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piccola certezza, non dico tanta, però almeno li tiene occupati (…) qui c’è poco da fare, c’è poco

divertimento, poco sfogo.

(M., 23 anni)

Il percorso all’interno dei circuiti della giustizia

L’entrata nel circuito della giustizia minorile spesso rappresenta un’opportunità per

riprendere i percorsi abbandonati: per molti ragazzi, spesso “adultizzati”, il percorso penale rappresenta una parentesi per colmare dei vuoti e acquisire quelle competenze minime che consentono loro di costruire un futuro migliore, o anche solo “pensarsi” in maniera differente.

«Li incontriamo, li troviamo incapaci anche solo di fare la loro firma, incapaci di leggere e scrivere, quindi non solo analfabeti come si intende oggi che non capiscono un concetto scritto (che quello è già purtroppo molto facile trovarli) ma proprio che non sanno leggere e scrivere, (…) imparano quando vanno in IPM perché lì poi c’è l’esigenza di scrivere a casa e quindi c’è questa motivazione.

La situazione quindi è veramente catastrofica.»

(Operatrice GM) Un intervento molto importante che riguarda l’inclusione socio-lavorativa dei ragazzi

presi in carico dai Servizi della Giustizia Minorile è quello che viene dedicato ai percorsi di orientamento, attraverso il coinvolgimento di associazioni, cooperative e agenzie del lavoro, con l’obiettivo di far acquisire una maggiore consapevolezza rispetto alle proprie capacità, potenzialità e passioni, stimolando una dimensione progettuale che spesso manca a questi ragazzi. Trasmettere un’idea differente del lavoro che non riguarda soltanto una dimensione strettamente strumentale, connessa esclusivamente alla retribuzione, ma anche far emergere, ascoltare e soddisfare un bisogno di gratificazione personale, ancor più importante in chi ha accumulato esperienze di insuccesso e frustrazione nel sistema scolastico e formativo. Allargare l’orizzonte rispetto ai “mestieri possibili” e ai percorsi formativi richiesti, confrontarsi sugli aspetti legati alla sicurezza e al lavoro regolare, significa tante cose: offrire un supporto concreto rispetto alla ricerca del lavoro, porre le basi per un percorso di crescita dalla grande valenza educativa e, al contempo, promuovere un diritto alla cittadinanza.

«Ci confrontiamo su quali sono i mestieri che una persona può e vuol fare, perché nella maggior parte dei casi, quando tu parli con questi ragazzi, loro ti dicono “per me qualunque lavoro va bene, se mi arriva l’offerta dal vicino di casa o dall’amico di famiglia, qualunque cosa, pure raccogliere le olive, basta che ho un guadagno immediato”. Il lavoro legale, illegale, rischioso, non fa differenza.

A qualsiasi cosa dicono di sì, per avere dei soldi veloci e facili. Il problema è che questi ragazzini non si interrogano su quello che vogliono. Le loro competenze non sono critiche dunque non gli consentono di fare una valutazione o di scegliere realmente. Noi stiamo cercando di aiutarli proponendo anche un percorso molto pratico. Gli facciamo cercare annunci di lavoro, facciamo le simulazioni dei colloqui, gli facciamo scrivere il curriculum.»

(Operatrice privata sociale)

Non è un gioco Indagine sul lavoro minorile in Italia2023 I percorsi di orientamento proprio perché si basano sull’attivazione dei beneficiari in una riflessione “critica” che prende spunto da un’analisi delle esperienze scolastiche, formative e lavorative passate, molto spesso fallimentari e dolorose, richiedono la costruzione di un setting accogliente e operatori/trici qualificati/e che siano in grado di “parlare” a questi ragazzi, non sottovalutando gli aspetti educativi che via via emergono. Si tratta dunque di interventi che richiedono un sapere tecnico-specialistico che non possono prescindere dalla dimensione educativa e relazionale.

«A volte mi capita di essere un po’ l’anello di congiunzione tra il ragazzo, l’assistente sociale, la famiglia, l’educatore e quant’altro e questo rafforza la relazione…laddove c’è la possibilità, li accompagno personalmente nei vari servizi, e questo fa la differenza. Allo stesso tempo gli offri e gli dai la possibilità di conoscere il territorio e di acquisire delle risorse. Il fuori sta cambiando velocemente, cioè ad esempio anche la famosa iscrizione al Centro per l’impiego prima non era così complicata come ora. I minori stranieri, ad esempio, hanno bisogno del permesso di soggiorno, se ce l’hanno poi addirittura devono attivare lo SPID. Ecco noi accompagniamo questi ragazzi ad attivarsi.»

(Operatrice privata sociale) Sono tante le esperienze di successo che sono state raccolte grazie al confronto tra i

partecipanti che riguardano l’inserimento nel mondo del lavoro dei ragazzi del circuito penale, attraverso in particolare lo strumento del tirocinio formativo. I focus group hanno consentito di analizzare quali sono stati i fattori che hanno favorito il raggiungimento degli obiettivi prefissati e che si sono concretizzati in un’assunzione, ma anche a partire dalle esperienze di insuccesso comprendere cosa non ha invece funzionato, tanto rispetto alle difficoltà di adattamento dei ragazzi al nuovo contesto aziendale, quanto rispetto alle criticità affrontate dalle aziende coinvolte. In generale quello che emerge dall’analisi di queste storie è l’importanza di un accompagnamento educativo in ogni fase dell’esperienza del tirocinio, che non guardi esclusivamente all’inserimento in azienda come unico obiettivo del progetto, bensì che ponga attenzione anche al sistema di relazioni dei giovani (rete familiare, amicale, quartiere, ecc.), la selezione delle imprese disponibili, un accompagnamento a partire dalla fase di “preparazione” vera e propria, per continuare nelle azioni di monitoraggio e valutazione coinvolgendo datori di lavori e tutor aziendali.

Altro aspetto fondamentale è l’importanza di un’attività di sensibilizzazione della comunità che accoglie questi ragazzi.

«Io parlerei di presa in carico a livello proprio sistemico, perché altrimenti un tirocinio rimane fine a se stesso e non serve a nessuno. Quindi, se il procedimento penale rappresenta un’opportunità e molti ragazzi e molte famiglie riconoscono questa opportunità, è bene che comunque ci sia una presa in carico di rete. La formazione per i ragazzi, formazione per le aziende, formazione anche per gli operatori dei Centri per l’impiego, perché è importante che ci sia questa presa in carico attenta. Quindi è importante che ci sia una conoscenza reciproca di ruoli e funzioni e che ci sia anche il rispetto dei ruoli, perché poi i ragazzi fanno anche presto a distruggere quello che a fatica costruiscono nel tempo, quindi la formazione è assolutamente alla base. E perché no, anche delle campagne di sensibilizzazione, perché noi ci scontriamo molto col pregiudizio. La gente è spaventata.»

(Operatrice privata sociale)

FOCUS SUI MINORI NEI CIRCUITI DELLA GIUSTIZIA PENALE È necessaria una prontezza e una flessibilità di risposta da parte dei Servizi della Giustizia per orientare percorsi di inclusione “integrati” con le altre realtà territoriali del pubblico e del privato sociale, che siano efficaci e producano un cambiamento, anche oltre il tempo in cui i ragazzi transitano nel circuito penale.

«Occorre costruire sempre più percorsi dove è presente la figura del cosiddetto community maker, cioè quello che prende questi ragazzi, li accompagna in tutta la filiera, dando il senso a percorsi formativi e lavorativi pensati ad hoc. Bisogna evitare che le difficoltà e le fragilità generino elementi espulsivi e una parcellizzazione degli interventi, integrando ogni aspetto con i tempi di un progetto. Spesso la richiesta del mercato è “ho bisogno di qualcuno che sia preparato, che lavori subito”. La funzione del community maker è anche quella di dire “guarda questa roba qua non la trovi in pancia, né dentro il penale, né dentro il civile, ma neanche nel mondo della scuola”.

Occorre capire e individuare strategie che siano compatibili con le fragilità di questi ragazzi.»

(Operatore privato sociale)

Non è un gioco Indagine sul lavoro minorile in Italia2023