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Il pensiero che pensa

Nel documento Guido Ceronetti. Uno squarcio. (pagine 56-60)

Bisogna avere occhi bendati di veggente, sguardo cieco di profeta, per vedere il nulla che siamo e che avanza all’interno del deserto della Tecnica, dove ni-ente è abbandonato a se stesso, dove tutto è strumento interscambiabile e perfettibile. Cosa può un uomo di fronte ad essa?

Un grandissimo pensiero heideggeriano, che trascrivo […]: ‘La Tecnica, la cui essenza è l’Essere stesso, non si lascerà mai sormontare dall’uomo. Altrimenti vorrebbe dire che l’uomo è il padrone dell’essere’. Per lui ne consegue, sciaguratamente, […] che non ci si deve opporre alla Tecnica. Si è costantemente legato le mani di fronte al male. 213

Nel mestiere di scrivere - nella ricerca di un linguaggio che non sia quello della potenza tecnica, di cui si “sa soltanto, ma da qualcuno soltanto, e da poco tempo, che è un linguaggio di morte” - bisogna essere “guardinghi nell’uso della parola: si finisce 214

malconci, a non servire la Bestia, non trovi un pertugio mentale dove infilarti, piccolo atomo di luce. Io sono qua ancora, a fare ‘l’inutile fratello’ col mio scrivere” . Forse, 215

sembra dirci Ceronetti, una piccola crepa si trova ancora tra le mura del Finito, un punto

“Niente di strano […] se il mio viaggio elude nel suo specchietto l’immagine dell’Italia come si crede

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di vederla; tanti scatti d’obbiettivo mentale e giudizi, collages d’impurità e stranezze raccolte, non sono valsi, mi pare, che a comporre un enigma; come tale lo consegno; tutto resta sempre, alla fine, da indovinare, e un reale scoprire non è mai senza affinità col celare”. (Ivi, p. XIII.)

G. CERONETTI, La pazienza dell’arrostito, cit., pp. 233-234.

213

Ivi, p. 292.

214

Ivi, p. 321.

da cui la luce del dolore può ancora passare e chiamarci, col suo canto , facendoci 216

“provare vertiginose nausee al vedere incessantemente quantificato l’inquantificabile” . La ratio costituisce le catene che contro quelle mura ci 217

costringono a sbattere e a sbattere ancora - ma vi è un pensiero che pensa, senza 218

essere mero calcolo, al quale “appaiono il foro nella rete e nel muraglione la breccia, il vuoto delle maschere, l’imbecillità dell’onnipotente Finito. Nondum scitis mortem non

posse negari? (Marziale I, 42). Si può, ma per grazia, e così soltanto, insieme a un

prezzo mortale di fatica” . Il riferimento alla grazia apre ad un certo modo di essere-219

nel-mondo: non indica qualcosa che sottostà alla nostra volontà, al nostro io, e nemmeno un qualcosa di certo, di programmabile, bensì indica un luogo di raccoglimento all’interno del quale, nel silenzio dell’ascolto e nell’abbandono delle cose, abbandonandosi a esse , può accadere il suo avvento: un miracolo è la Grazia, un 220

fiore più che raro, poiché può anche avvenire senza essere percepito, tra il brusio e il continuo affaccendarsi quotidiano che negano il temo dell’attesa. (Nel caldo silenzio dell’ascolto vive anche il rammemorare, non a caso “ricordare è pensare, nelle lingue semitiche, e inversamente” .) 221

Questa attesa paziente che si apre alla possibilità del darsi della grazia, questo stare nel ventre del ricordo, potrebbe ancora salvare dall’oblio il pensiero del Trascendente, di ciò che oltrepassa la realtà del qui e ora; ma rimane, pur nella sua semplicità, il gesto più difficile e compromesso per l’umano, incapace di prestar attenzione ad alcunché. “Dio non più pensato […] è la vera, profonda decrepitezza del mondo, dunque il segno infallibile che l’Ora viene. Non è questione di teologia, ma del

ricordarsene, da questo siamo sempre più lontani, questo ci fa sempre più vecchi e

“Un altro da collocare tra i Cento Più Bei Pensieri del Mondo: ‘Il cuore dell’uomo ha dei luoghi che

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non sono e dove entra il dolore, per farli essere’ (Blanc de Saint-Bonnet, De la douleur)”. (Ivi, p. 172.) G. CERONETTI, Albergo Italia, cit., p. 199.

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La tecnica, fiore della ragione calcolante, è destino, è onnipotente, ma sotto il segno della

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perversione, perché è vero che “fece fiorire dei roseti in pieno inverno, ma i polsi delle menti […] circondò di cupe manette e intascò la chiave”. (Ivi, p. 132.)

G. CERONETTI, La pazienza dell’arrostito, cit., p. 304.

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Heidegger per esprimere ciò utilizza la parola Gelassenheit, nel quale vive “l’ambiguità di abbandono

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delle cose (abbandonare) e di abbandono alle cose (abbandonarsi)”. (M. HEIDEGGER, L’abbandono, trad.

it. di A. Fabris, cit., p. 43.)

G. CERONETTI, La pazienza dell’arrostito, cit., p. 226.

impurgabili - umanità che non ha il ricordo di quel che la depura e riniuventa” . La 222

verità atroce è che “pensare, su questa terra così macabramente contaminata, è più una fuga dalla peste che uno sforzo utile per sé e per gli altri” : è essenzialmente l’in-utile, 223

che, come fuga, non salva da nulla, poiché a nulla serve sfuggire da un luogo per salvarsi dai suoi demoni - soprattutto se quei demoni vivono nel nostro animo, se quei demoni siamo noi ad incarnarli . Non salva, ma dona attimi di pace e refrigerio, un 224

balsamo che non guarisce, ma che almeno addolcisce il partire.

E in una terra resa esangue dal Tutto-calcolabile, come un fulmine, spezza il buio all’interno del quale giriamo e rigiriamo uno dei “Cento Più Bei Pensieri del Mondo: ‘l’atto più elevato del pensiero consiste, in definitiva, nel comprendere la necessità di porre l’incomprensibile’ (Jules Lagneau, De l’existence de Dieu)” . Il centro attorno a 225

cui ruota il pensiero capace di pensare, è il Mistero.

Là dietro i grandi occhi e le curve labbra E i boccoli di cui l’involucro dorato

Della nostra esistenza si cesella Un punto oscuro, un pesce navigante

Per i silenzi antelucani del mare C’è, che tu vedi:

Un vuoto, che ci segue dappertutto. 226

Contano i “simboli, non le cifre” , infatti “tra questa roba gassosa e le nostre 227

incalcolabili Emozioni, tra la ragione meccanica e il Logos vivente, fra la lampada morta e il lumen che ci tortura, quale rapporto può esserci?” . La domanda è 228

complessa, ma Ceronetti sa bene che tutto “quel che ignora il privato, che non ha intelligenza del privato, che riduce a statistica, che ‘traduce in percentuali’, che impone

Ivi, p. 237.

222

Ivi, p. 243.

223

“Un pensiero di Schopenhauer: ‘Questo mondo è l’inferno, e gli uomini sono ora i dannati, ora i

224

demoni’. Sono gli Orfei anche”. (G. CERONETTI, Un viaggio in Italia, cit., p. 45.) G. CERONETTI, La pazienza dell’arrostito, cit., p. 48.

225

G. CERONETTI, Come un talismano, cit., p. 62.

226

G. CERONETTI, Albergo Italia, cit., p. 56.

227

Ibidem.

l’astratto senza la ragione e il cuore, che progetta città ideali del futuro, che non ha il segno della flagellazione costante della nostra miseria di uomini sul volto, è vergognoso acquerello di Hitler” , che in quanto tale vive in uno spazio di totale irrealtà, né 229

piacevole né sensato, né spiacevole né insensato: la “negazione della vita […] il pittore Hitler la manifesta mediante l’arte propria di non far vivere nulla. […] Batti sempre, con lui, alle porte del limbo, naufraghi su scogliere di marmo. […] Non vedere la molteplicità umana e la traccia della carne è sempre stato un sintomo preciso, nella patologia del potere: vedere l’altro è quel che fa umani” . Ma la tecnica cos’ha di 230

umano? Quanto dell’uomo vive nell’homo technologicus - contando che, con la tecnica, l’etica diventa patetica ? 231

Ancora dei segni sopravvivono: cosa nasconde, infatti, l’agitazione e la curiosità delle persone nei momenti di celebrazione dei grandi geni, dei grandi scienziati, come può essere per noi Leonardo? È banalmente la dimostrazione del nostro essere asserviti in tutto agli apparati tecnici, capaci di trasformare e guidare perfino i nostri sentimenti? No. “Questa passione delle folle per il Genio è nostalgia del miracolo, clandestina sotto la censura scientifica. […] Non è amore della scienza che li spinge e li rende così impazienti di quel contatto, è avidità di ricevere un segno, bisogno tremendo di guarire dalla malattia scientifica, dalla solitudine dello spiegabile” . E se i nostri visceri 232

ancora si torcono, impotenti, in questo mondo governato dal calcolo, patiscono e soffrono la stritolante contingenza del reale e la sua asfissiante finitezza, come dobbiamo intendere la cecità con cui ci gettiamo nello sviluppo tecnologico, la voracità con la quale produciamo e distruggiamo, tutto consumando? Forse

c’è del buono e dello straordinario sui fondali di questo oceano di volgarità e perversità apparentemente senza riscatto. Gli intellettuali, i politici, non hanno il presentimento degli abissi umani, quando credono di interpretare individui e

Ivi, pp. 63-64.

229

“In Palazzo Vecchio sono esposti acquerelli viennesi di Hitler, irrespirabili di opacità. […] Ma incalcolabili, in tutto il mondo, sono gli acquerelli di Hitler, in facce, in discorsi, teologi, politici, sindacalisti, giornalisti… Quasi tutto è Acquerello di Hitler nel mondo livellato e unificato. Chi sa se in Oriente ce n’è un po’ meno”. (G. CERONETTI, La pazienza dell’arrostito, cit., p. 43.)

G. CERONETTI, Albergo Italia, cit., pp. 61-62.

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“È vero che il senso etico in questo nostro appestato labirinto svanisce, insieme ad ogni senso

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critico”. (G. CERONETTI, La pazienza dell’arrostito, cit., p. 284.) G. CERONETTI, Un viaggio in Italia, cit., p. 79.

nazioni secondo lo schema superficiale della vita preferita in ogni caso alla morte. Non è così. E ci sarebbe da disperare di più se non ci fosse, nel segreto di queste folle in cui l’azione morale individuale traluce rara, una frescura, l’inclinazione ad accettare di sparire, come un compenso dovuto. 233

Un gesto profondamente etico è il nostro perseverare nella via dell’auto-distruzione, un gesto capace di riscattare “una specie di segreta vergogna, da civiltà matura e stanca, di continuare ad esistere” . Risplendono ancora le parole di Anassimandro, che, col 234

cantico di Làmek, segnano un luogo in cui la mente “ha la possibilità di raccogliersi e di appigliarsi, sebbene l’agiti soffio d’infinito, perché è infinito etico: Ethos è un Dio che accorcia le distanze” . 235

Ogni cosa sia nata cresce Come germogli di corruzione:

Nascendo gli è destinata; E per punire in se stesse l’essere, Perché ciascuna sull’altra vendichi

La colpa d’essere apparsa, Tutte le cose che sono sono Tra le colonne del Tempo 236

Nel documento Guido Ceronetti. Uno squarcio. (pagine 56-60)