• Non ci sono risultati.

Perché considerare il rischio climatico nella pianificazione?

Figura 3.8 – Rischio – approccio di riferimento e glossario dei macrofattori

Macro fattori Glossario

Hazard (Pericolosità)

Probabilità di accadimento di un fenomeno potenzialmente dannoso (ad esempio, un evento metereologico estremo) in un’area e periodo di tempo di riferimento

Vulnerability (Vulnerabilità) Propensione degli elementi e risorse in esame a essere inte- ressati negativamente da eventi singoli o a catena

Exposure (Esposizione) Misura della presenza e consistenza di elementi o risorse vulnerabili nell’area e nel periodo di tempo di riferimento

Consequence (Conseguenza)

Effetti su elementi o risorse di interesse dovuti all’interazione degli eventi climatici pericolosi che si presentano entro uno specifico periodo di tempo e alla vulnerabilità ed esposizione di tali elementi o risorse.

E’ ormai ampiamente riconosciuto a livello mondiale che i responsabili delle variazioni in atto nel sistema climatico sono i gas serra o gas climalteranti (GHG, green house gases) la cui origine ha cause sia naturali sia, soprattutto, antropiche.

La componente naturale non può essere controllata a livello di pianificazione.

La componente antropica, legata ai processi e alle attività che si svolgono negli inse- diamenti umani e alle trasformazioni operate dall’uomo sul contesto ambientale può essere gestita attraverso la riduzione dei consumi, l’aumento dell’efficienza di usi e processi responsabili delle emissioni o l’incremento delle forme di produzione di ener- gia a emissioni basse o nulle.

Gli ultimi anni sono stati caratterizzati da sempre maggiori sfide in cui gli enti locali e territoriali hanno dovuto fronteggiare il problema del contenimento di queste emissio- ni coinvolgendo direttamente la pianificazione territoriale.

Basti ricordare il susseguirsi, ancora in corso, dei progetti denominati smart cities e

transition town sviluppati nell’ottica di una riorganizzazione dei sistemi dell’energia e

della mobilità. Un’altra iniziativa di particolare rilevanza è il Patto dei Sindaci pre- sentata come “la più vasta iniziativa urbana su clima ed energia” (Canete, 2014). Il Patto vede, infatti, coinvolte migliaia di autorità locali e regionali impegnate su base volontaria a raggiungere sul proprio territorio gli obiettivi UE per energia e clima co- me ridurre le emissioni di CO2 di almeno il 40% entro il 2030 e adottare un approccio integrato per affrontare la mitigazione e l’adattamento ai cambiamenti climatici.

Nel 2015 questa iniziativa, prima rivolta tendenzialmente ad obiettivi di mitigazione delle emissioni, è stata rafforzata attraverso il riconoscimento dell’adattamento a livel- lo urbano tra i pilastri del Patto. E’ stato quindi costituito un nuovo Patto dei Sindaci integrato per l’energia e il clima i cui pilastri sono: mitigazione, adattamento ed ener- gia sicura, sostenibile e alla portata di tutti.

Queste iniziative che coinvolgono per lo più enti locali su base volontaria testimoniano la consapevolezza globale che l’organizzazione della città ha effetti rilevanti sulle cau- se delle emissioni climalteranti.

Per citare qualche esempio, la distribuzione spaziale dei sistemi urbani e territoriali influisce sull’organizzazione del sistema dei trasporti come la morfologia urbana ha conseguenze dirette sul fabbisogno energetico e sui consumi.

Negli ultimi anni il consumo di suolo, in particolare, ha attirato sempre maggiore at- tenzione per il suo effetto potenzialmente negativo sulla mitigazione e sull’adattamento in termini di riduzione del verde e aumento dei suoli impermeabiliz- zati.

GHGs Origine naturale Origine antropica

H2O Evaporazione dalle fonti idriche Basso impatto su evaporazione in at- mosfera

CO2

Decomposizione delle piante, eru- zioni vulcaniche, incendi, respira- zione animale

Combustione di combustibili fossili per mobilità veicolare, riscaldamento, pro- duzione di energia elettrica, processi industriali, deforestazione

CH4

Decomposizione causata da batteri anaerobi che si nutrono di materie organiche (zone paludose)

Attività mineraria e sfruttamento dei combustibili fossili, allevamento di be- stiame, combustione di biomasse N2O Oceani, foreste pluviali e batteri che

vivono nel suolo

Fertilizzanti a base di nitrati, combu- stione di combustibili fossili

CFC Gas non naturali

Propellenti negli spray, refrigeranti, agenti

schiumogeni per produzione di imbal- laggi, manifattura alluminio, industria elettronica,

estintori, solventi chimici O3 Creato e distrutto dall’azione della

luce solare sull’ossigeno molecolare

Prodotto come inquinante secondario nei processi di inquinamento atmosfe- rico propri delle aree urbane

Fonte: WWF

I concetti delineati sopra riguardo alle origini naturali e antropiche del cambiamento climatico sono utile per introdurre il concetto di rischio climatico.

Il rischio relativo agli impatti climatici deriva, infatti, dall’interazione tra gli hazard climatici (come gli eventi metereologici potenzialmente dannosi o i trend climatici a cui viene riconosciuto un certo grado di pericolosità) e la condizione di vulnerabilità e di esposizione che caratterizza gli elementi di interesse del sistema in esame.

La probabilità dell’accadimento di un evento metereologico potenzialmente dannoso quindi la sua pericolosità è per lo più dipendente dalle condizioni climatiche su cui agiscono i gas climalteranti (naturali e antropici) e il grado attuale di mitigazione (an- che se le misure di mitigazione attuali possono avere riscontri nel breve periodo sul micro clima locale ma i risultati più evidenti saranno visibili lungo periodo).

Le condizioni “a terra” dipendono, invece, dalle scelte di governo e gestione del territo- rio, largamente influenzate dallo sviluppo urbano.

Di conseguenza i cambiamenti che coinvolgono il sistema climatico o i processi socioe- conomici sono i drivers principali delle tre componenti (hazard, vulnerabilità ed espo- sizione) che definiscono l’entità del rischio climatico.

In base alla letteratura più recente, infatti, i rischi di natura climatica non dipendono esclusivamente da modifiche nella variabilità stagionale ma riflettono interazioni più complesse tra caratteristiche antropiche del sistema in esame (ad esempio sviluppo so- cioeconomico), caratteristiche ambientali e naturali e hazard derivanti dallo stato at- tuale del clima (UNISDR, 2011; IPCC, 2012a).

Figura 3.8 – Schema dell’interazione tra hazard, esposizione e vulnerabilità all’origine del rischio climatico (fonte IPCC, 2014)

Il riconoscimento del contributo che ogni componente ha nel definire l’entità del rischio è un avanzamento recente nella letteratura e costituisce un’opportunità per evidenzia- re quanto il ruolo del governo del territorio integrato con l’adattamento nell’ottica del- la prevenzione dei rischi sia centrale nella gestione degli impatti climatici.

In base a questa nuova prospettiva, la stima del rischio è strettamente collegata all’analisi delle condizioni locali di vulnerabilità ed esposizione, proprie di una data area in un dato periodo di tempo di riferimento.

La conoscenza del contesto di riferimento in questi termini determina l’importanza di un aggiornamento delle attuali analisi conoscitive che devono essere riorientate per avviare una rilettura del territorio (e dei dati già disponibili) per evidenziarne le pos- sibili criticità che possono costituire fattori di vulnerabilità.

Inoltre, l’introduzione della stima del rischio permette l’adozione di metodi qualitativi o quantitativi per l’analisi della combinazione tra differenti hazard e criticità territo- riali. Ciò rende possibile avere dati di riferimento più validi per decidere razionalmen- te le priorità operative di azione di gestione per aree e tempi.

Figura 3.10 – come la pianificazione può incidere sull’entità del rischio climatico

La valutazione e gestione del rischio coinvolge, quindi, due sistemi complessi.

Da un lato il macro fattore climatico la cui indagine implica l’indagine in termini di pericolosità degli eventi estremi per l’area e le risorse in esame e dei suoi possibili im- patti diretti sul territorio.

A questa prima panoramica bisogna integrare l’analisi delle condizioni preesistenti del territorio in esame. Questo passaggio permette di identificare e stimare le conseguenze potenziali sulla base degli hazard individuati e di quanto il loro effetto può essere au- mentato o mitigato “a terra”. Ad esempio una strategia di adattamento preventivo che incide su una gestione più accorta degli usi del suolo può garantire risultati efficaci in termini di mitigazione delle alluvioni e benessere in termini di confort termico.

Il cambiamento climatico non è, quindi, considerato un rischio di per sé.

Al contrario, ragionare in termini di rischi significa introdurre lo studio delle dinami- che e dell’interazione tra clima e territorio. Ciò implica una visione più costruttiva del- la questione climatica, orientata all’opportunità di evidenziare gli spazi di azione per la pianificazione a partire dall’aggiornamento dei proprio strumenti.