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del tutto inutile pensare di risolvere la crisi del comparto cultura con un semplice trasferimento della gestione dei musei e delle aree archeologiche dallo Stato agli Enti territoriali.

Non è certo questa la sede nella quale interrogarsi sui fattori e i processi che, da tempo in atto, hanno portato negli ultimi tempi ad una accelerazione del degrado, soprattutto di quelle realtà che, escluse dagli intensi flussi turistici delle grandi “città d’arte”, costituiscono però la peculiarità dell’Italia rispetto agli altri Paesi europei, essendo il nostro caratterizzato da centinaia di musei di medio-piccole dimensioni, che -se pur spesso di notevole rilevanza attraggono qualche migliaio di visitatori l’anno, molti dei quali non a pagamento.

In tali piccole realtà, l’attivazione nei musei e nelle aree archeologiche dei cd. servizi al pubblico – punti di ristoro, bookshop, servizi di guide, etc. - costituisce certo un importante strumento di valorizzazione e di innalzamento dell’offerta culturale, ma risulta però del tutto inefficace a risolvere il problema delle fonti finanziarie e, anzi, viene spesso a rappresentare a sua volta un ulteriore costo “aggiuntivo”.

Un solo dato permette di rendersi velocemente conto della gravità di una situazione che non è peculiare dell’Abruzzo, ma propria anche di buona parte dell’Italia: le risorse finanziarie necessarie per il pagamento delle sole utenze energetiche delle sedi e dei musei della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Abruzzo sono oggi calcolabili in circa 200 mila euro annui, somma non enorme, ma ampiamente inferiore – di al-meno un 25% - alla dotazione economica assegnata ogni anno alla Soprintendenza sui capitoli del funzionamento e che deve anche servire a coprire altre spese, quali quelle altrettanto consistenti derivanti dalle pulizie e dalle manutenzioni degli edifici.

Al di là quindi della troppo facile retorica sull’importanza del patrimonio culturale del nostro Paese, non possiamo nasconderci il fatto che se tale trend negativo di fi-nanziamento non dovesse cambiare – e nulla lo fa pensare - considerate inoltre le pro-iezioni sui prossimi pensionamenti del personale, si giungerà a breve ad una almeno parziale chiusura di molti musei e aree archeologiche, destinate quest’ultime a essere lasciate in situazioni di degrado e incuria.

Il Progetto “E.C.H.”

Tutto ciò premesso, vorremmo qui condividere alcune proposte progettuali che - gra-zie alla fiducia dell’arch. A. Recchia, direttore generale della Direzione per l’Organizzazione, gli Affari Generali, l’Innovazione e il Personale – abbiamo elaborato alla ricerca di una soluzione che possa costituire una risposta organica a questa carenza di risorse umane e finanziarie.

Si tratta di idee che – per essere realizzate con successo - necessitano del contributo di tutte le professionalità presenti a questo incontro, dal momento che sono ancora molti i problemi da risolvere, che più avanti sintetizzeremo.

Gli obiettivi saranno dunque necessariamente quattro, tra loro strettamente collegati e aventi quale fine ultimo il mantenimento di un patrimonio archeologico che cresce nel tempo e il conseguimento di una sua maggiore valorizzazione:

- produzione di energia grazie a impianti fotovoltaici ubicati presso le grandi aree ar-cheologiche, al fine di sopperire all’ormai cronica assenza di risorse e conseguire l’autonomia energetica della Soprintendenza e dei luoghi della cultura;

- incremento della valorizzazione e della fruizione delle aree e dei parchi ar-cheologici, grazie al potenziamento dell’illuminazione di suddette aree e dei percorsi ad esse collegati, fino ad arrivare ad una loro apertura serale nei momenti di maggiore flusso turistico;

- innalzamento dei livelli di sicurezza del patrimonio culturale ubicato in queste aree spesso poste lontano dai centri abitati, con l’installazione di impianti di allarme e vi-deosorveglianza alimentati da piccoli impianti fotovoltaici in aree archeologiche non rag-giunte da linee elettriche;

- sviluppo di sistemi remoti per la gestione della sicurezza delle aree e dei parchi archeologici, in modo da sopperire alla carenza di personale di vigilanza.

A questi obiettivi va certamente aggiunto quello dell’efficientamento energetico delle strutture museali, tema sul quale in Italia molto poco ad oggi è stato fatto, ma che por-terebbe ad una sensibile diminuzione del fabbisogno energetico (ed economico) di edifici concepiti senza alcun riguardo per tali temi gestionali.

Ritengo che questi siano obiettivi raggiungibili attraverso una politica intelligente di investimenti che – diversamente dall’ottica che necessariamente è propria del-l’investitore privato – non abbia come scopo principale il semplice profitto, ma il mantenimento del nostro patrimonio e l’incremento della sua valorizzazione.

Non si tratta quindi di trasformare le aree archeologiche in distese di impianti foto-voltaici, ma di vedere se possano essere studiate soluzioni che – non avendo come obiettivo primario la massima produzione possibile di energia - siano maggiormente compatibili con i beni che siamo chiamati a tutelare.

Dobbiamo pertanto cercare di passare ad una seconda e più avanzata fase di proget-tazione del fotovoltaico, con lo sviluppo di soluzioni compatibili con il bene culturale, caratterizzate, ad esempio, dalla riduzione dell’impatto visivo o, seguendo un’analoga evoluzione avuta nel passato dall’illuminotecnica, dallo sviluppo di un design di qualità che trasformi gli impianti in eleganti opere di arredo di edifici e di aree all’aperto, con la nascita di una vera e propria “architettura del fotovoltaico”, potenziale oggetto di interesse dell’archeologia industriale del futuro.

Un altro punto importante, soprattutto per le aree archeologiche, è la possibilità di rea-lizzare impianti mobili - che non vadano cioè ad occupare in maniera definitiva por-zioni di terreno che potrebbero essere oggetto di ricerche future o avere altra destinazione nell’ambito delle attività di valorizzazione - e privi di ancoraggi, perciò compatibili con un sottosuolo ricco di resti sepolti. In questo modo, aree di fatto abbandonate, incolte e improduttive potrebbero dare un contributo al mantenimento del patrimonio nazionale, senza per questo veder precluse future possibilità di ricerca e valorizzazione.

Già nel corso del presente incontro, le relazioni di chi mi ha preceduto hanno evidenziato come – una volta creatosi un mercato – la ricerca non mancherà di trovare velocemente le soluzioni tecnologiche più adatte per quella particolare clientela che può essere rappresentata da chi opera nel settore dei beni culturali.

Non posso però nascondere come siano molte le criticità – anche solo squisitamente pratiche - che devono ancora essere dipanate per lo sviluppo di un fotovoltaico compatibile con il patrimonio culturale.

Vi è oggi la necessità di creare sinergie tra le strutture territoriali del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e il mondo imprenditoriale più attento ai temi della cultura, quale quello rappresentato dal Consorzio Civita. È infatti indubbio che il tema energetico ri-chieda professionalità che sono carenti all’interno delle strutture ministeriali, generalmente incapaci di gestire un’operazione resa ancor più complessa dagli aspetti giuridico-finanziari in essa connaturati.

Un altro punto che meriterebbe di essere oggetto di analisi approfondita, vista

l’at-tuale carenza di finanziamenti pubblici, è quello della possibilità di attrarre e uti-lizzare capitale privato per la realizzazione degli impianti, attraverso la concessione dell’uso dei terreni di proprietà dello stato o altri soggetti pubblici, dietro correspon-sione al MIBAC o ad altro ente di una quota dell’energia prodotta.

Bisogna infine pensare a come realizzare un accordo con il Gestore della Rete affin-ché la quota di energia prodotta nelle aree archeologiche possa essere utilizzata per il fabbisogno delle strutture museali dislocate in altre parti del territorio.

Credo pertanto che, superando gli sterili confronti che a volte contrappongono il mondo economico e le strutture che si occupano della tutela del patrimonio culturale, sia possibile trovare un terreno di incontro per pensare all’utilizzo delle nuove tecnologie in un campo fino ad oggi apparentemente antitetico.

Andrea Pessina

Soprintendente ai Beni Archeologici dell’Abruzzo