scrive espressamente che queste genti conducevano una "vita nomade" (νoµάδα βίoν). Nell'XI sec. l'impero bizantino stabilisce un'amministrazione speciale per i Vlacchi della Grecia (αρχή τῶν βλάχων Eλλάδoς) che mostra come i romeni nomadi si fossero diffusi in Tessaglia. Parecchi altri illustri personaggi, da Niceta Coniata (1155-1217) all'imperatore Giovanni VI Cantacuzeno (1292-1383) parlano di tale popolazione nomade nelle loro cronache. Nella traduzione latina della Storia di Georgios Pachymeres (1242-1310) si trova scritto in riferimento ai pastori Vlacchi che "erat id genus hominum vagum, incertis errans sedibus"126. A volte la parola Vlach veniva usata durante il Medioevo per designare i pastori in generale, il che è naturalmente dovuto al fatto che i primi Vlacchi risultano essere pastori per eccellenza127.

In Serbia, a partire dal XII sec. sono attestati circa 40 atti di donazione (hrišov) scritti da re e nobili serbi, nei quali viene documentata la presenza di Vlacchi in varie parti del Paese. Tra questi, il più antico (1198-1199) parla di Vlacchi che vivono nella regione di Prizren (attuale Kosovo)128. Un altro atto di donazione del 1220 scritto dal re Štefan e rinvenuto nel monastero di Žica menziona i nomi di circa 200 Vlacchi a Ovest di Kosovo Polje (Fushë Kosovë), lungo il corso superiore del fiume Lim. Secondo Dragomir (1959: 19) nessuno di questi nomi presenta un carattere aromeno (sud-danubiano), bensì romeno settentrionale (o "dacoromeno")129.

Anche documenti ragusei testimoniano la migrazione dei Vlacchi tra il XIV e il XV sec. Nel 1332 vengono menzionati ben 50 villaggi (cătun) abitati da tale popolazione.                                                                                                                

122 Du Nay (1996: 26-27).

123 Per Vlacchi in questa sede si intendono le genti, documentate a partire dall'Alto Medioevo, le quali parlavano un romanzo orientale oggi rappresentato dal gruppo linguistico romeno. Dato che essi vengono menzionati anche in epoche verosimilmente antecedenti la differenziazione dialettale del romeno comune, il nome Vlacchi va inteso come sinonimo di Romeni in quanto esso può riferirsi sia a genti parlanti il romeno settentrionale (il cosiddetto "dacoromeno" e l'istroromeno) sia a genti che parlano il romeno meridionale (l'aromeno e il meglenoromeno).

124 Capidan (1936: 57-58).

125 Una delle prime donne storiografe conosciute.

126 Capidan (1924/1926: 197-203).

127 Du Nay (1996: 27).

128 Dragomir (1959: 17).

129 Le popolazioni romene della Serbia non vengono ritenute da Rosetti (1962: 44-45) sud-danubiane (aromene), bensì cosiddette "dacoromene" (come gli istroromeni).  

Nello stesso periodo si hanno documenti relativi a loro insediamenti anche a Stagno (Ston)130.

La presenza di popolazioni romenofone in Montenegro e in Erzegovina viene attestata da numerosi toponimi (tra l'altro presenti anche in altre aree dei Balcani) come i monti Durmitor (rom. dormi "dormire"), Visator, Visitor (rom. visa "sognare)131, Țipitor (rom. ațipi "addormentarsi"), l'altipiano Murgule (rom. murg, arom. murgu "nero-rossastro, castano scuro, grigio, detto specialmente di cavallo"132) e Palator, un guado attraverso la Drina dove veniva lavata la lana133 (rom. spăla "lavare"134). Secondo il prof. Erdeljanović apud Dragomir (1959: 23, 164), antropologo e geografo, è insensato pensare che i Serbi avessero atteso la colonizzazione dei Vlacchi (ovvero fino ai sec. IX-X) per scoprire che i toponimi in questione si chiamassero in tal modo. A suo parere, tali insediamenti sono antichi, il che secondo Dragomir (1959: 164) fa pensare che risalgano all'occupazione slava di queste aree (VIII sec.).

La prima menzione relativa ai Vlacchi nella regione tra i fiumi Timok e Morava risale al 1198, in un resoconto dello scrittore Ansberto (XII-XIII sec.) sul viaggio di Federico Barbarossa. La regione viene annessa dai Serbi nel 1292 per opera di re Milutin. Inoltre, vi sono documenti che attestano la presenza di Vlacchi a nordovest di Nissa (Niš, Serbia) dal 1382 e nel distretto di Kučevo (rom. Cuciovă, nell'attuale Repubblica di Macedonia) dal 1428135.

                                                                                                                130 Dragomir (1959: 167).

131 Stadtmüller (1966: 94 nota 75) appoggia la tesi di Jokl nell'affermare che la toponomastica (p. es. Durmitor e Visitor) dell'area delle Alpi nordalbanesi è influenzata massimamente dai pastori nomadi aromeni, contro la tesi di Weigand secondo cui i due oronimi citati sono direttamente riconducibili o al latino o all'antico dalmatico.

132 V. cap. 1 alb. murg "scuro, grigio, nero".

133 Dragomir (1959: 23).

134 Cfr. alb. shpëlaj "sciacquare, risciacquare", laj "lavare".  

Fig. 7. Du Nay (1996: 32). Toponimi e nomi geografici serbocroati di origine romena settentrionale o

contenenti l'etnonimo Vlach. Du Nay (1996: 32) concorda con Dragomir nel sostenere che tali nomi – considerando che molti tra essi sono stati tradotti dalle popolazioni slave oppure sono semplicemente scomparsi in seguito alla loro occupazione dell'area, che fu definitiva – rappresentano le vestigia della popolazione romena settentrionale che abitava l'area a sud del Danubio durante il Medioevo. Tali nomi esistono tuttora, ma molti altri – assenti – vengono menzionati in documenti storici.

Inoltre, Rosetti (1962: 44-50) basandosi sull'operato di altri studiosi quali Weigand, Duridanov e Zaimov menziona 35 toponimi nella Bulgaria centrale e nella regione di Sofia ritenuti di origine romena settentrionale e risalenti al X-XIV sec.

In tal modo, gli insediamenti dei Vlacchi a occidente dei Balcani sembrano rappresentare un periodo storico lungo, dai contorni ancora da decifrare136. I sentieri dei pastori dovevano essere serviti anche da vie di migrazione, il che spiega una simile espansione lenta e protratta137. I Morlacchi e gli Istroromeni vanno quindi considerati il punto estremo di tale movimento, che ebbe origine nella regione della Morava e conobbe un orientamento iniziale verso occidente e in seguito verso nord138.

Lo studio dei toponimi suggerisce inoltre l'esistenza di migrazioni vlacche verso la                                                                                                                

136 Dragomir (1959: 167).

137 Dragomir (1959: 168).

Pannonia. In base ai toponimi di probabile origine romena settentrionale menzionati in documenti medievali, Drăganu suppone che tali Vlacchi venissero dalla Mesia Superiore, in un'epoca di cui non si hanno attestazioni storiche. In questi documenti vengono menzionati p. es. nel 1295 villa Vlach vicino a Sirmium (attuale Sremska Mitrovica, Serbia), nel 1292 il fiume Valachyza; inoltre, nella medesima area, Ušurinc nel 1395 e

Radulfalva nel 1406139.

Tre atti di donazione scritti da Štefan Dušan distinguono i Vlacchi dai Serbi. Inoltre, molti documenti menzionano i Vlacchi assieme agli Albanesi, come due popolazioni distinte ma che vivono in prossimità l'una dell'altra140. Tali documenti rappresentano secondo Du Nay (1996: 37-38) una prova su un'antica simbiosi romeno-albanese, grazie anche alla diffusione dei katund141 tra gli Albanesi e lo sviluppo dei frății vlacchi in tribù. Anche sul nomadismo albanese si hanno testimonianze antiche: un monaco francese scrive nel 1308 che gli Albanesi "civitates, castra [...] non habent, sed habitant in papilionibis et semper moventur de loco ad locum per turmas et cognationes suas"142. Certo è che le genti albanesi e i pastori romeni erano a stretto contatto durante tutto il Medioevo e anche dopo. Weigand (1910b: 193-203) negli anni 1889-1890 documenta insediamenti aromeni a nord del fiume Shkumbin, specificatamente nelle aree di Durazzo, Tirana, Elbasan e Kavaja (a Scutari invece vengono attestate da 60 a 100 famiglie), anche se già da allora era secondo lui in corso una loro "albanesizzazione". Valentini (1975: 269-274), storico e albanologo padovano, nonché membro fondatore dell'Istituto Regio degli Studi Albanesi, documenta a partire dal Medioevo e fino al XV sec. un'importante presenza aromena nell'entroterra montano albanese, in particolare nell'area ghega centro-settentrionale (regione del Mat) e nordoccidentale (area di Scutari), riportando nomi di tribù locali (Bërbati < rom. bărbat "uomo"), antroponimi (Drago illo Roman, Vlah, Rëman, Romestina, Catasto Veneto di Scutari del 1416-1417) e toponimi (regione del Kurbin, cfr. il cognome rom. Corvin;                                                                                                                

139 Secondo Dragomir (1959: 171) il toponimo ricorda Ušur, il figlio di Ivan Borojević (rom. ușure = ușor "peso leggero"), cfr. inoltre il top. Ușurei nei distretti di Vâlcea e di Mehedinți (Romania).

140 Du Nay (1996: 28).

141 Secondo Çabej (2014: 63-64) si tratta di una voce panalbanese che significa "villaggio", ma di età relativamente recente, data la conservazione della a pretonica. Egli si oppone all'ipotesi di una parola paleobalcanica comune al rom. cătun (il tipo katun esiste anche in altre lingue balcaniche) e ipotizza possa trattarsi di una formazione medievale, specificando che alb. fshat ~ rom. sat "villaggio" < lat. fossatum dovrebbe avere un'estensione maggiore rispetto al tipo katund ~ cătun: il primo indica un gruppo di case isolato, mentre il secondo un gruppo di abitazioni temporanee di pastori. È quindi piuttosto verosimile che si tratti di un romenismo, diffuso nelle lingue balcaniche grazie al nomadismo romeno. L'alb. katun potrebbe avere un tramite slavo, dove si nota una conservazione delle vocali pretoniche, cfr. alb. magar, rom. măgar < sl. magar "asino" e alb. magulë (~ gh. gamule "mucchio di terra, mucchio d'erba o di pietre"), rom. măgură "collina, montagnola" < a. sl. eccl. mogyla ~ gomyla "tumulo".

Rëmani, sobborgo di Scutari ~ Romăni; Ruga e Gogvet "Via dei Romeni"). Lo studioso

albanese Zef Mirdita (2007: 268) inoltre sostiene che, come in Serbia, l'immigrazione dei Vlacchi in Croazia ebbe luogo tra il XII e il XIV sec. Tracce dell'esistenza di parlate vlacche permangono nel lessico degli allevatori di bestiame croati, nei toponimi e nei cognomi.

Non si sa con esattezza quando i Vlacchi da popolazione sedentaria divennero nomadi. Sembra verosimile che questo passaggio sia avvenuto all'epoca delle invasioni di popolazioni soprattutto slave. Tenendo conto delle testimonianze degli scrittori antichi, che forniscono informazioni sul modo in cui gli Slavi cercavano di imporsi sull'elemento romanzo, l'unico luogo di scampo erano i monti, dove non era possibile praticare l'agricoltura. Pertanto, la sola attività per procurarsi il sostentamento era l'allevamento del bestiame. Tale attività fu caratterizzata all'inizio dalla transumanza, ma col tempo questa si mutò in uno stile di vita nomade, che è continuato in buona parte fino ai primi decenni del XX secolo143.

Documenti correlati