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Venezia e la sua struttura: testimonianze e immagini per la ricostruzione di un’esperienza

L’esperienza della peculiare struttura veneziana di calli e canali, pietra e acqua, è forse uno dei momenti più significativi per quanto riguarda il problema della comprensione di Venezia nelle sue qualità urbane, e da essa emerge più marcatamente la disparità tra lo sguardo “straniero” e lo sguardo interno alla città: tanto più lo spazio nel quale ci si muove è lontano dal sentire e dall’esperienza quotidiana, tanto maggiore sarà la differenza tra rappresentazione e auto rappresentazione, non solo nella percezione quasi fisica, corporea, dell’ambiente e il giudizio di qualità che ne consegue, ma soprattutto nell’immagine di città che da essa deriva e, fatto ancora più importante, si potrà scoprire la “verità” di questa immagine, la sua rispondenza con l’organismo fisico che l’ha generata. Saremo dunque portati a pensare che tutte le fonti “interne” siano portatrici di questa “verità” più di quanto non possano esserlo quelle fondate su una visione non veneziana: chi abita una città, ci lavora, vi si muove dovrebbe conoscerla meglio di chi la vede per la prima volta e, di conseguenza, sapere indicare la via migliore per arrivare a comprenderla; tuttavia questo non sempre accade in ambito veneziano, dove si registra una sostanziale fissità dell’immagine data attraverso le guide e una più evidente capacità percettiva che traspare dall’immagine raccontata, pur con le debite eccezioni e nonostante le dichiarate intenzioni degli autori veneziani di confezionare prodotti utili al forestiere. Vedremo come, anche in questo caso, le due categorie dalle quali si origina la nostra analisi, siano portate a “scambiarsi di posto” e, talvolta, a coincidere.

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Innanzitutto l’elemento che differenzia sostanzialmente lo sguardo esterno da quello interno è naturalmente la ragione d’essere dello sguardo stesso. Occhi che si posano per la prima volta su un oggetto, e che sanno che un giorno vicino o lontano, cesseranno di guardarlo, hanno una maggiore attenzione rispetto a coloro che sono

abituati alla vista e certamente una più finalizzata capacità critica. Anche l’azione di

percorrere gli spazi della città dipende da un bisogno che non è lo stesso tra cittadini e foresti, sebbene non nella totalità dei casi1 e pur condividendo in larga parte i luoghi della fruizione: infatti, a differenza di oggi, non vi era una divisione netta tra spazi “turistici” e spazi “locali”, anche se è stato rilevato come nel corso del XVIII secolo si avviino «alcune ridistribuzioni sociali inconsuete per Venezia»2 che porteranno a una sempre maggiore caratterizzazione sociale dei luoghi, a partire dai sestieri stessi3. Nonostante ciò, va ribadito come molte attività commerciali e artigianali non solo si svolgessero in contesti che oggi definiremmo “monumentali”, come ovviamente la zona realtina e la piazza San Marco, ma si diffondessero per la città, attraverso la pratica dei mestieri ambulanti, che vennero raffigurati alla fine del secolo in una serie di illustrazioni accompagnate da terzine in rima4.

Ovviamente una più concentrata attenzione nei confronti della struttura urbana veneziana, dei suoi spazi e percorsi, non significa a priori una più elevata capacità di comprensione delle sue caratteristiche peculiari, così come la frequenza quotidiana di taluni luoghi da parte della cittadinanza non implica, come affermato poco sopra, la capacità di saperli rappresentare e comunicare in maniera efficace, ovvero al fine di stimolare la presa di coscienza da parte dei visitatori di ciò che di Venezia (e non solo a Venezia) si riteneva indispensabile conoscere. Ovviamente la pluralità di punti di vista, sia interni (su tutti la granitica tripartizione sociale – patriziato, cittadini originari e popolani) che esterni (mercanti, artisti, letterati, scienziati, musicisti, e così via), che ha

1 Specialmente per quanto riguarda persone di un ceto sociale alto o di censo elevato, si riscontra una

sostanziale uniformità di fruizione riguardo le attività “di intrattenimento”, come gli spettacoli, le passeggiate in gondola, la visione di opere teatrali e l’ascolto di concerti. Queste attività influenzano indubbiamente non solo il modo con cui ci si muove nello spazio urbano veneziano, che tratteremo in questo capitolo, ma soprattutto la selezione dei luoghi e l’importanza a loro conferita, di cui si parlerà nel capitolo 4.

2 MANLIO BRUSATIN, Venezia nel Settecento. Stato, architettura, territorio, Torino, Einaudi, 1980, p. 7. 3 Cfr. ivi, pp. 7 sg.

4 Cfr. GAETANO ZOMPINI, Le arti che vanno per via nella città di Venezia […], 1785, ed. cons. Brescia,

91 sempre caratterizzato Venezia nel corso della sua storia genera un’eterogeneità di (auto)rappresentazione abbastanza evidente, con talune coincidenze di punto di vista; tuttavia sussiste una differenza sostanziale tra fonti veneziane e fonti straniere: mentre le prime, sia testuali che visive (in particolare gli album a stampa), solo raramente dimostrano di saper comprendere e rappresentare l’esperienza reale della città, molti testi stranieri sembrano sentire la dimensione veneziana, anche se non sempre ne danno un giudizio positivo; questo punto di vista ha altresì permesso la produzione di immagini che esprimono una tale profonda comprensione. Il doppio filone interno/esterno non corre parallelo, ma si traduce a Venezia in un dialogo serrato e in uno scambio quasi continuo di elementi, un po’ come abbiamo visto per la produzione cartografica di piccole dimensioni, e che sembra essere il modo peculiare del sistema (auto)rappresentativo veneziano.

Tornando all’oggetto di analisi di questo capitolo, ovvero le modalità di esperienza dello spazio urbano veneziano, e concentrando il ragionamento sulla differenza dello sguardo, non possiamo non rilevare, innanzitutto a livello generale, come la fruizione della città dipenda strettamente dai modi con i quali ci si muove al suo interno, che sono molto diversi, nella forma e pratica, da quelli di una qualunque città della terraferma; conviene dunque soffermarci sulle due possibilità di spostamento all’interno di Venezia, analizzarne il giudizio da parte dei forestieri, verificandolo nel confronto con i testi veneziani, tentando di evidenziare le continuità e gli scarti nell’evoluzione degli sguardi su Venezia anche attraverso il confronto con le immagini prodotte nella (e non solo per la) città. La descrizione di canali e calli, ma anche (in misura minore) di bacini e campi, non è sempre presente nelle fonti straniere e spesso riprende quasi testualmente le osservazioni e i giudizi dei viaggiatori precedenti. Tuttavia emergono giudizi senza dubbio molto più ricchi che nelle coeve guide veneziane.

Nelle guide veneziane la presenza contestuale di percorsi via acqua e via terra funzionali a una visita “turistica” della città non viene resa esplicita fino a dopo la fine

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della Repubblica5, mentre ci si limita, nelle guide sei-settecentesche, ad affermare la presenza di canali, ponti, traghetti, senza entrare effettivamente nel merito delle modalità di spostamento (salvo descrivere talvolta il mezzo tipico della città, la gondola) né tantomeno consigliarne una piuttosto che l’altra. Nelle fonti straniere, al contrario, la trattazione si fa più ampia e nettamente più “esperienziale”, derivante cioè dalla visione diretta del “brulicante” mondo veneziano6, tanto da cogliere anche aspetti funzionali che all’apparenza potrebbero non sembrare interessanti all’occhio dello straniero. Si riconosce, ad esempio, che i canali sono “dappertutto”7 e che formano vere e proprie vie di comunicazione all’interno della città8 (cioè non abbiano una funzione ausiliaria come può essere quella di un corso d’acqua in una città di terraferma, che la attraversa solo in una parte), poiché «tout le service, les transports des marchandises & de tous les fardeaux, se font par le moyen des canaux, sur lequels on voit continuellement une immense quantité de gondoles»9. La gondola è il mezzo preferito dai forestieri (che solitamente ne affittano una per tutta la durata del soggiorno) per almeno due ragioni dichiarate: innanzitutto la gondola è un mezzo economico, molto meno costoso delle carrozze nelle grandi città europee10; in secondo luogo è più di tutti l’elemento che permette di instaurare il processo di immedesimazione dello straniero nel contesto veneziano:

5 Cfr. QUADRI, Otto giorni… cit. Un accenno è presente in SANSOVINO, Venetia città nobilissima… cit., p.

3: «quali tutti si va per terra per acqua con gran commodo, in picciole barche benissimo ornate, dette gondole [molte delle quali stanno sul canal grande, a i traghetti»; cfr. anche PACIFICO, Cronica veneta… cit., p. 27.

6 Si veda, ad esempio, ROBERT GRAY, Letters during the course of a tour through Germany, Switzerland and Italy, in the years M.DCC.XCI, and M.DCC.XCII […], London, Printed for F. and C. Rivington, 1794, p.

435: «As soon as we had procured, next morning, our gondola, which we have engaged for a trifle to be always waiting at our door, we embarked to take a view of this wonderful city».

7 Cfr., tra gli altri, ADDISON, Remarks on several parts… cit., p. 64; PETIT-RADEL, Voyage historique… cit.,

p. 157.

8 Cfr. MARTYN, A tour through Italy… cit., p. 416. La cosa potrebbe non stupire, ma si consideri che

oggi la percezione si è sostanzialmente invertita.

9 Description historique de l’Italie… cit., p. 364. Cfr. anche PETIT-RADEL, Voyage historique… cit., p. 157:

«Sur ces canaux, grands comme petits, se fait le tran sport des merchandises qui viennent de la Terre- Ferma aux douanes et aux magasins des particuliers, ainsi que celui des comestibles et combustibles qui viennent fournir les cuisines Vénitiennes, celui enfin des désœuvré; comme des gens d’affaires qui se dirigent où l’interêt les appelle».

10 Cfr. MISSON, Viaggio in Italia… cit., p. 110: «Ci si potrebbe servire di gondole a tanto per viaggio, o

a tanto all'ora, come ci si serve delle carrozze da noleggio a Londra o Parigi. Ma è molto più comodo averne una che sia completamente a propria disposizione: e ciò costa poco, poiché se ne può avere una delle migliori per il prezo di cinque o sei scellini al giorno. Le gondole di Venezia sono una cosa bellissima [...]».

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Sentitomi stanco, mi gettai in una gondola, e […] attraversai tutta la parte a nord del Canal Grande per godere anche lo spettacolo del lato opposto; girai attorno alle isole di Santa Chiara fino alle lagune, di qui rientrai per i canale della Giudecca fin verso la piazza di S. Marco, e mi credevo già padrone del mare Adriatico, come del resto si sente ogni buon Veneziano non appena si è sdraiato nella sua gondola11

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Goethe è uno di coloro che dichiarano di muoversi durante il loro soggiorno sia in gondola, che a piedi, e che, come altri, descrivono nel dettaglio le arterie principali della città, come le mercerie: «As every Body is masse in Carnaval Time, we went to the

Mercery, which is all the Space betwixt the Rialto and the Square of St. Mark, to provide

proper Dresses»12; queste strade principali sono anche le più popolate e per questo spesso difficili da percorrere a causa della grande quantità di popolo, dal nobile al popolano, che le attraversa quotidianamente, unita alla ridotta larghezza13, comune a quasi tutte le strade veneziane e riconosciuta quale elemento distintivo della forma di Venezia sin dalle origini: «Avari di ogni palmo di terreno [… i veneziani] non concessero alle vie se non la larghezza necessaria per dividere una fila di case da quella di rimpetto»14. Tale insistenza sulla ristrettezza delle calli è presente nella quasi totalità delle fonti, da Misson (1687) a Sinclair (1827), poiché è evidentemente un termine di confronto dal quale emerge nettamente la singolarità, non sempre positiva, di Venezia, allorché si confronta tramite i forestieri con la situazione europea, dove si afferma gradualmente la necessità di un sostanziale rinnovamento delle città in termini di qualità e sanità della vita, a partire delle idee riformatrici dell’Illuminismo15. Tale

11 JOHANN WOLFGANG GOETHE, Viaggio in Italia,, 1816-1817, tr. it. Firenze, Sansoni, 1924, p. 75. 12 BLAINVILLE, Travels through Holland, Germany… cit., p. 50; continua la descrizione «This Place

consists in half a dozen Streets [… che] all run one into another, and are filled with Sgops when one may be furnished with every thing that is rare or costly […]».

13 Cfr. DESEINE, Nouveau voyage… cit., p. 185. 14 GOETHE, Viaggio in Italia… cit, p. 73.

15 Sulla città dell’Illuminismo di vedano i seguenti contributi: VITTORIO EMANUELE GIUNTELLA, La città dell'Illuminismo: l'idea e il nuovo volto, Roma, Studium, 1982; FRANCESCO IENGO, Gli scrittori e la città che cambia: letteratura urbana fra Illuminismo e Romanticismo, Chieti scalo, Vecchio Faggio, 1992; PIERRE

FRANCASTEL (a cura di), Utopie et Institutions au XVIII siècle. Le pragmatisme des lumiere, Paris, Mouton 1993; GIORGIO SIMONCINI, La città nell’età dell’illuminismo. Le capitali italiane, Firenze, Leo S. Olschki Editore, 1996; ORIETTA ROSSI PINELLI, Le arti del Settecento europeo, Torino, Einaudi, 2000, ed. cons. 2009, pp. 53-89; GIORGIO SIMONCINI (a cura di), L' edilizia pubblica nell'età dell'illuminismo, Firenze, L. S. Olschki, 2000; GIOVANNA CURCIO, La città del Settecento, Roma-Bari, Laterza, 2008. Sulla ricezione dell’Illuminismo a Venezia si veda: PAOLO PRETO, L’Illuminismo veneto, in Storia della cultura veneta, 5., Il

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impegno si concretizza attraverso le modifiche di diverse componenti degli agglomerati urbani, di cui uno dei più significativi è proprio la viabilità, nel tentativo di migliorare la percorribilità e rendere facilmente fruibili i collegamenti tra una zona e l’altra della città16.

In effetti, l’analisi dello spazio urbano veneziano e l’elaborazione di un personale giudizio su di esso procedono, nelle fonti straniere, attraverso un confronto continuo con ciò che essi considerano canonico della struttura di una città del loro tempo17, non solo della propria città e della propria forma di vita18, ma anche quella di luoghi più conosciuti, in termini strutturali, di quanto non fosse Venezia, ma comunque paragonabili a essa per tipologia e, soprattutto, per la presenza di una duplicità di percorso. Una delle “stranezze” di cui ci si stupisce in manera trasversale riguarda ad esempio la prevalente assenza di percorsi pedonali paralleli ai canali, ovvero rive e fondamente: «Non immaginiate che i canali […] abbiano delle rive; quasi nessuno ne ha, e il mare batte fino alla soglia delle porte di ogni casa»19; la singolarità di una tale situazione non risalta solo nel confronto con situazioni comuni in altre città, come la

Settecento, 1., Vicenza, Neri Pozza, 1985, pp. 1-45; FRANCO VENTURI, Settecento riformatore. V. L’Italia dei

Lumi, tomo II, La Repubblica di Venezia (1761-1797), Torino, Einaudi, 1990; PAOLO PRETO, I «lumi» e i «filosofi» francesi nella Venezia del ‘700, in GINO BENZONI (a cura di), Le metamorfosi di Venezia. Da capitale

di stato a città del mondo, Firenze, Leo S. Olschki, 2001, pp. 25-37.

16 Cfr. DONATELLA CALABI, Storia della città. L’età moderna, Venezia, Marsilio, 2001, pp. 220-224: «Nel

corso del XVIII secolo, gli schemi compositivi di grande scala sono spesso impostati sul rifacimento di assi viarii esistenti o sulla realizzazione ex novo di collegamenti stradali tra nodi di grande importanza funzionale o monumentale: inaugurano in tutta Europa una nuova concezione “territoriale” dell’assetto urbano, una visione d’insieme della grande viabilità cittadina», qui p. 220.

17 Cfr. LEVANTIS, Osservando Venezia… cit., pp. 229, 235.

18 Vogliamo qui riferirci al significato della nozione di forma di vita dato da Ludwig Wittgenstein nelle Ricerche Filosofiche (cfr. LUDWIG WITTGENSTEIN, Ricerche filosofiche, tr. it. di Renzo Piovesan, Mario Trinchero, Einaudi, Torino 1967): strettamente connessa al linguaggio [«immaginare un linguaggio significa immaginare una forma di vita», prima parte § 19], del quale incarna in un certo senso la parte pragmatica [«il parlare un linguaggio fa parte di un’attività, o di una forma di vita», prima parte § 23], la

forma di vita è in estrema sintesi il contesto sociale nel quale si sviluppano le regole, pratiche e condivise,

del parlare. Nel nostro discorso la forma di vita si allarga a comprendere le qualità e le consuetudini dell’esistenza di una comunità. Per l’applicazione della nozione wittgensteiniana al problema del giudizio e dell’interpretazione si veda LUIGI PERISSINOTTO, Sulla pervasività dell’interpretazione, in LUIGI

PERISSINOTTO, MARIO RUGGENINI (a cura di), Tempo e interpretazione. Esperienze di verità nel tempo dell’interpretazione, Guerini, Milano 2002, pp. 50.

19 DE BROSSES, Viaggio in Italia… cit., p. 123. La citazione dal diario di De Brosses si riferisce alla

situazione dell’inizio del Settecento; tuttavia la cosa stupisce ancora un secolo dopo, comeleggiamo in Rose: «There is sometimes a wharf or a footway along the banks of the rii, (called a riva,) and usually secured by a parapet, bored for a wicket; but the rii oftener extend from house to house, and these then consequantly rise on either side from out of the water»: ROSE, Letters from the north of Italy… cit., p. 283.

95 presenza di percorsi che si affacciano su corsi o specchi d’acqua e che costituiscono gli spazi del passeggio (dunque non finalizzati allo spostamento da un luogo a un altro)20, ma anche in un parallelismo frequente con le città olandesi, che per molti autori sono la cosa più simile che possa esistere alla situazione veneziana: «In some few Places, they have what they call the Fundamente between the Canals and the Houses, like the Quays [or keys] they generally have in the Towns of Holland […]: Those that are on the Sides of Fleet-ditch are most like the of any that I know here»21. Così come avviene in relazione ad altre situazioni dell’esperienza umana in generale, l’interpretazione dello spazio urbano veneziano doveva dunque passare necessariamente per la relazione che si istaura tra esperienze analoghe, ma diverse, per dare forza all’esperienza che si sta vivendo in quel momento, comprenderla più pienamente e mantenerne memoria. Il discorso si evidenzia in altri due punti dell’analisi esperienziale di Venezia: il primo, che porta alla connotazione “foresta” di taluni spazi e non riguarda in senso stretto la città nella sua interezza, concerne i luoghi dove si possono svolgere certe abitudini “da terraferma”, come appunto la promenade, attività imprescindibile per taluni viaggiatori, che dunque si trovano costretti a modulare le proprie esigenze sulla base del singolare ambiente veneziano, dove non esistono, almeno fino a una certa data, luoghi di passeggio dedicati come giardini pubblici e boulevard: si rilevano dunque due diversi tipi di “adattamento”: qualcuno si impegna a ricercare e comunicare nella propria opera (perché ciò sia d’aiuto ad altri che verranno dopo) aree della città che possano assolvere a tale compito, come le rive più spaziose e soprattutto i giardini dei complessi monastici e conventuali, specialmente quelli sull’isola di San Giorgio Maggiore22 o nella Giudecca23, tutti collocati, almeno fino agli ultimi decenni del XVIII secolo, in zone periferiche della città; tale mancanza si risolve parzialmente negli ultimi decenni del

20 Cfr. Description historique de l’Italie… cit., p. 363: «les quais ne sont pas en grand nombre, le plus beau

& le plus long est celui qui va vers l’île de Murano. La promenade est belle; […]».

21 WRIGHT, Some observations made in travelling… cit., pp. 47-48.

22 Cfr. Several years travels through Portugal, Spain, Italy, Germany […], London, printed for A. Roper […],

R. Basset […], and W. Turner […], 1702, p. 213: «I went often in a Morning cross the Water, to Walk in the Garden of St. George’s Monastery, the only place near Venice for a Walk».

23 Cfr. ANNE MILLER, Letters from Italy, describing the manners, customs, antiquities, paintings, & C. of that country […], London, E. and C. Dilly, 1776, vol. II, p. 359: «The only amusements at this time are these

private parties, walking in la Place St. Mark, taking the air in our gondola among the little islands near Venice, or walking in the Giardini Giudecca, as they are called, near Venice; which are extremely ill laid out, in dirty walks and vulgar arbours […]».

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Settecento con l’allargamento della Riva degli Schiavoni nel tratto dal Ponte della Paglia al ponte della Ca’ di Dio e ancor di più dopo la fine della Repubblica, con la realizzazione della via Eugenia (attuale via Garibaldi) e dei giardini pubblici per volere di Napoleone Bonaparte, interventi per l’appunto «miranti a introdurre dei principi teorici […] che fossero insieme frutto e veicolo di propulsione di una nuova ideologia della città»24, organizzata in modo tale da soddisfare taluni bisogni imprescindibili dell’individuo al fine di ottenere quella qualità della vita di cui si diceva poco sopra, ma che, a quanto sembra, a Venezia era apprezzata quasi soltanto dai foresti:

There is however, one street in Venice of a very respectable breadth; but it is very littke frequented, being rather out of the way, at the eastern extremity of the town […]. I became perhaps better acquainted with it than many of the natives, because it led to a very preatty garden, which I was in the habit of visitsing for the sake of seeing grass and trees, in which, on account of their scarcity, I took a de light which I

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