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L A D A N Z A D E L L E A V A N G U A R D I E

DIPINTI, SCENE E COSTUMI DA DEGAS A PICASSO, DA MATISSE A KEITH HARING

a cura di Gabriella Belli e Elisa Guzzo Vaccarino

pp. 662, € 75, Skira, Milano 2006

U

n corposo catalogo, illu-strato da centinaia di im-magini a colori, correda l'espo-sizione che, con lo stesso tito-lo, le due curatrici hanno or-ganizzato presso il Mart (Mu-seo di arte contemporanea di Trento e Rovereto). A fronte della mostra, dove una

quarantina di sale di varia misura sciorina-no, in un allestimento di grande effetto, molti costumi, una notevole quantità di bozzetti di scena e figurini strepi-tosi, una Danseuse delle numerose scolpite da Degas, quadri e qual-che fotografia, il catalo-go offre un'esperienza visiva oceanica e totalizzante.

Oltre a quelli delle curatrici, quindici testi precedono sedici sezioni tematiche: a quella inizia-le, su alcuni dei pittori che ritras-sero personaggi danzanti tra fine Ottocento e inizio Novecento, se-guono le sezioni dedicate ai primi due decenni del XX secolo. Tut-to il resTut-to, dal surrealismo fino a oggi, è contratto nella penultima sezione, mentre quella conclusiva è dedicata ad alcuni degli stilisti e dei fotografi che hanno lavorato per il teatro a partire dagli anni ottanta. Squilibri a parte (dove sono gli anni trenta e quaranta, in cui il filone dei pittori a teatro co-nobbe grandi glorie negli Stati Uniti e in Europa, anche in Ita-lia?), il titolo della mostra è con-traddetto da una periodizzazione che va ben oltre le avanguardie e dall'inclusione di bozzetti per opere non solo di danza, ma liri-che e drammatiliri-che, nonché di costumi ideati da sarti, lavori non certo sperimentali.

È evidente che, sotto l'ambi-guità del titolo, azzeccatissimo a fini promozionali, sta l'assunto secondo cui le avanguardie della danza coinciderebbero in tato con quelle della pittura. Su que-sta base si è assegnato un posto d'onore sia in mostra che in cata-logo alla straordinaria avventura dei Balletti russi di Diaghilev, che nei vent'anni della loro storia (1909-1929) modernizzarono in vari modi lo spettacolo ballettisti-co, anche affidandone la sceno-grafia a pittori di vaglia, di cui qualcuno appartenente alle avan-guardie storiche. La concettualiz-zazione sottesa all'iniziativa è quella secondo cui Diaghilev avrebbe cosi rivoluzionato il tea-tro di danza. Il fenomeno dei pit-tori a teatro, peraltro iniziato a Parigi prima dei Balletti russi e nutrito dal simbolismo e dal so-gno dell'opera d'arte totale

wa-gneriana, è stato assai più proble-matico di quanto mostra e catalo-go lascino intendere. In un tor-nante in cui le arti cercavano una nuova autonomia e il teatro stes-so reclamava una sua identità tut-ta visiva, coreografi e registi, pit-tori-scenografi e impresari si con-tesero spesso l'ideazione scenica, anche con intenti di mercato. Pur includendo un balletto come Le

sacre du printemps, in cui fu

forte-mente trasgredito quel codice ac-cademico che, innovato in varie direzioni, restò tuttavia l'ancora linguistica dell'avventura diaghi-leviana, è difficile sostenere che le produzioni dei Balletti russi co-stituiscano "la danza delle avan-guardie" del XX secolo.

Se ammirarne di persona o sul catalogo tanti degli splendidi bozzetti di scena e costumi giunti al Mart da varie parti del mondo costituisce un'esperienza esaltan-te, l'obiettivo della mostra sem-bra sostanzialmente non raggiun-to. Gli stessi testi in catalogo non riescono a sciogliere il nodo

am-biguo intrecciato da questa iniziativa, pur con il suo trascinante impatto visivo. Manca una contestualizzazio-ne dei Balletti russi che, scevra da mitizza-zioni e aneddoti, li in-serisca dovutamente all'interno della storia della danza. E lo stesso trattamento marginale che in mostra e in cata-logo si riserva al modernismo centroeuropeo degli anni dieci-trenta a sbilanciare quel quadro complessivo in cui la stessa av-ventura di Diaghilev troverebbe la sua giusta collocazione.

Fu infatti l'ampio e ramificato fenomeno del modernismo co-reutico (con Rudolf Laban in

pri-mis) a rivoluzionare i fondamenti

epistemologici, oltre che linguisti-ci, della danza. È lì che le avan-guardie della danza del XX seco-lo vanno cercate. Limitando la sperimentazione al Kandinskij astratto del 1928 (per un'opera come i Quadri di un'esposizione, ideata come puro gioco di luci, forme dipinte e colori) e alle pro-poste di Schlemmer in seno al Bauhaus, il timone dell'iniziativa esposiriva non sembra riuscire a dar conto della portata del nuovo pensiero sulla danza che espresse il modernismo di area tedesca (di cui Schlemmer non articolò che una delle potenzialità) e del quale il pensiero contemporaneo sulla coreografia è tuttora debitore. La mancanza in catalogo di interven-ti adeguainterven-ti a mettere dovutamen-te a fuoco quel fenomeno rende la lacuna espositiva incolmabile.

Si ha l'impressione che l'appa-rato scientifico fornito, pur con il suo cospicuo numero di pagi-ne (circa duecento, cui sono da aggiungere schede e brevi pre-sentazioni delle varie sezioni), non sia alla pari dell'esaltante esperienza visiva della mostra. Anche la danza futurista dei pri-mi anni trenta è trattata in un te-sto di ventidue anni fa, non ag-giornato sulla base delle ricer-che successive in materia. L'ap-prezzamento estetico sembra re-clamare l'autosufficienza e met-tere in second'ordine le ragioni

della storia. •

p a t r i z i . a v e r o l i @ l i b e r o . i t

P. Veroli è storica della danza

Un museo

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