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Pensare con Heidegger. L’“historialité” come critica dello storicismo

4. Docetismo, metodo fenomenologico, ierologia

4.5 Pensare con Heidegger. L’“historialité” come critica dello storicismo

che vi fanno riferimento come “religioni profetiche”, che cioè “professano la necessità di mediatori sovrumani tra la divinità che li ispira e l’umanità comune”186. Perciò, “tale fenomeno è indissociabile da una ‘situazione ermeneutica’ e […] ne consegue l’esistenza di qualcosa in comune nella maniera con cui gli spirituali e i mistici hanno letto la Bibbia nel cristianesimo e il Corano nell’Islam”187.

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4.5. Pensare con Heidegger. L’“historialité” come critica dello storicismo

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Abbiamo visto perché Corbin ritenga che il “fenomeno del libro” possa essere il punto di partenza di uno studio comparativo dell’esoterismo ben più vasto storicamente del quadro di Faivre. Ma egli parte da una “situazione ermeneutica”, che in quanto tale impegna all’analisi di una condizione che è innanzitutto esistenziale, secondo il principio così spesso richiamato della reciproca implicanza tra modus intelligendi e modus essendi. È ripresa esplicitamente un’intuizione potentemente proposta dall’Heidegger di Essere e tempo: nella misura in cui la scienza storica si basa su una precomprensione non tematizzata, su un orizzonte dato e inautentico, non messo in questione, della nostra “temporalità” (Zeitlichkeit, il senso dell’essere della Cura) e “storicità” (Geschichtlichkeit), essa è storicità inautentica, non può fornire i criteri ultimi di analisi di un’interrogazione più orinaria, “esistenziale”, cioè personalmente e metafisicamente più esposta, vertente sul rapporto stesso dell’uomo con la storia, il tempo, il mondo. Il riferimento di Corbin, per quanto spesso implicito, alla concezione heideggeriana di storicità, in Essere e Tempo, è cruciale e ricorrente. Anche quando Corbin parla dell’Anima e della sua Immaginazione come situativi e non situati in un tempo e in uno spazio, è evidente la ripresa delle riflessioni di Heidegger sulla “storicità” e l’assunto fondamentale del filosofo tedesco antistoricista: “L’analisi della storicità dell’Esserci

Ritenuto proto-ismailita fino a non molto tempo fa, e quindi anche da Corbin, con Ivanow e Filippani

185

Ronconi. Cfr. F. Daftary, Gli Ismailiti. Storia di una comunità musulmana, cit., pp. 56-57. Infatti, studi recenti hanno dimostrato che questa opera persiana “venne scritta originariamente in arabo da uno dei gruppi dei ghulāt [termine per indicare ‘coloro che esagerano’, gli estremisti] sciiti di Kufa del II/VIII secolo, noto come Mukhammisa (i Pentadisti)” (ibidem, p. 57). L’opera è stata tradotta in italiano da P. Filippani Ronconi, Umm al-Kitāb, Istituto Universitario Orientale, Napoli 1966. Sempre di P. Filippani Ronconi si veda anche Note sulla soteriologia e sul simbolismo cosmico dell’Umm’ul-Kitāb, in “Annali dell'Istituto universitario orientale di Napoli”, 14 (1964), pp. 111-134.

Face de l’Homme, Face de Dieu, cit., p. 45.

186

D. Shayegan, Henry Corbin. La topographie spirituelle de l’Islam iranien, cit., p. 68.

tenta di mostrare che questo ente non è ‘temporale’ perché ‘sta nella storia’, ma che, al contrario, esiste e può esistere storicamente soltanto perché è temporale nel fondamento del suo essere” . Storicità – tradotto da Corbin stesso nel termine francese di historialité – 188 189

“non indica l’inserimento dell’esserci in un determinato contesto storico, come se esso fosse un oggetto intramondano, bensì esprime l’accadere (Geschehen) di un ente che è costitutivamente temporale”190. L’esserci deve acquisire la consapevolezza che è esso innanzitutto, e non il suo mondo, a dare presenza a una condizione storica, e prendere consapevolezza della dimensione originaria della temporalità come suo modo proprio di essere, rendendosi così conto che la storicità abitualmente intesa ha significato all’interno di quest’orizzonte ermeneutico più originario e autentico e che più lo espone, lo espone personalmente e intimamente a riguardo del senso della vita e dell’essere al mondo.

Il passato allora non è un semplice dato positivo, una traccia materiale da ricostituire il più possibile fedelmente, o meglio non è solo quello perché non è oggetto esclusivo dell’indagine storica propriamente detta. Il passato può e deve essere interrogato anche secondo un’urgenza più filosofica, più personale, più esistenziale. Dunque la scienza storica è pre-giudicata, situata all’interno di un orizzonte che è invece situativo e che è la comprensione, l’ermeneutica esistenzialmente impegnata – implicanza sostanziale tra modus intelligendi e modus essendi – dell’uomo. In questo senso, si può affermare che Corbin, “da vero filosofo, inizia interrogandosi sul modo conveniente di scrivere la storia della filosofia e quella delle religioni. La sua opera è una critica dei metodi della scienza storica”191.

Come noto, in Essere e Tempo, anche nell’intrascendibile e costitutiva finitezza dell’Esserci c’è una consapevole o inconsapevole condizione estatica – la temporalità è estaticità e la costituzione dell’Esserci e sempre apertura, trascendimento delle sue possibilità. Precisamente, per quanto riguarda la relazione dell’uomo con il suo passato, quest’ultimo non si dà mai come qualcosa di semplicemente ‘passato’, cioè di “trascorso e di riducibile a un’oggettività constatabile dalla storiografia, ma come la possibilità essente-stata che deve

Ibidem, p. 445 (§ 72).

188

Cfr. S. Camilleri, D. Proulx (a cura di), Martin Heidegger-Henry Corbin. Lettres et documents (1930-1941),

189

“Bulletin Heidegérien”, 4 (2014), pp. 4-63, p. 42.

A. Fabris, Essere e Tempo di Heidegger. Introduzione alla lettura, Carocci, Roma 20102, p. 149.

190

M. de Diéguez, Henry Corbin et Heidegger, “La Nouvelle Revue Française”, 230 (1972), pp. 27-39, p. 27

191

(corsivo nostro). Sull’influenza heideggeriana di Corbin e la critica corbiniana di Heidegger, cfr. D. Shayegan, Henry Corbin. La topographie spirituelle de l’Islam iranien, cit., pp. 41-47; D. Proulx, Le parcours philosophique de Henry Corbin. Phénomenologie-herméneutique et philosophie prophétique, Memorire présenté au département de philosophie de la Faculté des lettres et sciences humaines pour l’obtention du grade de Maître ès arts en philosophie, Université de Sherbrooke, 2009, pp. 46-52.

essere ripetuta” , vale a dire interpreta, ricreata, decisa. Certo per Heidegger di Essere e 192

tempo c’è una infinita estaticità e trascindibilità, ma all’interno di una condizione di assoluta non trascendenza. La presa di coscienza della temporalità da parte dell’esserci, e dunque una scelta per l’autenticità e la libertà, è tale solo come accettazione risoluta della intrascindibile fatticità, dell’essere per la morte. Per Corbin dal confronto esistenziale dell’Esserci con la sua temporalità può scaturire invece la scoperta e l’apertura di dimensioni che trascendono la fatticità: il “fatto essere”, il KN , l’esto, è dato, è Presenza, a partire da un “Sii” che, come 193 imperativo attivo, nel suo comando, rispetto al “fatto essere”, è trascendenza. Non c’è solo l’abissale alterità del Deus absconditus (la via ombrosamente indicata da un Heidegger posteriore alla Kehre), poiché un Deus revelatus è nell’uomo stesso il garante di una dimensione angelico-immaginativa che apre a mondi superiori a quelli contraddistinti dall’essere per la morte e dalla fatticità unidimensionale.

È significativo che, da heideggeriano “préexistentialiste”, Corbin traduca il Dasein con dei termini –“Présence-humaine”, “Présence”, l’“être-Présence” – che già richiamano la 194

‘ilm hodūrī, la “conoscenza presenziale” di Suhrawardī e l’ontologia di Mollā Ṣadrā Shirāzi. Una scelta ermeneutica che è rivendicata ancora molti anni dopo in una lettera di Corbin al segretario di redazione di Gallimard. A quest’ultimo che propone di modificare la sua precedente edizione di Heidegger nella scelta dei testi e di pubblicarla assieme al lavoro di altri traduttori, scrive: “Ad ogni modo, nella questione, resto un antenato (un preesistenzialista). Mi chiedo se nella disposizione del titolo quanto nell’organizzazione del libro non si possa distiguere l’antenato dai suoi discendenti, siano essi più felici o meno felici di esso” . Oltre ai motivi personali e all’orgoglio di essere stato un pioniere nell’attenzione 195

attribuita al filosofo tedesco, Corbin tiene a rivendicare la coerenza del suo lavoro di traduzione, che, come sempre, è ben più di una semplice traduzione: un pensare con

F. Borgia, Appartenenza e alterità. Il concetto di storicità nella filosofia di Martin Heidegger, Mimesis,

192

Milano-Udine 2008, p. 17.

ن""""""""""""""""""ك / kun = “sii” (cfr. Corano, 2,117: “Egli è il Creatore dei cieli e della terra; quando vuole una cosa, dice

193

‘Sii’ed essa è”; 36,82: “Quando vuole una cosa, il Suo ordine consiste nel dire ‘Sii’ ed essa è”). “L’evento dell’essere in questa teosofia è la messa all’imperativo del verso essere: KN, Esto (alla seconda persona, non fiat). Ciò che è primo, non è né l’ens né l’esse, ma l’esto. ‘Sii [tu]’. Questo imperativo, che inaugura l’essere, è l’imperativo divino alla forma attiva (amr fi’lî); ma considerato nell’ente che egli fa essere, l’ente che noi siamo, si tratta di questo stesso imperativo, ma nella sua significatio passiva (amr maf’ûli)” (H. Corbin, De Heidegger à Sohrawardī, cit., p. 25).

Cfr.. S. Camilleri, D. Proulx (a cura di), Martin Heidegger-Henry Corbin. Lettres et documents (1930-1941),

194

cit., p. 40. Ibidem, p. 60.

Heidegger, secondo una prospettiva ben distante da quella che invece sarà propria della ricezione francese a partire almeno dagli anni Sessanta.

La “situazione ermeneutica” è indicata, dunque, a partire dall’imprescindibile lezione heideggeriana. La comprensione che ne scaturisce non è mai una conoscenza secondo il suo ideale scientifico-positivo, come sapere neutro di un soggetto assolutamente incondizionato che ispeziona e analizza imparzialmente il proprio oggetto, ma è sempre già un’inconsapevole o consapevole scelta esistenziale. Non c’è vita e azione pratica separate da questo sapere e viceversa. Men che meno l’ermeneutica operata dagli spirituali delle religioni del Libro potrà presentarsi nei termini di un’indagine meramente speculativa prescindente da una concreta scelta esistenziale. Così, Suhrawardī è probabilmente, a giudizio di Corbin, il più straordinario esempio di ermeneuta, di interprete della tradizione e delle tradizioni, secondo un passato196 – che non è mortuaria commemorazione, ma una testimonianza che mette in gioco, in prima persona, il suo stesso interprete, ed è confronto per una scelta esistenziale. Corbin stesso, come abbiamo evidenziato prima, è un Sohrawardī redivivus, ben disposto ad accettare che la sua ermeneutica risponda a più di semplici e strette regole positive di una storia rigidamente disciplinare o di qualunque altra materia umanista irregimentata da un’aspirazione scientista o burocratico-amministrativa.

Heidegger, riconosce che lo stesso problema dell’essere abbia il carattere della storicità e dunque la sua elaborazione non può non indagare la storia effettiva. Deve farsi storiografia, secondo un significato che non prescinde più dai risultati acquisiti dall’analitica esistenziale, per prendere consapevolezza di quelle possibilità che si sono date effettivamente e divenire appropriazione positiva del passato. Compito, come noto, annunciato e non realizzato in Essere e tempo. Anche Corbin ricostruisce una storia che si confronta con le virtù riattuative del passato in noi, esattamente come lo stesso Suhrawardī, una storia decisamente alternativa a quel percorso di svuotamento che rintraccerà Heidegger come destino occidentale.

L’ “esoterismo comparato delle religioni del Libro” di cui parla ambiziosamente Corbin non prescinde da questa costitutiva attenzione filosofica-esistenziale-spirituale. È basata esattamente sulla convinzione che una comune “situazione ermeneutica” abbia riguardato gli interpreti delle tre religioni del Libro e a questa situazione hanno dato risposta in modo analogo, affine, convergente più correnti spirituali, orientali e occidentali. Una situazione,

Si potrebbe individuare una certa risonanza con le Tesi di Benjamin, fermo restando che lo Jetzeit per Corbin

196

è certamente teologico e apocalittico, ma non politico. Non sfugga poi il rimando all’angelo per entrambi e, ancora una volta, la distanza abissale tra l’Angelo della storia, l’Angelus Novus di Benjamin e la figura potente, cavalleresca, degli angeli corbiniani. Cfr. W. Benjamin, Tesi di filosofia della storia, in Angelus Novus, a cura di Solmi, Einaudi, Torino 1962, pp. 75-86.

come abbiamo visto, che è certamente nella storia ma che giudica della storia intesa in senso positivo, del passato. I rilievi critici da storico potrebbero forse abbattere alla radice un tale progetto nella misura in cui dimostrassero un’assoluta incomunicabilità tra i diversi attori di questo esoterismo delle religioni del Libro. Ad ogni modo, Corbin non aveva l’ingenuità di porsi come anti-storico, considerata la sua attenzione scrupolosa per le fonti, rammaricandosi, piuttosto, della scarsità e del pionierismo delle ricerche storico-documentali sui temi a lui cari. Ma allo storicismo si deve opporre un’interiorizzazione. Ancora una volta, non c’è nulla di più di chiaro delle parole stesse di Corbin e della sua dichiarazione di intenti così come professata esemplarmente nel primo capitolo del primo volume di En Islam iranien:

In breve, nel caso dello shī’ismo forse ancora di più che per gli altri universi religiosi, la conditio sine qua non per penetrarne e viverne lo spirito è di esserne ospite spirituale. Ma l’ospite di un universo spirituale significa cominciare a farne in noi stessi una dimora. Non è possibile vivere nell’universo spirituale shī’ita, come in ogni altro universo spirituale, e comprendere come vi si viva, senza che

esso viva anche in noi. Senza questa interiorizzazione non se ne potrà parlare che

esteriormente e probabilmente controsenso, perché non si può descrivere un edificio in cui non si è mai entrati.197

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4.6. Religione dello storicismo: Religion after Religion di Steven M. Wasserstrom

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Religion after religion. Gershom Scholem, Mircea Eliade and Henry Corbin at Eranos è un testo dello storico delle religioni americano Steven M. Wasserstrom pubblicato nel 1999. Esso ha avuto una discreta risonanza, per quanto quasi limitata al dibattito accademico americano198. L’opera è dedicata a coloro che possono essere considerati come i più influenti studiosi del Novecento nel campo delle scienze religiose: Scholem, Eliade e Corbin, figure che hanno in comune non solo la partecipazione all’esperienza di Eranos, ma anche percorsi

En Islam iranien, I, cit., pp. 7-8 (trad. it., pp. 37-38).

197

In particolare è stato oggetto di dibattito di una riunione annuale della American Academy of Religion (cfr.

198

Symposium on Steven M. Wasserstrom’s Religion after religion: Gerhsom Scholem, Mircea Eliade and Henry Corbin at Eranos, in “Journal of the American Academy of Religion”, 69 (2001), pp. 427-428).