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La percezione e l’interpretazione degli spazi: l’area marciana e il Canal Grande

Nei capitoli precedenti abbiamo chiarito le modalità di interazione tra i fruitori e la città di Venezia, in particolare considerata nella sua forma globale e nella sua struttura interna. Abbiamo dunque messo in luce come certe sue caratteristiche uniche influenzino sensibilmente l’esperienza dello spazio urbano e la sua interpretazione, sia da un punto di vista strettamente pratico (specialmente per i visitatori stranieri) che rappresentativo, allorché si tenta di razionalizzare con la parola e con l’immagine un contesto che nasce e si sviluppa seguendo un moto organico, solo in minima parte indirizzato da regole aprioristiche. Ne deriva dunque un ampio spettro di immagini, ai cui estremi si trovano la Venezia totalmente astratta, descritta attraverso categorie derivanti da un bisogno celebrativo (o più raramente anticelebrativo) e che si mostra unicamente attraverso le sue preziosità, e una Venezia umana, concreta e percepibile, in grado di mettersi a nudo e lasciarsi vivere, nonostante le reali difficoltà che questa pratica comporta. In sintesi, fino a ora abbiamo analizzato come la città nel suo complesso

e nei suoi elementi costitutivi entri in relazione con coloro che la osservano e la percorrono,

senza entrare nel merito dei singoli spazi ed edifici di cui è composta; a questo punto è pertanto necessario indagare come questo rapporto influenzi la percezione di taluni luoghi della città, se può esistere in questo senso una gerarchia in termini di fruizione, prendendo in considerazione ancora una volta le tracce che questo processo ci ha lasciato nella produzione di testi e immagini raffiguranti la città. Prima di entrare nel

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dettaglio del discorso, dobbiamo chiarire alcune questioni rimaste ancora in sospeso e che si ricollegano all’argomento del precedente capitolo: prima di tutto, nel dettaglio, come la natura anfibia di Venezia influenzi la visione e la percezione dei suoi luoghi e il legame tra questa percezione e le modalità di traduzione degli spazi cittadini in immagine. Infine, anche attraverso l’analisi delle finalità di fruizione che caratterizzano questi stessi luoghi, arriveremo ad elaborare delle proposte in merito alla qualità del rapporto di reciprocità tra la rappresentazione visiva di Venezia e le modalità della sua esperienza.

3.1 - La fruizione di Venezia dall’acqua e sulla terra

Si è visto nel capitolo precedente come la natura anfibia di Venezia comporti anche una diversa e complementare possibilità di spostamento all’interno dei suoi spazi. Si è anche accennato all’importanza di questo aspetto per una piena comprensione della città, evidenziando come taluni cambiamenti della sua struttura, specialmente per quanto riguarda la viabilità, abbiano influenzato il modo di interpretarla da parte dei visitatori stranieri e tuttora incidano, in modo anche più pesante, sulla percezione dei turisti1, i quali, grazie alla capillare presenza di ponti e al potenziamento dei percorsi pedonali, raramente si trovano a percorrere la città con un mezzo acquatico idoneo, diverso cioè dai veloci motoscafi e i poco “esplorativi”2 vaporetti, a meno che non decidano di ricorrere al costoso giro in gondola, che non conserva più nulla dell’originale funzione. L’esperienza della città nella diversità di aree che la compongono sia dall’acqua che da terra sembra invece essere condizione fondamentale !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

1 Cfr. GIOVANNI MARIACHER, Introduzione a GIANNINA PIAMONTE, Venezia vista dall’acqua, 1968, ed

cons. Venezia, Stamperia di Venezia, 1992, pp. 3-4, qui p. 3.

2 Si intende che il viaggio in vaporetto, pur essendo accessibile a molti, non permette di apprezzare fino

in fondo lo spostamento via acqua poiché si limita ad alcuni grandi canali (Canal Grande, Canale della Giudecca, Canale di Cannaregio e così via) e ai bacini , non penetrando fin nei più remoti angoli della città, così come raccontavano i viaggiatori del passato. Va aggiunto altresì che il vaporetto è comunque un mezzo più veloce degli antichi traghetti, e dunque comporta una fruizione della città temporalmente alterata, come ha pienamente messo in luce nei suoi diversi studi Sergio Bettini, che sul problema del tempo nell’esperienza artistica, architettonica e urbanistica ha riflettuto per tutto l’arco della sua attività scientifica. Cfr., in particolare, SERGIO BETTINI, Cinema e architettura, in «Lumen», II (1956), 2, pp. 177- 179.

! "#&! per averne una percezione completa, sia a livello dell’osservazione che da un punto di vista più pienamente corporeo, e tale completezza è dunque la base per interpretarla nella maniera più idonea.

Ne erano consapevoli i viaggiatori, e ne hanno lasciato testimonianza nei loro scritti, certo influenzandosi l’uno con l’altro, anche in questo caso, nei modi espressivi, ma crediamo mantenendo una certa verità nei racconti che riscontriamo per tutto il periodo preso in considerazone. Le osservazioni generate dalla percorrenza delle calli veneziane sono già state oggetto di analisi che qui riprendiamo per sottolineare non tanto l’opinione dei foresti sulla qualità delle strade, ma il fatto che raramente la narrazione di spostamenti via terra dà adito a giudizi estetici sui monumenti, mentre si concentra di più sull’affresco della società veneziana, delle botteghe e delle mercanzie e così via (basti pensare alle Mercerie). Infatti, al livello dello sguardo, è dall’acqua che «The appearance of the city […] is still more singular»3, ovvero che si riesce ad apprezzarla in tutta la sua bellezza:

The Prospects are often very agreable as you pass along the Canals: The perspective View through the Arches of many Bridges at once, in the lesser Canals, at Palaces frequent in all, but more particularly adorning each side of the great one, make the voyaging through these warry Streets very entertaining4.

Ciò che colpisce non è solo la qualità estetica dell’osservato, ma altresì la «varieté des objects que m’offraient les riches palais et les façades d’églises qui à chaque coupe de rame se développaient à ma vue»5. In effetti possiamo dire che Venezia è una città che si mostra sull’acqua, nella quale i prospetti tipici delle città di mare si moltiplicano per il numero di canali che la percorrono6. Di conseguenza, la maggior parte degli edifici di !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

3 STOLBERG, Travels through Germany… cit., p. 581. 4 WRIGHT, Some observations made… cit., 48.

5 PETIT-RADEL, Voyage historique, chorographique… cit., p. 157.

6 Per semplificare il discorso si tratteranno di seguito insieme edifici sacri e civili di diverse epoche,

senza tenere conto, se non quando strettamente necessario, delle cronologie e delle differenze di stile, poiché il nostro obiettivo non è riportare in sintesi la vicenda architettonica delle chiese e dei palazzi, cosa evidentemente impossibile in poche righe e per la quale rimandiamo alla bibliografia che verrà citata in nota, bensì ricostruire a grandi linee il contesto monumentale con il quale i fruitori sei- ottocenteschi interagivano durante la visita della città. Sull’“offerta” artistica e architettonica di Venezia nel Settecento si vada il recente FAVILLA-RUGOLO, Venezia '700… cit.

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pregio si affacciano sull’acqua o dalla parte della facciata (più frequentemente) oppure lateralmente, in ogni caso osservabili da un visitatore che stesse passando lungo il canale che li lambisce. Le chiese, ad esempio, spesso sorgono nei pressi di una riva, che solitamente serviva il campo sul quale sorgeva, i quali, per motivi connessi all’igiene dell’area e all’approvvigionamento dei viveri, erano sempre serviti da canali, che sono stati a volte interrati, come nel caso di campo San Polo. Tale consuetudine si mantenne nei secoli, arricchendosi molto presto di un valore scenografico e celebrativo, per cui era la facciata stessa della chiesa a rivolgersi verso il canale o il bacino, come avveniva del resto anche per la prima chiesa di San Marco, di fronte alla quale scorreva il rio Batario oggi scomparso7. Il carattere di importanza che rivestiva la scelta di rivolgere la parte più significativa della chiesa verso l’acqua ci è testimoniata ad esempio dalla chiesa di San Giacomo dell’Orio, la cui facciata si trova dalla parte di un angusto campiello affacciato sul rio, mentre è tutto l’intero corpo dell’edificio a mostrarsi, modellandone gli spazi, sull’ampio campo principale8, similmente a quanto avviene anche in campo Santa Maria Formosa (dove vengono costruite due facciate), in quello di Santi Giovanni e Paolo, così come avveniva nel passato in altri luoghi dove i canali sono stati interrati, come per San Silvestro e Sant’Agnese. Ancora più significativa è la modalità espositiva degli edifici sacri lungo i canali principali, su tutti ovviamente il canal grande, e i bacini, delle quali molto spesso è la sola facciata a essere visibile dall’acqua, mentre l’intero corpo viene nascosto dagli edifici circostanti, sul modello dei palazzi privati; tale soluzione viene spesso enfatizzata arretrando il prospetto della chiesa rispetto alla riva, così da creare uno spazio antistante, una sorta di pausa nello spartito urbano, che assolve a finalità liturgiche (come nel caso del Redentore), ma anche estetiche. E certamente tale senso scenografico raggiunge l’apice tra Sei e Settecento con la costruzione di templi come la Salute, gli Scalzi, San Simeone Piccolo,

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7 Cfr. MICHELA AGAZZI, Platea Sancti Marci: i luoghi marciani dall'11. al 13. secolo e la formazione della piazza,

Venezia, Comune, Assessorato agli affari istituzionali, Assessorato alla cultura - Università degli studi C’ Foscari, Dipartimento di storia e critica delle arti, 1991, pp.79-80.

! "#(! i Gesuati, tanto che all’inizio del Settecento, almeno i tre quarti delle chiese di Venezia erano osservabili tranquillamente passeggiando in gondola9.

Medesime considerazioni scaturiscono in relazione ai palazzi, per i quali il rapporto con l’acqua è ancora più diretto, essendo questi nella quasi totalità impostati sul modello della casa-fondaco, ovvero la tipologia di abitazione prediletta dai ricchi (e spesso nobili) mercanti veneziani o stranieri residenti in città (come la nota famiglia Mastelli di origine greca, che possedeva un palazzo sul rio della Madonna dell’Orto)10. Di tale relazione avevano coscienza anche i forestieri sei-settecenteschi, che sperimentavano in prima persona la comodità dell’accesso diretto dall’edificio al canale e viceversa, ma tale rapporto non era solamente di tipo funzionale, atto ad agevolare lo scarico delle merci dalle barche al magazzino situato al piano terra della casa; esso si espandeva a tutta la facciata la quale con le sue aperture (le logge, i trafori gotici, le finestre) innescava con l’acqua uno scambio continuo di luce, accentuato dal colore che ne caratterizzava le superfici, almeno fino al XVII secolo: a mosaico, ad affresco, a intarsio marmoreo. Negli ultimi due secoli della Repubblica gli architetti modificarono in parte questo sistema relazionale, potenziando la forza e l’imponenza degli edifici, adottando soluzioni che limitavano forse quel senso di compenetrazione proprio dei palazzi del medioevo e del primo Rinascimento, ma accentuandone il valore scenografico, specialmente in alcuni punti strategici per la visione, non solo sul Canal Grande11, sempre lavorando sulla superficie, non più con il colore, ma attraverso il chiaroscuro dato dalle aperture e dalle decorazioni in pietra bianca.

Ciò raramente avveniva sulle insule, e quasi mai lungo le calli, poiché il sistema viario di terra manteneva una funzione primaria di collegamento e le strade, come sappiamo, !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

9 Tale proporzione si è ricavata dall’osservazione della posizione rispetto ai canali degli edifici sacri

riportati sulla pianta di Venezia di Ludovico Ughi del 1729. Si sono dunque tenute in considerazione tutte le chiese andate distrutte, nonchè quelle situazioni poi modificatesi nel tempo con l’interramento dei rii (San Silvestro, Sant’Agnese, San Francesco di Paola, ecc.) o la realizzazione di costruzioni tra la chiesa e l’accesso all’acqua. Per un’ampia trattazione sulla chiese veneziane si vedano FRANZOI, Le chiese di Venezia… cit.; SABINA VIANELLO, Le chiese di venezia, Milano, Electa, 1993; ALESSANDRA

BOCCATO, Chiese di Venezia, San Giovanni Lupatoto (Verona), Arsenale, 2010.

10 Cfr. ALVISE ZORZI, I Palazzi veneziani, Udine, Magnus, 1989, pp. 218 sgg.

11 Come Palazzo Lezze alla Misericordia di Baldassarre Longhena, (1650-1660); Palazzo Zenobio ai

Carmini di Antonio Gaspari, (1690-1700); Palazzo Priuli-Manfrin di Andrea Titali, (1735 circa). Cfr. ELENA BASSI, Palazzi di Venezia: admiranda urbis venetae, ed cons. Venezia, Stamperia di Venezia, 1987; ANDREA FASOLO, Palazzi di Venezia, San Giovanni Lupatoto (Vr), Arsenale, 2003.

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avevano dimensioni proibitive per riuscire a cogliere la bellezza di un prospetto; di conseguenza non aveva senso costruire, anche lungo i principali assi viari (che non fossero quelli acquei), come le mercerie o le attuali Ruga Rialto e calle dei Fabbri, degli edifici di pregio12. Tale eventualità si verificava invece più spesso negli spazi aperti, la piazza (che tuttavia merita un discorso a sé) e i campi, sui quali sorgono palazzi patrizi di grande importanza; spesso comunque questi edifici avevano una doppia facciata, corrispondente al doppio accesso (un po’ come avveniva per talune chiese), come nel caso di palazzo Ruzzini a Santa Maria Formosa. Si conferma dunque da questa pur breve analisi la prevalenza del fronte acqueo rispetto a quello di terra come spazio di presentazione dell’immagine di sé da parte della città, direttamente e singolarmente nella persona dei membri dei patriziato, quest’ultimo caso sempre più frequente negli ultimi secoli della Repubblica per quel processo di dislocazione dell’iniziativa edilizia e decorativa che caratterizza questo periodo13. Dal punto di vista dei fruitori, tale prevalenza si traduce com’è ovvio in una possibilità di visione ottimale, data dalla combinazione di una giusta distanza dall’edificio e una corretta prospettiva dello sguardo.

La duplicità veneziana non si risolve soltanto nella contrapposizione statica di punti di vista, ma coinvolge anche situazione più propriamente performative, poiché, nelle due nature, non è solo lo sguardo che cambia, ma la qualità della partecipazione del fruitore allo spazio urbano. Riprendiamo a questo proposito le già citate parole di Edwin Wright, il quale, parlando appunto del tragitto in barca lungo i canali afferma che la vista dall’acqua «make the voyaging through these warry Streets very entertaining»14. Un viaggio dilettevole e appassionante, valido nel suo andamento temporale e non solamente in funzione della meta da raggiungere, specialmente percorrendo il canal Grande «when you see the Gondola’s to and fro in such Multitudes, between two Ranges of the finest Buildings imaginable, and discover new Towers, or new Cupola’s, !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

12 Questo ovviamente non accadeva in altre città di terraferma, dove anzi l’eventualità di costruire un

palazzo o una chiesa in una strada non particolarmente ampia aveva portato gli architetti a trovare soluzioni ottimali di decorazione della facciata, tali che si potesse osservare e apprezzare nella sua interezza anche da breve distanza, come nel caso della Chiesa di Sant’Andrea della Valle a Roma (cfr. ALBA COSTAMAGNA, Sant’Andrea della Valle, Milano, Skira, 2010). A Venezia tuttavia, gli spazi sarebbero stati davvero troppo angusti per permettere una tale soluzione.

13 Cfr. KIEVEN, PASQUALI (a cura di), Storia dell’architettura nel Veneto. Il Settecento … cit. 14 WRIGHT, Some observations made… cit., 48.

! "#)! every Stretch of the Oar your Barcarolo’s make»15. Tale considerevole coinvolgimento, anche emotivo, nella percezione della città, deriva dunque non solamente dall’indiscutibile bellezza e qualità architettonica degli edifici osservati, ma dal tipo di fruizione che se ne fa comodamente seduti in gondola, attraverso un movimento lento e costante che permette una presa di coscienza graduale, “a ogni colpo di remo”, della particolare conformazione dello spazio urbano e della sua parte monumentale, dando quindi all’osservatore il tempo necessario per coglierne la qualità del tutto singolare. La percezione acquea di Venezia è pertanto connotata da continue scoperte, ma secondo un ritmo cadenzato e regolare, dato dalla corrispondenza tra le componenti spaziale e temporale dell’esperienza. In questo senso essa si contrappone nettamente alla percezione che deriva dagli spostamenti via terra, che si svolgono in un ambiente assimilabile, nella forma reticolata, a quello dei canali, ma sostanzialmente diverso nelle dimensioni e nella finalità di percorrenza, che nella maggior parte dei casi concerne la necessità di raggiungere una destinazione tutto sommato prossima al luogo di partenza. Tuttavia, soprattutto nel caso dei turisti, è probabile che si percorresse lo spazio urbano terreno anche con una più esplicita finalità esplorativa (come d’altra parte ci testimoniano molti diari) e dunque per un tempo e un percorso più dilatati: in questo caso, la conformazione del sistema viario, che combina calli molto strette e contorte a zone più ampie nei campi, provoca una percezione discontinua, in cui si alternano le strade, lungo le quali si passa e, solitamente, non ci si ferma, e i campi, che fungono da pause, da rallentamenti percettivi, nel ritmo “sincopato” della camminata.

Ragionando in termini generali, la dicotomia di movimento all’interno del contesto urbano veneziano non dipende dunque solamente dalla diversità del mezzo di locomozione, situazione che avremmo ritrovato anche nelle città di terraferma dove similmente ci si poteva spostare a piedi o attraverso le carrozze o a cavallo. Al contrario, mentre in questi casi i sistemi di trasporto condividono sostanzialmente la medesima area di percorso, nel caso di Venezia sussiste invece una esclusività nella relazione tra mezzo e spazio, per cui all’acqua corrisponde forzatamente l’utilizzo della barca e alla terra l’assenza di qualsiasi genere di mezzo. In parole povere, quello che si vede dall’acqua, e il modo in cui lo si vede, non si può parimenti osservare da terra, !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

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non nel senso di una visione statica, ma di una percezione dinamica, ovvero nella successione delle emergenze architettoniche. Ne deriva che, quando si voglia percorrere la città con il fine di ammirarne e conoscerne i monumenti e le relazioni formali che tra essi intercorrono, si può certamente indicare il modo più corretto per farlo, l’unico possibile, cioè muoversi con la barca e non una barca qualsiasi, ma la gondola16.

3.2 - Tra terra e acqua: esperienza e rappresentazione

Le osservazioni sin qui esposte potrebbero apparire scontate se ci si limitasse a constatare lo stato di fatto; tuttavia nel nostro caso questo chiarimento è necessario per poter procedere all’analisi dei “luoghi” di cui è composta Venezia, i quali sono formati non soltanto dalle emergenze concrete, ovvero le architetture e gli altri segni percepibili, ma da tutto lo spazio che sta tra queste emergenze, il quale esiste per essere esperito da una comunità di fruitori secondo esigenze diverse, che contribuiscono a delinearlo tanto quanto la componente materiale. Questo non soltanto in termini spaziali, ovvero di un’esperienza sensibile, ma soprattutto in termini rappresentativi: è proprio su questo piano che a Venezia si gioca lo scarto tra le diverse modalità di raffigurazione dei singoli spazi urbani (dunque non dell’intera forma urbis), sia in termini quantitativi che qualitativi. Intendiamo dimostrare che molto spesso la rappresentazione di talune aree cittadine, nel nostro caso specifico l’area marciana e il Canal Grande, sia nella ricorrenza più o meno frequente di loro immagini, che nella modalità di raffigurazione prescelta, è in stretto rapporto con le consuetudini di fruizione che le caratterizzavano, e inoltre che questa pratica influenzava, a volte modificandoli, la percezione e il significato di questi stessi luoghi. Proprio per questo, !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

16 Cfr. BETTINI, Venezia: nascita… cit., p. 10. Si veda cosa afferma Rangoni de Gonzague: «[…] ce sont

des canaux bordés de maisons, dont quelques-uns ont des quais sans parapets, où l’on marche en gondole, voiture délicieuse qui fend le flots avec une vélocité étonnante, en laissant immobiles ceux qui sont dedans. Elles sont couvertes & tapissées de noir ; mais le noir est égayé parle les glaces de la porte & des fenêtres. Voilà les carrosses de Venise : les chariots & les charrettes sont des barques»: Rangoni de Gonzague, Lettres de Madame la Princesse… cit., pp. 62-63.

! ")"! volendo comprendere quale fosse il valore di determinati spazi cittadini nell’esperienza di Venezia tra la fine della Repubblica e i primi decenni dell’Ottocento e di come essa si modifichi nel corso del tempo, sarà necessario indagare a fondo tale reciprocità, tenendo in considerazione, molto più di quanto non è stato fatto sin’ora, le questioni che riguardano le modalità di trascrizione dello spazio urbano veneziano sulla superficie bidimensionale della tela o della lastra, o, più in generale, il problema del vedutismo.

Non intendiamo entrare nel dettaglio della totalità delle questioni legate al genere della veduta, poiché saremmo costretti a tenere in considerazione aspetti che non rientrano a pieno titolo nelle finalità nel presente studio, come, ad esempio, la qualità della stesura

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