RENE DA MIELOMA MALATTIA DA DEPOSITO DI CATENE LEGGERE
AMILOIDOSI AL
SEDE DEL DANNO •Tubulo prossimale
•Tubulo distale tubulari distali (CL e prot. Tamm Horsfall)
MORBILITA’ INFETTIVA
• Deficit di immunità umorale
• Aumentata incidenza di episodi infettivi (per lo più batterici)
• Poco frequente all’esordio di malattia, progressivamente più rilevante durante il decorso clinico (ricaduta di malattia e immunodepressione post terapia)
Le infezioni sono la principale causa di morte nel paziente con MM
Insufficienza midollare: anemia “secondaria” da cause multiple
• Invasione midollare
• Deficit di eritropoietina – IRC
– Inadeguata produzione
• Mielosoppressione post terapia
• Produzione di citochine infiammatorie
MACROGLOBULINEMIA DI WALDENSTROM
• Il clone linfo-plasmacellulare secerne Ig di classe IgM
• Nel midollo osseo è presente infiltrazione di linfociti maturi, linfociti plasmacitoidi e plasmacellule
• Patologia dell’adulto-anziano (età mediana: 63 anni)
• La diagnosi può essere casuale per occasionale riscontro di incremento delle IgM
• I quadri clinici sono caratterizzati da:
– Sindrome da iperviscosità
– Anemia o citopenie: per infiltrazione midollare – Linfoadenomegalie-epatosplenomegalia
– Polineuropatia periferica: per attività anticorpale anti-mielina della componente M
Sindrome da iperviscosità
• Insorge in genere quando IgM> 3 g/dL
• Disturbi visivi (riduzione del visus, emorragie retiniche
• Disturbi neurologici (cefalea, ronzii auricolari, turbe della concentrazione e della memoria, sonnolenza fino al coma)
• Diatesi emorragica per piastrinopenia e deficit dei fattori della coagulazione
• Trattamento di elezione: plasmaferesi
Manifestazioni neurologiche
• Polineuropatia periferica, prevalentemente sensitiva, a decorso progressivo
• Associata per lo più a IgA o IgM
• 50% casi presente attività anticorpale anti MAG (glicoproteina associata alla mielina)
• Può essere associata a MGUS
• Può essere peggiorata dai farmaci impiegati
FATTORI PROGNOSTICI
La prognosi del paziente affetto da mieloma è legata principalmente a due categorie di elementi: quelli correlati al paziente e quelli connessi con le caratteristiche biologiche
intrinseche alla malattia stessa. I fattori correlati al paziente sono l’età, le comorbidità e le condizioni cliniche (“fitness”). I fattori prognostici correlati alla biologia del mieloma sono costituiti dall’albumina e dalla beta-2 microglobulina, che rappresentano il peso di
malattia (“burden”) e le anomalie citogenetiche presenti nelle plasmacellule di mieloma.
Solitamente i pazienti con mieloma venivano suddivisi in categorie a prognosi differente sulla base della stadiazione di Durie e Salmon, la quale suddivide i pazienti in 3 stadi a prognosi progressivamente peggiore sulla base di alcuni semplici dati clinici quali l’entità della componente monoclonale e la presenza o assenza di segni di danno d’organo (Durie e Salmon, 1975).
Oltre il 70% dei pazienti risultava in stadio III, e la capacità predittiva nel singolo paziente non era elevata.
Negli ultimi anni, questa classificazione è stata dapprima affiancata e quindi
progressivamente soppiantata da un nuovo sistema di stadiazione, ossia l’International Staging System (ISS) (Greipp et al, 2005).
L’ISS prende in considerazione esclusivamente 2 parametri sierici: la beta-2
microglobulina, strettamente legata alla funzionalità renale e alla massa tumorale, e l’albumina, definendo così 3 classi di rischio, ISS 1,2 e 3.
• “Vecchio” sistema classificativo secondo Durie-Salmon (1975) in tre stadi
clinici, corrispondenti a una massa tumorale progressivamente più espansa, e due varietà (A e B) a seconda che la funzionalità renale sia normale o alterata
• I parametri su cui si basa la stadiazione di Durie-Salmon sono costituiti da:
– Emoglobina – Calcemia
– Concentrazione di componente monoclonale – Numero di lesioni ossee
• I nuovi sistemi classificativi prendono in considerazione l’albumina e la 2 microglobulina
• Le alterazioni genetico-molecolari non sono ancora entrate a formare una precisa stadiazione anche se costituiscono un importante elemento
prognostico
Anche la presenza di determinate anomalie citogenetiche rappresenta uno dei più forti fattori prognostici ad oggi descritti.
La presenza della delezione 17p13 (su cui è situato l’oncosoppressore TP53), la
traslocazione t(4;14) l’amplificazione 1q21 sono anomalie cromosomiche che conferiscono una prognosi sfavorevole.
La traslocazione t(14;16) e la delezione del cromosoma 13 sembrano essere correlati a una prognosi sfavorevole, tuttavia mancano dati chiari a riguardo.
La (traslocazione t(11;14) rappresenta invece un’anomalia a prognosi favorevole.
In aggiunta ai dati di citogenetica, stanno emergendo negli ultimi anni dati circa il potere prognostico di specifiche “espressioni geniche”. Studi in corso stanno valutando dei
“pattern di espressione genica” il cui ruolo nella pratica clinica resta tuttavia in fase di definizione
L’età costituisce da tempo il criterio fondamentale per l’eleggibilità del paziente alla chemioterapia ad alte dosi ed al trapianto autologo.
Tuttavia, è bene precisare come l’invecchiamento non sia un fenomeno biologico omogeneo: il semplice dato anagrafico non tiene in considerazione le condizioni cliniche globali del paziente, la sua precedente storia clinica e le comorbidità presenti. Recentemente, per quanto concerne la valutazione complessiva del paziente con mieloma alla diagnosi, sono emerse numerose evidenze circa la necessità d’integrare l’età con elementi di valutazione della fitness del paziente, passando quindi dal concetto di età cronologica a quello di età biologica.
Uno studio IMWG condotto su 869 pazienti, arruolati alla diagnosi di mieloma in tre protocolli sperimentali con nuovi farmaci, ha condotto alla creazione di uno score geriatrico mediante la combinazione di parametri come l’età e parametri derivanti dall’applicazione di strumenti per la valutazione delle comorbidità (Charson Comorbidity Index) e della fitness paziente (ADL – Activities of Daily
Living e IADL – Instrumental Activities of Daily Living). Tale score, noto come IMWG frailty score, si è dimostrato capace di stratificare i pazienti dello studio in 3
gruppi: pazienti fit, unfit e frail, ciascuno con differenti rischi di progressione, morte e incidenza di tossicità correlata al trattamento
Progression in 1148 patients with MGUS (Rajkumar SV et al. Blood. 2005;106:812–817) Risk factors:
•serum monoclonal protein ≥15 g/L;
•abnormal rFLC (<0.26 or >1.66);
•non-IgG MGUS.
Risk stratification scheme for MGUS patients. Mayo Clinic
No. of risk factors
No. of patients (%) 20-year progression,
%
Total 1148 (100) 20 N/A
Risk factors: M-protein >1.5 g/dL, FLC ratio <0.26 or >1.65, Non-IgG MGUS
Progression SMM
There are 3 subtypes of SMM:
IgA → median time to progression 27 months IgG → median time to progression 75 months
Light-chain SMM → median time to progression 159 months Mayo clinic criteria
1. BMPCs > 10%;
2. M-protein > 30 g/L; and 3. FLC ratio < 0.125 or > 8.0 PETHEMA criteria
1. ≥ 95% abnormal plasma cells, including decreased CD38 expression, expression of CD56, and absence of CD19 and/or CD45;
2. immunoparesis.
•Patients with t(4;14), t(14;16), 1q gain, and/or del(1p) are considered as high-risk SMM (median time to progression (TTP ) of 24 months).
•Patients with trisomies are considered intermediate-risk (median TTP 34 months);
•t(11;14) and t(6;14) are considered standard-risk (median TTP, 54 months).
•SMM patients who have no evidence of cytogenetic abnormalities on fluorescence in situ hybridization (FISH) studies are considered low-risk (median TTP, 101 months).
IL TRATTAMENTO DEL MIELOMA MULTIPLO
Solo i pazienti affetti da MM sintomatico necessitano di un trattamento chemioterapico.
I pazienti affetti da SMM, anche coloro ad alto rischio di evoluzione a MM sintomatico, non devono essere trattati al di fuori di trial clinici.
Storia clinica del MM: posta la diagnosi di MM sintomatico, accertata la necessità di
instaurare un trattamento anti-mieloma, il paziente viene trattato con quella che si definisce
“terapia di I linea”; a essa segue un periodo di remissione più o meno duraturo, in base all’efficacia del trattamento. Inevitabilmente, il clone plasmacellulare torna a proliferare, configurando quindi un quadro di recidiva.
Quest’ultima è definita “biochimica” in presenza della sola proliferazione plasmacellulare a livello midollare e del conseguente incremento nel sangue e nelle urine del suo marcatore specifico, ossia la componente monoclonale prodotta dalle plasmacellule; oppure è definita
“clinica” quando la proliferazione è accompagnata da danno d’organo (CRAB). L’intervallo di tempo che intercorre tra l’inizio della terapia e la recidiva è definito “sopravvivenza libera da malattia” (PFS).
All’occorrenza della recidiva di mieloma è necessario instaurare una nuova linea di terapia.
Le linee guida IMWG (International Myeloma Working Group) raccomandano di trattare il paziente nei casi di recidiva clinica o di recidiva biochimica “aggressiva”, ossia caratterizzata da un rapido incremento della componente monoclonale, espressione di una rapida
proliferazione cancerosa. All’adozione di una successiva linea terapeutica che risulti efficace, segue quindi un nuovo periodo di remissione, la cui lunghezza è largamente variabile e dipendente da diversi fattori.
La storia clinica del mieloma è caratterizzata da un’alternanza di fasi di latenza e recidiva che connotano un andamento cronico della patologia.
La quantificazione della componente monoclonale, la quantificazione delle catene leggere libere nel siero, il dosaggio di albumina e β2-microglobulina, la quantificazione delle cellule mielomatose a livello midollare con diverse tecniche (biologia molecolare,
immunocitofluorimetria, genetica) è fondamentale nella valutazione della risposta terapeutica
Il trattamento del MM è stato rivoluzionato nel corso degli ultimi venticinque anni:
sebbene si tratti ancora oggi di una patologia incurabile, l’aspettativa di vita dei pazienti è significativamente aumentata rispetto al passato. Il MM è una patologia estremamente eterogenea da un punto di vista sia biologico che clinico: la sopravvivenza può infatti variare da pochi mesi sino a 10-20 anni.
Fino all’inizio degli anni Novanta erano usati agenti chemioterapici – quali ad esempio gli alchilanti in combinazione con steroidi – e la prognosi del paziente con mieloma era infausta, essendo la sopravvivenza globale mediana (OS) pari a 2-3 anni.
La prima rivoluzione nel trattamento del mieloma è sopraggiunta con l’introduzione del trapianto autologo, procedura che ha consentito la somministrazione di alchilanti ad alte dosi seguita dal supporto di cellule staminali autologhe per consentire la ricostituzione midollare. Tale procedura ha permesso un migliore controllo della patologia a lungo termine, con un incremento della OS. Tuttavia, di tale miglioramento beneficiavano unicamente i pazienti candidabili al trapianto, ossia quelli più “giovani” e in condizioni cliniche tali da poter affrontare tale procedura. All’inizio degli anni Duemila, si è assistito a una seconda rivoluzione, grazie all’introduzione di un nuovo farmaco attivo contro le
plasmacellule di mieloma, la talidomide. Si è aperta quindi l’era dei cosiddetti “nuovi farmaci” , di cui la talidomide rappresenta il capostipite; un periodo caratterizzato da una più profonda conoscenza della biologia del mieloma e del microambiente in cui le cellule mielomatose vivono (il midollo emopoietico), e dal conseguente sviluppo di
farmaci-bersaglio con meccanismi d’azione specifici e differenti, ma tutti diretti a colpire le cellule cancerose.
L’approccio terapeutico al MM dipende da 1) lo stadio della patologia, diagnosi o recidiva, e 2) la candidabilità del paziente al trapianto autologo, definita in base all’età e alle condizioni cliniche. Per convenzione, si definisce “giovane” il paziente candidabile alla chemioterapia ad alte dosi e al trapianto di cellule staminali autologhe, mentre si definisce “anziano” il paziente non candidabile a tale procedura. Il limite di età che fa da spartiacque tra il paziente giovane e quello anziano è 65 anni. Tale limite di età, tuttavia, è andato aumentando nel tempo
Paziente candidabile al trapianto autologo
Il trattamento del paziente candidabile al trapianto autologo, ossia quel paziente di età inferiore ai 65-70 anni e in buone condizioni cliniche, consta di 5 fasi differenti
1. La terapia d’induzione ha lo scopo di citoridurre la massa tumorale al momento della diagnosi, riducendo o eliminando il danno d’organo correlato all’insorgenza del mieloma e permettendo al paziente di procedere alla raccolta delle cellule staminali.
Triplette di farmaci: contengano tutti il bortezomib e il desametasone (VD) associato un
farmaco immunomodulante, la talidomide in Europa (VTD) e la lenalidomide (VRD) negli USA.
Altre due combinazioni possibili sono VD e ciclofosfamide (VCD) o doxorubicina (PAD).
Entrambe le combinazioni di un inibitore del proteasoma e di un immunomodulante, sia VTD che VRD, hanno dimostrato d’essere superiori in termini di risposte globali, di risposte
complete (CR) e di PFS. Il numero di cicli di chemioterapia somministrati durante la fase d’induzione è pari a 4-6.
2. mobilizzazione e raccolta delle cellule staminali. Questa procedura può essere preceduta dalla somministrazione di un chemioterapico atto a stimolare la “fuoriuscita delle cellule staminali”. Somministrazione del fattore di crescita granulocitario noto come G-CSF
(granulocyte-colony stimulating factor) stimola la proliferazione e la fuoriuscita nel sangue periferico delle cellule staminali CD34+, oggetto della raccolta. La conta delle cellule CD34+
permette d’identificare l’aferesi, vale a dire il momento opportuno per la loro raccolta, che oggi viene eseguito da sangue periferico in media in 1-2 sedute aferetiche consecutive.
3. La terza fase è quella del trapianto vero e proprio. Al paziente viene somministrata una dose elevata di melphalan, generalmente tra i 100 e i 200 mg/m2, con la successiva infusione delle cellule staminali precedentemente raccolte. La somministrazione di alte dosi di
melphalan viene considerata mieloablativa, ossia capace di uccidere le cellule staminali midollari in maniera potenzialmente irreversibile. L’infusione di cellule staminali autologhe permette invece una rapida ricostituzione midollare.
4. Successivamente al trapianto, il paziente può ricevere un numero limitato di cicli di terapia d’intensità uguale o simile a quella della terapia d’induzione, al fine di ottimizzare la risposta ottenuta col trapianto. Questa terapia è detta di consolidamento e attualmente i due regimi che si sono rivelati efficaci nell’incrementare i tassi di risposta e nel migliorare la qualità delle risposte sono due: VTD e VRD.
5. L’ultima fase del trattamento di I linea è rappresentata dalla terapia di mantenimento, che deve essere efficace nel mantenere e/o migliorare la risposta ottenuta e nel prolungare il periodo di remissione e potenzialmente anche la sopravvivenza globale. Il mantenimento deve essere agevolmente somministrabile al paziente, ben tollerabile, e non deve interferire con la qualità di vita del paziente. Il primo farmaco ad avere dimostrato un vantaggio in
termini di PFS come mantenimento post-trapianto è stata la talidomide. La lenalidomide, analogo della talidomide, è stato ampiamente testato come mantenimento post-trapianto autologo. Ad oggi, il bortezomib non è quindi un farmaco approvato come mantenimento post-trapianto.
CRITERI DI RISPOSTA AL TRATTAMENTO
Uno dei parametri di valutazione dell’efficacia delle terapie per il mieloma multiplo è rappresentato dalla capacità della terapia di “citoridurre” la massa neoplastica. Tale
parametro si basa sulla rilevazione della quantità di proteina monoclonale circolante nel siero e nelle urine, espressione indiretta delle quota di plasmacellule neoplastiche.
L’identificazione e la quantificazione della componente monoclonale vengono eseguite mediante rispettivamente l’immunofissazione e l’elettroforesi proteica. Per la valutazione della risposta dei pazienti affetti da mieloma oligosecernente, è stata introdotta invece la misurazione delle catene leggere libere circolanti (kappa o lambda, FLC sieriche). In aggiunta alla ricerca della componente monoclonale nel siero e nelle urine, l’indagine del midollo emopoietico permette la rilevazione e la quantificazione delle plasmacellule monoclonali presenti nell’ambiente midollare.
In base ai criteri di risposta pubblicati da IMWG nel 2006, la risposta al trattamento si divide:
1. malattia stabile (SD), 2. risposta minima (MR), 3. risposta parziale (PR),
4. risposta parziale molto buona (VGPR) 5. risposta completa (CR).
La progressione di malattia (PD), viene definita invece dall’assenza di risposta in corso di trattamento o dalla ripresa di malattia successivamente ad una risposta acquisita in precedenza.
Al fine di definire correttamente una remissione completa di malattia qualora la componente monoclonale sierica e/o urinaria non fosse più rilevabile mediante elettroforesi ed immunofissazione, è necessario procedere alla quantificazione delle plasmacellule residue a livello midollare.
Inizialmente, per la definizione di CR era necessaria una quota di plasmacellule monoclonali midollari residue inferiore al 5%; successivamente, è stata
introdotta la definizione di risposta completa stringente (sCR), per la quale sono necessarie sia la totale assenza di plasmacellule monoclonali midollari che la concomitante normalizzazione del rapporto tra le catene leggere libere sieriche (FLC ratio).
E’ stato dimostrato infatti, sia nei pazienti giovani e candidabili a trapianto
autologo, sia nei pazienti anziani non candidabili alla chemioterapia ad alte dosi, come l’ottenimento di una risposta completa correli con una migliore
sopravvivenza libera da progressione (PFS) e con la sopravvivenza globale (OS).
L’ottenimento della CR è diventato così uno degli obiettivi del trattamento del mieloma multiplo, sia nella pratica clinica che nel contesto di studi clinici.
Le tecniche utilizzate per lo studio della MRD nel mieloma permettono l’analisi
contemporanea di centinaia di migliaia, sino a milioni, di cellule midollari o del rispettivo DNA, e la rilevazione della eventuale presenza, diretta o indiretta, della plasmacellule monoclonali nel campione esaminato.
Tali metodiche si dividono in metodiche cellulari (multiparametric flow cytometry, MFC), molecolari (allele-specific oligonucleotide-qPCR, ASO-qPCR e next-genereation sequencing delle sequenze VDJ) o di imaging (PET/CT).
L’evidenza generata dagli studi sulla MRD nel mieloma, ossia la presenza di malattia misurabile con tecniche più sensibili rispetto a quelle tradizionali, accanto al valore prognostico di tali risultati, ha condotto alla necessità di implementare la valutazione della risposta al
trattamento del mieloma con lo studio della MRD.