al centro del loro scambio epistolare: Maria Degrassi, Tita Brusin, Guido Slataper, solo per citare
alcuni lutti. Il quaderno XXII conserva gli appunti dedicati all'agonia e alla morte di Maria
Degrassi, amica di Marin fin dall'infanzia: il loro rapporto ha vissuto momenti di slancio amoroso e
di solida, profonda amicizia, e Maria ha incarnato sempre, per Marin, la bellezza luminosa di
Grado, l'umanità dell'isola, un porto sicuro e un suo personale accogliente rifugio. Il 9 marzo 1968,
il poeta annota: «Annunziata mi ha scritto da Grado che Maria Degrassi, la mia coetanea, l'amica
amorosa di tutta la mia vita, il fiore di gentilezza, di squisitezza nato e vissuto nella più pura e
solare luce della mia isola, è rientrata all'ospedale perché sta molto male, e si teme che i suoi giorni
siano ormai contati. Dalla prima elementare in su fino a questi giorni ci siamo voluti sempre bene;
lei poi me ne ha voluto moltissimo […]. È stata l'unica persona di Grado che ha compreso e amato
me e la mia poesia»
273. Due giorni più tardi, l'11 marzo, Marin, che continua ad annotare
l'aggravarsi delle condizioni di salute di Maria, spende qualche riga per descrivere il rapporto che
Maria stessa aveva instaurato, nel lontano primo dopoguerra, con Ervino Pocar: «Ervino nel '19 era
mio ospite a Firenze dove era profuga anche Maria. E l'aveva conosciuta in casa mia. Si era
invaghito e le aveva chiesto la mano. Maria gli fece garbatamente capire che voleva bene a me e
che pertanto non poteva accettare la sua offerta. E anche possiedo una bella fotografia di Maria con
Ervino sulla tomba di Scipio Slataper. E anche una di Maria con me. Ervino mi è stato amico fedele
dal 1912 in qua. Maria da qualche anno prima. Sono stati i miei amici migliori per tanti tanti anni e
lo saranno sempre»
274. Una triangolazione umana di cui Marin è centro e perno, e che accomuna
Degrassi e Pocar, ai suoi occhi, come gli amici migliori della sua intera vita. Maria muore il 16
marzo 1968:
Questa mattina Maria Degrassi è morta. Erano le quattro: e alle 3.35 io mi sono svegliato e non ho più potuto dormire. Naturalmente ho pensato a lei e che soffriva molto prima di morire. Ma non ho avvertito la sua morte. Ho scritto invece una poesia su i suoi silenzi.
Non ho conosciuto nessuna donna più capace di stare zitta di lei. Tanta chiara intelligenza e tanto controllo sulla parola. E se parlava era la misura dell'oro in persona.
Io certamente l'ho fatta soffrire e molto; non mi ha detto in tutta la sua vita una parola di rimprovero. E quanto bene mi ha dato, anche quando io mi allontanavo da lei. Al ritorno trovavo tutto ciò che in lei era di mio. O meglio detto: il suo dono.
Grado mi ha dato in mia sorella Annunziata, in Maria, in Giovanna l'unica umanità capace di accogliermi secondo la mia legge, così da rendermi impossibile lo sradicarmi da l'isola.
Tre donne soltanto: ma sufficienti a farmi ritrovare la patria, la culla, l'origine.275
Ricevuta la notizia della morte, Marin si affretta ad avvertire Ervino, che qualche giorno più tardi
gli risponde, raccontandogli l'ultimo incontro avuto con donna, a Grado. «Ci abbracciammo in
273 XXII, 129, 9 marzo 1968.274 XXII, 131, 11 marzo 1968. 275 XXII, 136, 16 marzo 1968.
mezzo alla strada senza badare alla gente», scrive Pocar. E attraverso questa immagine che l'amico
gli regala, Marin può distillare l'intensità del suo rapporto di amicizia con Ervino e con la stessa
Maria, e il loro incontrarsi a Grado, il luogo che, anche grazie a Maria Degrassi, è rimasto e rimarrà
per lui patria, culla e origine.
Avevo comunicato a Ervino Pocar la fine di Maria Degrassi. Oggi ho ricevuto una sua breve lettera in cui tra altro mi dice: “Capisco la tua pena, e tu capisci certo la mia. Anche io le ho voluto bene: ma a quel tempo ero ancora selvatico e tanto mortificato dalle angustie della mia vita. Ci eravamo scritti per molto tempo, e lei era tanto cara e nobile; e a me era rimasta una gran luce che ora si è spenta. L'ultima volta che la vidi a Grado, ricordi? Ci abbracciammo in mezzo alla strada senza badare alla gente. Un incontro che non dimenticherò mai. Questo mi è rimasto. È poco, Biaseto, ma è molto. Molto per chi è vissuto tanti anni senza sole...”
Queste parole, dalla prima all'ultima, mi commuovono. Io so che cosa significano. In quegli anni eravamo molto vicini e ascoltavamo il respiro dell'altro. Come poteva non voler bene a Maria anche lui? Ora me lo sento nuovamente tanto vicino.276
Con l'avanzare dell'età, capita sempre più spesso che la corrispondenza tra Marin e Pocar si
concentri sulla perdita di amici comuni. Il 30 dicembre 1973 muore Giovanni Battista Brusin, da
tutti chiamato Tita: poco più anziano di Marin e Pocar, e amico di entrambi, apparteneva anche lui
alla generazione formatasi allo Staatgymnasium di Gorizia; aveva studiato all'Università di Vienna e
aveva dedicato la vita alla studio e alla promozione degli scavi archeologici di Aquileia, la sua città.
Pocar viene a conoscenza della morte di Brusin dai giornali e, appresa la notizia, scrive a Marin:
Ho avuto oggi una lettera del mio vecchio amico Ervino Pocar, mio compagno di scuola fin dalla II ginnasiale e poi compagno e amico negli anni di Vienna e poi per tutta la vita. La copio qui perché nel tessuto della mia vita, ha un qualche significato. Ervino è un anno più giovane di me. Vive da molti anni a Milano e ha 4 figlioli bravi votati alla carriera universitaria. Uno, il terzo, è già ordinario al Politecnico, di matematica o di fisica. Con Ervino ci siamo incontrati a Gorizia il due ottobre del 76, assieme a Toni Morassi, per ricevere, tutti e tre, la cittadinanza onoraria di quella città. Anche Morassi era nostro compagno di studi. È già morto, sebbene fosse il più giovane tra noi.
Ed ecco la lettera di Ervino:
Milano, 6 genn 1977
Caro Biaseto, un altro amico se ne è andato. Ho appreso dal giornale che è morto il nostro Tita! Che uomo di valore e di eccezionale impegno: ein pflichtgatreuer Mann. Io sentivo per lui un affetto profondo e un grande rispetto. Uomini così non se ne trovano ogni giorno. Per me Aquileia significava Tita Brusin. Ma cosa sarà Aquileia senza di lui?
La morte miete e il mondo si fa sempre più deserto. Ma anche la nostra ora non è lontana. Tita avrà avuto 90 anni credo: noi non ne abbiamo molti di meno.
L'ho visto l'ultima volta ad Aquileia insieme con te e con tuoi amici triestini, convenuti a festeggiarti. E aveva un'aria così solenne, virile, per non dire giovanile.
Ho ricevuto la tua del giorno di Natale. Siamo all'Epifania. Dovevo andare a Tarcento per il Premio, ma non mi sento di affrontare il viaggio. Un po' l'influenza, un po' le gambe che non
reggono, un po' la neve e la pioggia insistenti mi tarpano le ali e mi inchiodano alla scrivania, dove, più che scrivere, sonnecchio.
Caro Biaseto ricordami a Pina e dille che le voglio bene e l'ammiro, come l'ho sempre ammirata.
Ti abbraccio Ervino.
Tita Brusin credo avesse superati i 93 anni; io ero in I ginnasiale quando Tita era in VIII. Era il R.R. Gymnasium tedesco di Gorizia. Penso che quella formazione culturale tedesca a noi abbia molto giovato. Culturalmente eravamo più ricchi e più aperti dei nostri compagni delle scuole nazionali e avevamo una possibilità maggiore di giudizio, resa possibile dalla coesistenza di due culture e dalla mentalità medio-europea. Nella mia formazione Goethe e Beethoven hanno contato molto e la conoscenza della lingua tedesca mi ha permesso di leggere i russi e gli scandinavi, con facilità, perché le traduzioni tedesche era facile trovarle. E poi Vienna era un centro culturale in quegli anni molto importante. Certo ho avuto bisogno di vivere poi a Firenze e a Roma per integrare la mia cultura.277
La notizia della morte di Tita Brusin è registrata da Marin nel taccuino XLV, e viene annotata in
tempo reale. Sono le 11 di mattina del 31 dicembre 1976 e, come è sua consuetudine alla fine di
ogni anno, il poeta sta tracciando un bilancio dei fatti accaduti negli ultimi dodici mesi: «L'anno 76,
l'anno delle disgrazie, dei terremoti, dell'anarchia civile, della grande crisi economica, sta per finire.
Non credo che l'anno che comincerà oggi, dopo la mezzanotte, sarà migliore del moribondo. Potrà
invece essere peggiore»
278. Con questa nota di svelto pessimismo, Marin apre la sua analisi, che
viene interrotta poche righe più avanti, mentre cerca di rispondere a una domanda che egli ha posto
a se stesso:
Ormai anche a fini politici ci si serve dei delitti, fino all'omicidio, il più disinvolto. E non parliamo delle rapine, dei furti, dei sequestri perfino di bimbe di pochi anni.
L'anno nuovo potrà sanare questa situazione? Non
È entrato in questo momento il genero di Tita Brusin, il medico La Barba con la sua figliola Beatrice, per dirmi che ieri Tita è spirato. Tita ha lasciato detto che non vuole che gli si facciano funerali, per la stessa ragione che non li voglio neanche io.
Egli ad Aquileia non era amato, anche se lo rispettavano, e era molto solo nei suoi ultimi anni. Gli ho voluto molto molto bene e l'ho sempre considerato come un fratello maggiore.279
Una nota concisa, che registra in tempo reale l'arrivo della notizia. La morte di Brusin, però, sarà la
protagonista delle riflessioni della sera stessa, quando Marin torna ai diari – non al taccuino XLV,
che conserva la nota appena citata, ma al XLIV, quello su cui scrive la notte e la mattina presto.
Accade spesso che i medesimi fatti, e le conseguenti speculazioni, vengano registrati più volte, in
quaderni diversi che il poeta compila nello stesso periodo. In questo caso, se la mattina Marin aveva
annotato l'arrivo del genero e della nipote di Tita Brusin e aggiunto delle laconiche considerazioni,
la sera, alle 21.15 del 31 dicembre, egli sviluppa il tema accennato la mattina, dedicando all'amico
277 XLV, 82-83, 13 gennaio 1977.278 XLV, 74, 31 dicembre 1976. 279 XLV, 74, 31 dicembre 1976.