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Pensieri e parole

Nel documento Continuando con Federico (pagine 42-44)

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Nell’ultimo noir di Alessandro Robecchi (“Torto marcio”, Sellerio 2017), ambientato come i precedenti in una Milano descritta con uno sguardo quasi esperto, anche per zone e quartieri popolari sconosciuti ai più, una delle vittime di un efferato killer è un noto architetto, la cui professione tuttavia Robecchi corregge subito in: “anzi urbani- sta”. Che vuol dire fare l’urbanista? “Dentro più o meno tutti gli affari immobiliari di Milano, cambi di destinazione d’uso in provincia, passaggi di casermoni per uffici tra speculatori …, uno che sapeva gli affari di tutti e a ogni passaggio, autorizzazione, urbanizzazione, ristrutturazione, faceva dei bei soldi”. E in politica? “A destra, poi centro, poi ancora a destra, poi sinistra a seconda di chi comanda”. E i suoi nemici? “Tra immobi- liaristi perdenti e imprese che vincono gare disegnate su misura ….ogni volta che uno fa un affare ci sono dieci che te la giurano”. L’autore non è certo uno sprovveduto e, almeno dalle sue opere, sembra mediamente acculturato: scrittore, giornalista in testate storiche della sinistra (L’Unità, il Manifesto), oggi a il Fatto quotidiano, autore televisivo di successo (Rai3, La7). Perché allora il mestiere dell’urbanista è da lui descritto in modo così abbietto? Perché quell’avverbio che specifica “architetto, anzi urbanista”? Una ragione potrebbe essere la sua età (1960): negli anni della sua formazione, Milano è stata porta- voce della deregulation urbanistica e qualche “urbanista” era sempre pronto a coprire le ri- chieste della politica fornendo adeguate giu- stificazioni tecniche, tanto che non a caso la città diventa “tangentopoli”, anche se negli anni precedenti era stata la città dei “Consi- gli di Zona”, con decine di tecnici volontari impegnati (anche troppo!) nei quartieri a di- fesa della “città pubblica”; mentre oggi la cit- tà fonda proprio sull’urbanistica buona par- te del proprio futuro competitivo, dando, se non altro, buona dimostrazione di efficienza e capacità di gestione. Nonostante ciò, come

non commentare negativamente l’enorme differenza tra il racconto di Robecchi e gli urbanisti che hanno indirizzato la mia vita in modo irreversibile: Bottoni, inflessibile nella sua ideologia, Astengo apparentemen- te bonario ma con un comportamento etico di ferro, Campos Venuti, legato alla politica ma per utilizzarla per il successo delle scelte che riteneva giuste. E che dire del mestiere dei miei personali idoli razionalisti, Mies, Gropius, May, capaci di costruire un grande programma di edilizia sociale nella breve parentesi della socialdemocrazia tedesca, con una qualità dell’architettura e dell’urba- nistica ancora oggi inimitabile. E gli esempi italiani di professionalità di grande rilievo sono comunque tantissimi, tanto da appari- re impossibile che il nostro autore non cono- sca tutto questo e descriva in quel modo una professione nata e cresciuta sotto la spinta di fortissime ragioni etiche e sociali?

A sua parziale discolpa, vi è l’oggettiva con- dizione dell’urbanistica italiana, che negli ultimi decenni ha perso autorevolezza e cre- dibilità, soprattutto per la scelta voluta dalla politica di non affrontare i molti problemi che si sono affastellati, primi fa tutti quello della ridistribuzione sociale della rendita e quello di disporre di strumenti efficaci, dotati di risorse adeguate; una scelta che ha trovato un consenso implicito nel sempre più esteso mondo professionale, impegnato a dividersi una torta sempre più piccola e incerta e una debole opposizione nel sempre più ristretto manipolo “riformista”. Natural- mente, quindi, Robecchi si è sbagliato, ma fino a un certo punto!

Urbanista

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Non perché colto da improvvisa follia, ma piuttosto incuriosito dalla preoccupazione di diversi colleghi per l’assenza dell’urba- nistica nei programmi elettorali di partiti e coalizioni, ho dedicato alla lettura dei programmi qualche mezza giornata non particolarmente entusiasmante. Alla fine posso rassicurare i colleghi: anche se lo spa- zio dedicato è limitato, due dei tre principali contendenti si occupano di urbanistica, così come un partito che aderisce a una coalizio- ne il cui programma però non se ne occupa. D’altronde si tratta dei tre partiti che hanno sviluppato i programmi elettorali più ampi e dettagliati, nei quali ogni argomento è presente. Ma questa rassicurazione non si- gnifica molto, dato che subito emergono due domande: perché, anche se citata in qualche programma, l’urbanistica non è mai trattata in campagna elettorale e quale era la qualità delle proposte, quando c’erano?

La risposta alla prima domanda è semplice e, purtroppo, desolante: per l’opinione pub- blica (cioè gli elettori) l’urbanistica non è più una priorità. Dopo decenni di promesse non mantenute e di aspettative deluse, pochi credono ancora ad uno sviluppo ordinato e sostenibile delle città, al miglioramento della loro accessibilità, efficienza e capacità di accoglienza e di inclusione sociale; ancora meno, politici compresi, capiscono che le città, nelle quali vive il 65% della popola- zione italiana, sono e possono essere sempre più formidabili produttrici di ricchezza. È quindi giusto parlarne nei programmi (un partito serio deve avere una risposta per tutto), ma non vale la pena di farlo in cam- pagna elettorale, perché non si tratta di un argomento che porta voti (anzi!).

Più problematica è la risposta alla seconda domanda: diverse proposte trattano i temi del dibattito urbanistico attuale, senza però offrire soluzioni e soprattutto senza indivi- duare strumenti e risorse; qualcuna è, suo malgrado, comica, come quella che sostiene

contemporaneamente la rigenerazione urbana e la riduzione del 50% dell’IVA sulle nuove costruzioni; altre sono preoccupanti come la proposta di un nuovo condono edi- lizio per l’”abusivismo di necessità”, un tema caro ai comunisti siciliani negli anni ottanta e oggi riproposto dal leader della destra. Molto gettonate sono la proposta di tra- sformare le città in chiave smart (trasporti, traffico, energia, servizi a rete) e l’indicazio- ne della rigenerazione urbana come strate- gia urbanistica del futuro, anche se nessuno indica come trovare le rilevanti risorse che questa strategia comporta e non c’è nessuna proposta sull’indispensabile riforma delle bonifiche. Della riforma urbanistica non parla nessuno, tranne un modestissimo accenno in uno dei programmi più corposi: “Oggi, le norme urbanistiche esistenti, nate per rispondere alle esigenze del dopoguerra, risultano superate e necessitano di un nuovo testo normativo moderno che si occupi dei nuovi problemi delle città, in particolare di quelli legati alla rigenerazione dei centri storici e alla trasformazione di funzioni oggi non più necessarie”. Evidentemente noi urbanisti riformisti non ci siamo proprio fatti capire!

Infine, in diversi programmi si rilancia l’o- biettivo del contenimento/azzeramento del consumo di suolo; in particolare lo fanno i due maggiori Partiti di governo e opposizio- ne della scorsa Legislatura. Entrambi ripro- pongono la stessa legge già approvata dalla Camera e stoppata al Senato, una legge non entusiasmante, ma che era, come si dice, me- glio di niente. Ma se erano d’accordo, perché non l’hanno approvata anche al Senato, dato che disponevano di un’ampia maggioranza? Evidentemente al merito dei provvedimenti si antepone il gioco della politica, la conqui- sta del potere e la sconfitta degli avversari. Mai fidarsi dei programmi elettorali!

Nel documento Continuando con Federico (pagine 42-44)

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