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La pratica della ricerca, così come molti anni di contatti e di esperienza con programmi e istituzioni di partecipazione suscitata, consentono di porre cru­ damente questa domanda circa il « perché » delle ricerche. Cerchiamo di rispondervi francamente. Anzitutto vanno fatti tre rilievi: in primo luogo la domanda posta in tal modo non intende affatto mettere in dubbio l’utilità della conoscenza scientifica, né il ruolo che la scienza può svolgere per aiutarci a risolvere certi problemi. Tuttavia non ci interessano qui i ruoli possibili della scienza per aiutare lo sviluppo partecipativo, ma il suo ruolo e la sua utilizzazione concrete attuali. Ciò che essa dovrebbe o potrebbe essere, non è oggetto di questa analisi, che si interessa unicamente degli impieghi attuali della scienza.2 Secondo rilievo: è superfluo dire che ci occuperemo soltanto dei rapporti delle scienze sociali, e più in particolare della ricerca sociologica, con lo sviluppo partecipativo. Gli impieghi di questa stessa ricerca in altri settori non ci interessano. Infine, terzo punto, ci atterremo, nell’insieme di questo rapporto, alla distinzione fatta precedentemente, tra ricerca e operazioni 0 inchieste.

Una volta posti questi limiti, successivamente ci porremo di fronte ai quesiti seguenti: anzitutto dovremo mostrare che, quali che possano essere le loro pretese e i loro tentativi di affinamento di metodi e procedure, i diversi approcci dello sviluppo partecipativo non costituiscono delle scienze. Inoltre, vedremo alcune utilizzazioni della ricerca e delle inchieste nello sviluppo partecipativo. Fatto ciò, occorrerà chiederci quali differenze esistono tra le scienze esatte e le scienze sociali, differenze che, riteniamo, spiegano in parte alcune delle difficoltà di un approccio più scientifico nel settore in questione. Infine, per terminare, dopo esserci domandati se in fin dei conti le scienze sociali, e soprattutto la sociologia, non siano già abbastanza sviluppate da essere in grado di rispondere alle domande che gli operatori pongono loro, cercheremo di definire il ruolo che queste stesse scienze potrebbero forse veramente svolgere.

La pretesa scientifica dello sviluppo partecipativo

Da molti anni, ormai, si constata la tendenza di certi approcci dello svi­ luppo partecipativo a voler passare per metodi scientifici: è questo soprattutto il caso di certe correnti dello sviluppo comunitario, nord americano in specie, e del lavoro sociale. In questo spirito, si è fatto uno sforzo per concettualizzare 1 caratteri specifici di tali approcci, per approfondire e analizzare i metodi e le procedure. Il più delle volte questi tentativi riescono soltanto a complicare il vocabolario (si pensi, per esempio, alla ricercatezza che circonda tutto ciò che riguarda il lavoro in piccoli gruppi), ma non riescono ad influenzare quello che è il fine e il ruolo dell’approccio stesso: suscitare la partecipa­

zione. Come vedremo, questi tentativi si spiegano in gran parte col desiderio dei responsabili di conferire un maggior prestigio al loro lavoro e con una aspirazione di status.

Se lasciamo da parte questi sforzi di concettualizzazione e il loro appesanti­ mento terminologico, possiamo osservare che tutti questi approcci sono carat­ terizzati da una serie di giudizi di valore sull’uomo, sulle sue possibilità di agire, sul modo di governare la città, e soprattutto, trattandosi di provocare una partecipazione, sugli obiettivi di questa partecipazione, e, in modo più generale, su quello che è desiderabile che « la gente » sappia, pensi e faccia. Questi giudizi di valore sono perfettamente sostenibili, personalmente li ritengo stimabili; ma — diciamolo pure — non hanno niente a che vedere con la scienza e con i giudizi di fatto che ne sono la caratteristica. Sarebbe anzi molto interessante sottoporre ad una analisi scientifica i giudizi di valore degli approcci partecipativi. A mio avviso starebbe proprio qui, d’altronde, il contri­ buto più importante del sociologo a questo tipo di procedimento. E’ un punto sul quale converrà ritornare.

Il semplice fatto di pensare, e di auspicare, che la partecipazione debba essere

suscitata a vantaggio dello sviluppo, costituisce, beninteso, il giudizio di valore che sta alla base di tutti gli altri. E’ d’altra parte interessante sottolineare come tale giudizio, formulato dalle classi agiate nei paesi latino americani — quelle da cui provengono i responsabili degli approcci partecipativi — sia in contraddizione con lo sviluppo che si trova all’origine del loro benessere materiale. In altri termini, società il cui sviluppo non ha avuto niente a che fare con la partecipazione popolare, che si limitavano a tollerarla (quando la tolleravano) in alcune istituzioni come i sindacati, e che la costringevano nei limiti angusti della rivendicazione, queste stesse società si propongono oggi, esattamente al contrario, di suscitare da parte della popolazione una partecipa­ zione attiva, intelligente, coordinata, ecc.

L’osservazione e i lunghi contatti con l’azione di istituzioni miranti a suscitare la partecipazione, ci dimostrano che, lungi dall’essere scientifica, questa azione è soprattutto frutto di considerazioni tattiche e politiche. Anzi c’è di più: si constata, il più delle volte, che persino le inchieste e le informazioni di tipo scientifico non hanno gran parte nella presa delle decisioni. In altri termini, come detto in precedenza, non soltanto la scienza non ha niente a che vedere con le decisioni (la scienza, d’altronde, non prende decisioni e non spinge a prenderne), ma, quel che più conta, le basi scientifiche sulle quali le decisioni potrebbero fondarsi, sono molto spesso ignorate e trascurate. Difatti, che cosa osserviamo? anzitutto che l’azione dei responsabili — e ciò è tanto più vero quanto più si sale nella loro gerarchia — è il più delle volte di tipo del tutto politico. Più sono vicini al potere, più occupano il loro tempo a cercare di « vendere » la loro idea della partecipazione, a conciliarla (e quindi a com­ prometterla politicamente) con altre, a trovare risorse sempre insufficienti che

li porteranno ad accentuare o a piegare la loro azione per ragioni talora total­ mente estranee a questa azione stessa.

Per converso, se consideriamo l’azione dei responsabili a un livello meno elevato della gerarchia delle istituzioni di partecipazione, vediamo che questa azione tende di più a tener conto delle informazioni di tipo scientifico. Frequen­ temente, soprattutto ai livelli intermedi della gerarchia, i responsabili dimostrano una effettiva preoccupazione di utilizzare informazioni obiettive, di fondare le loro decisioni su inchieste e osservazioni imparziali. 11 più delle volte, questa loro volontà viene però a trovarsi imbrigliata dalle consegne ricevute dai gradi superiori, cosicché il loro ruolo si limita a tentar di trovare i compromessi più efficaci tra gli obiettivi del loro lavoro e le deviazioni che le contrattazioni politiche fanno loro subire. In tal modo, dunque, ci troviamo assai spesso di fronte alla seguente contraddizione: tanto più è grande il potere decisionale di un responsabile, tanto meno le sue decisioni tendono a fondarsi su informa­ zioni obiettive (vedremo che le scienze sociali sono del resto ancora lontane dal poter fornire informazioni utilizzabili a questi livelli più elevati).

Nel complesso, i differenti approcci della partecipazione allo sviluppo non hanno niente a che vedere con la scienza, anche se cercano di fondare le loro decisioni su informazioni e considerazioni di tipo scientifico. Al contrario, si ispirano all’arte di operare con gli uomini, di influenzarli, di stabilire una buona intesa con loro, di farli esprimere, di manipolarli, ecc. Essi appartengono alla categoria delle « arti di società » nello stesso senso in cui nel XVIII secolo si intendeva il « vivere in società ». Ovvero, se il termine « arte » può impres­ sionare, si tratta di tecniche politiche, nel senso nobile del termine, quello usato dai greci quando parlavano del governo della città.

Dire che gli approcci partecipativi sono arti o tecniche, i cui risultati dipendono fortemente dal talento, dalla personalità degli animatori e dei respon­ sabili, non costituisce affatto un giudizio peggiorativo; le nostre società non hanno forse bisogno che qualcuno ricordi loro i diritti degli individui, i ruoli dei cittadini e i doveri della società nel suo insieme, rispetto a certe categorie? Ritengo che tali obiettivi siano altamente lodevoli, e quasi sarebbe giusto mera­ vigliarsi se gli animatori e responsabili degli approcci partecipativi tentassero di trovare altre legittimazioni al loro agire. Una risposta a questo quesito ci sarà data precisamente dalla analisi di alcune delle funzioni delle scienze in questi procedimenti in funzione della partecipazione.

Alcune funzioni delle scienze sociali negli approcci partecipativi

La funzione delle scienze sociali negli approcci partecipativi non ha niente a che vedere con le utilizzazioni di concetti e tecniche; su questo piano avremo occasione di indicare alcuni problemi in seguito. Quel che ci interessa ora

sono le utilizzazioni per così dire indirette, i ruoli latenti della scienza sociale in materia di promozione della partecipazione. L’elenco che segue non è, del resto, limitativo.

(a) La scienza sociale come elemento rassicurante. — In questo ruolo primario,

che si attribuisce alla scienza, non è tanto la ricerca che è in causa, quanto le sue operazioni, ed in particolare le inchieste. Qual’è il ricercatore che non ha mai provato il sentimento di sicurezza che emana da una serie di cifre, dal risultato di un calcolo di correlazione, da un livello soddisfacente di probabilità? Poter basare le proprie asserzioni su delle cifre, tradurre un pensiero esistente e approssimativo nel linguaggio (o quanto meno nei segni) della matematica... tutto questo spesso non ha altro effetto che di renderci più sicuri, quando non ha direttamente quello di trarci in inganno.

Questo stesso fenomeno lo troviamo negli approcci partecipativi, dove esso è ancor più sviluppato, e per due ragioni: da una parte per il fatto che coloro che manipolano le cifre, in generale non hanno una formazione di ricercatori (anche se sono dei buoni operatori e inchiestatori) e una abitudine al dubbio sistematico, e, conseguentemente, tendono ad accordare alle cifre maggior senso e certezza; d’altra parte, perché trovare delle giustificazioni ad una azione è ancora più importante e più necessario che verificare una ipotesi senza conse­ guenze pratiche: di qui il bisogno più forte di sicurezza e di tecniche e cifre rassicuranti. Il fatto che le cifre dalle quali deriva la sicurezza non siano molto spesso affidabili, è un altro problema che vedremo in seguito, quando esamineremo ciò che le nostre scienze sociali possono realmente offrire agli animatori e responsabili.

Questo bisogno di sicurezza negli animatori e responsabili è estremamente forte, e ci spiega in parte (giacché vanno tenuti presenti anche altri fattori) la popolarità delle inchieste, dei censimenti, delle osservazioni, dei sondaggi, ecc. In effetti si ha l’impressione che queste operazioni siano diventate condizioni indispensabili per ogni approccio partecipativo. Si osserva inoltre che la for­ mazione data agli animatori circa questi approcci consiste, il più delle volte, nel familiarizzarli con tali operazioni, a tal punto e così bene che le istituzioni incaricate di questa formazione finiscono per essere delle specie di istituzioni di formazione ai sondaggi, alle inchieste, ecc., delle specie di centri di inchiesta.

Di proposito non impiego in questo caso l’espressione « centri di ricerca » poiché — ed è fondamentale — quel che viene qui insegnato e praticato sono meno la formazione e l’atteggiamento verso la ricerca, che non le tecniche di inchiesta. Ora, senza questo atteggiamento di ricerca, simili operazioni hanno scarso senso sul piano scientifico (anche se hanno un senso, e assai rilevante, sul piano della pratica).

Si può andare oltre, e domandarsi se la funzione rassicurante delle operazioni di ricerca non si opponga all’atteggiamento di dubbio sistematico, e di incessante rimessa in discussione, che è l’atteggiamento fondamentale del ricercatore.

Avremo occasione di ritornare su questo punto a proposito della odierna fede nelle virtù della scienza, credenza assai diffusa nelle istituzioni di partecipa­ zione, ma anch’essa forse in contraddizione con l’atteggiamento del ricercatore. La rassicurazione cercata nelle operazioni, nelle inchieste, non è tuttavia un atteggiamento voluto, deliberato. In altri termini, non si cerca deliberatamente di trovare delle cifre per sentirsi più sicuri (anche se questo è il risultato), l’animatore e il responsabile sono irr generale onesti; anche se sono tratti in inganno dalle cifre, essi si illudono senza volerlo. Tuttavia questo non esclude l’utilizzazione deliberata della scienza sociale come paravento; è quello che vogliamo dire ora.

(b) La scienza sociale come paravento. — Cominciamo con una constatazione

ben nota: quando i nostri parlamenti, o qualunque altra istituzione democratica, si rifiutano di prendere una decisione, nominano una Commissione destinata a studiare la questione al fine, sostengono, di meglio mettere a fuoco il pro­ blema. Un atteggiamento dello stesso tipo si ritrova nelle istituzioni di parte­ cipazione, dove le inchieste hanno il fine di ritardare le decisioni. Le inchieste, si dice, permetteranno di comprendere meglio il problema, e di fondare meglio l’azione. Di fatto, esse permettono di dilazionare, di soddisfare la buona coscienza di coloro che reputano l’azione prematura, o che vi si oppongono; per converso, rispetto a coloro che auspicherebbero una azione rapida, la deci­ sione di procedere a delle inchieste non può minimamente essere contestata, tanto forte è il prestigio della scienza: contestare il ritardo nell’azione, equivar­ rebbe in effetti a contestare l’utilità di una azione fondata su criteri scienti­ fici, ecc.

Conosciamo tutti le situazioni in cui le inchieste costituiscono in ultima analisi dei pretesti alla inazione. La scienza diventa allora il paravento di precise intenzioni politiche. Da questo punto di vista, non è inutile ricordare quel che Germani chiama Teffetto di fusione, o incorporazione, dei nuovi valori — e precisamente nel nostro caso, di quelli della scienza — al sistema delle norme tradizionali. La scienza viene in tal modo accaparrata, e serve al mante­ nimento dello status quo.

Possiamo dunque osservare che l’atteggiamento rispetto alla scienza sociale, anche se questa viene considerata soltanto sotto il profilo delle inchieste, non è chiaro. L’accaparramento della scienza, il suo « recupero da parte del sistema », per impiegare una terminologia che i contestatori del 1968 hanno reso di moda, dimostra che essa è considerata come un mezzo, fra gli altri, per manipolare gli uomini, per influenzarli. Essa, dunque, è un altro aspetto della politica. Un simile atteggiamento è piuttosto caratteristico degli ambienti legati alla società tradizionale e alle sue lotte politiche. Un altro atteggiamento, del resto non più chiaro è quello che segue, caratteristico, invece, dei settori moderni della società.

(c) La scienza come fede. — In questo caso la scienza prende il posto della religione, e, come questa, diventa oggetto di devozione: possiede i suoi testi sacri (si pensi ad esempio al valore biblico di certi testi marxisti), le sue liturgie (le inchieste), le proprie finalità (la scienza al servizio dell'uomo, ad esempio). Un simile atteggiamento mi sembra caratteristico dei settori moderni delle società in via di modernizzazione, ed è una manifestazione della secola­ rizzazione: la religione che se ne va lascia il posto alla scienza, che, anch’essa, soddisfa il bisogno di religiosità nel momento della transizione dal tradizio­ nale al moderno. Per inciso, ci si può domandare se il positivismo del secolo scorso, nato precisamente nel momento della rivoluzione industriale europea, non sia da considerare come un primo esempio di questo fenomeno (sarebbe ad esempio il caso del comtismo e del saintsimonismo, nei loro tentativi di deificazione della scienza).

E’ soltanto col tempo che la scienza si libera dei suoi testi sacri, delle sue liturgie e delle sue finalità sociali, e persino, in seguito, dell’idea di essere al servizio dell’uomo. Penso che le società latino-americane si trovino appunto in questa fase di transizione: le loro élites intellettuali — e soprattutto le più nuove, che provengono dalle classi medie e sono in reazione più o meno violenta (segno della loro religiosità) contro la religione tradizionale — credono since­ ramente che la scienza le aiuterà a fondare meglio le loro azioni, e in parti­ colare quelle miranti a suscitare la partecipazione popolare.

Tale atteggiamento non è del resto nocivo, come concezione della vita e dell’azione, né è mio proposito di criticarlo. Ma di conseguenza, ed è qui che derivano le difficoltà, la fiducia e persino la fede nella scienza vengono spostate sulle inchieste; e la confusione tra la scienza e le sue operazioni è tanto più grave in quanto gli operatori o inchiestatori non hanno una formazione suffi­ ciente che permette loro di cogliere il ruolo delle inchieste come una delle fasi del procedimento scientifico. Vedremo più avanti che questa fiducia nelle inchieste e nelle altre operazioni di raccolta dei dati e di analisi dell’informa­ zione non è giustificata, soprattutto dato il carattere molto grossolano degli strumenti di queste operazioni.

A questo punto conviene denunciare anche la credenza secondo cui la scienza è al servizio dell’uomo, e ne assicura il miglioramento. Le scoperte, i risultati della scienza sono neutri, e possono essere utilizzati « per il bene o per il male » (secondo l’espressione consacrata). In altri termini, la scienza non permetterà a colui che lavora nella pratica di prendere le decisioni da sé, né le prenderà per lui, e non gli dirà niente su ciò che bisogna o non biso­ gna fare.

(d) La scienza come sostituto del militantismo. — Quel che abbiamo or ora rilevato, ci porta direttamente a considerare un altro ruolo che si desidera far svolgere alla scienza. Così come non fornisce indicazioni su quel che bisogna fare o non fare, la scienza non fornisce motivazioni all’azione. In altri termini,

per quanto riguarda la pratica volta a suscitare la partecipazione, la scienza non si sostituisce al militantismo e non crea dei militanti.

Il ruolo, invece, che troppo spesso si intende farle svolgere è quello di sostituto dell’idealismo militante. Ed è proprio qui che risiede la differenza, sulla quale del resto ritorneremo, tra il militante e l’animatore, dove il primo, mosso da una forza interiore è autodiretto (secondo l’espressione di David Rie- smann), mentre l’animatore non possiede questa forza, questa spinta, e cerca di sostituirla con la formazione. Mentre il militante si preoccupa poco della formazione, e trova in se stesso una sufficiente forza di convinzione per tra­ scinare gli altri, spesso senza ricorrere a grandi tecniche, oppure con tecniche fatte di astuzie e di carisma naturale, l’animatore al contrario si trova a dipendere dalle sue tecniche atte a suscitare la partecipazione, dalle inchieste, dalla sua fede nella scienza, tutte cose che non bastano — è purtroppo una constatazione che facciamo quotidianamente — a fare di lui un leader.

A questo punto è interessante, d’altra parte, constatare la contraddizione di una società come quella del Venezuela, la cui economia si è finora svilup­ pata in modo del tutto anarchico, dove la scienza economica e sociale, e la ricerca in questo campo, non hanno avuto un ruolo se non molto secondario, dove il fiuto, lo spirito di lucro, il gusto dell’iniziativa, sono state le moti­ vazioni essenziali e i criteri di successo e di prestigio. Ora, questa stessa società desidererebbe che lo sviluppo del suo settore marginale avvenisse attualmente con l’aiuto di una scienza che nel corso del proprio sviluppo ha sempre ignorato, e che continua ad ignorare. Nella misura in cui il ruolo che si attribuisce oggi alla scienza non è uno di questi paraventi di cui parla­ vamo prima, bisogna constatare che le si assegna il ruolo di fornire agli animatori della partecipazione un insieme di tecniche che possa essere para­ gonabile al fiuto e allo spirito di iniziativa degli imprenditori del settore sviluppato. In altri termini, la scienza dovrebbe fornire agli animatori quel che manca loro per diventare dei militanti o degli imprenditori.3

(e) La scienza come elemento di status. — Prendendo come esempio la

società venezuelana, dove le possibilità di ascesa sociale nel mondo dell’impresa e dell’economia tendono a ridursi (mentre la massa degli aspiranti alla pro­ mozione tende al contrario ad aumentare), e dove la funzione pubblica non gode che di scarsa considerazione, il possesso di una tecnica scientifica costi­ tuisce un nuovo elemento di prestigio. La tendenza del resto non è propria del Venezuela, e la si ritrova in numerosi paesi; per quanto riguarda il nostro campo, pensiamo ai tentativi da parte della partecipazione provocata per affinare le sue tecniche, per acquisire concetti presi in prestito dalle scienze sociali, per sviluppare un linguaggio esoterico, tutti elementi che,

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