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L A POLITICA ITALIANA TRA LA RICERCA DEL DIALOGO E LE NUOVE TENSIONI IN

EUROPA

Sommario: 1. La NATO in crisi: i progetti di Gronchi per la riunificazione tedesca e per un rilancio dell’Alleanza 2. I messaggi di Bulganin e la posizione italiana sul disarmo 3. Nuove tensioni tra i blocchi: l’intervento italiano sulla crisi ungherese 4. La difficile ripresa del dialogo sul disarmo 5. Roma e le nuove proposte per il disarmo e la sicurezza: il Piano Rapacki e le iniziative di Bulganin

La NATO in crisi: i progetti di Gronchi per la riunificazione tedesca e per un rilancio dell’Alleanza

L’elezioni di Giovanni Gronchi a terzo Presidente della Repubblica pesò notevolmente sugli equilibri della vita politica italiana nella seconda metà degli anni ’50 sia sul piano interno che su quello internazionale, e non solo per le particolari circostanze che portarono alla sua elezione (ossia l’appoggio determinante dei voti socialisti) ma anche per la sua conclamata reticenza a limitarsi a svolgere quel ruolo prettamente formale che la nuova carica gli imponeva.

Un primo inconfondibile segnale della volontà del nuovo Capo dello Stato di incidere soprattutto sulla politica estera del Paese, influenzandone direttamente gli orientamenti e i rapporti tanto verso gli alleati occidentali quanto verso il mondo comunista, venne offerto dalla convocazione del 14 novembre al Quirinale di tutti gli ambasciatori accreditati presso le principali capitali per confrontarsi sui possibili effetti dell’ormai scontato insuccesso di Ginevra, con particolare riferimento a tre determinate questioni: la crisi mediorientale, l’ammissione di nuovi Stati all’interno delle Nazioni Unite, le relazioni Est – Ovest, soprattutto riguardo il problema della sicurezza e dell’unificazione tedesca482.

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Alla riunione parteciparono, oltre al Presidente della Repubblica Gronchi, il Presidente e il vicepresidente del Consiglio Segni e Saragat, il ministro degli esteri Martino e i seguenti ambasciatori: Quaroni (Parigi), Zoppi (Londra), Brosio (Washington), Grazzi (Bonn), Di Stefano (Mosca), Alessandrini (Consiglio Atlantico), insieme ai Sottosegretari per gli Affari Esteri on. Badini Confalonieri, on. Del Bo, on. Folchi e al Segretario Generale del Ministero degli Affari Esteri ambasciatore Rossi Longhi. Sui vari interventi all’interno della riunione Is. St. Fondo Gronchi (d’ora in poi F. Gr.) sc. 24, fasc. 130, Roma 14 novembre 1955

Proprio su quest’ultimo punto nacquero fra il Presidente Gronchi e gli altri esponenti diplomatici, primo fra tutti lo stesso ministro degli esteri Martino, i contrasti più profondi, non tanto sugli obiettivi cui mirare ma piuttosto sulle modalità da seguire per raggiungere tanto la riunificazione della Germania quanto una sicurezza stabile per l’intero continente europeo483. Gronchi infatti si interrogava sulla possibilità di prospettare agli alleati un’impostazione diversa del problema, “basata sullo status quo in Germania (almeno temporaneamente) e su una limitazione controllata degli armamenti. Con questa impostazione non si indebolirebbe la NATO, non si ridurrebbe lo sforzo difensivo dell’Occidente e, per contro, si metterebbe l’URSS con le spalle al muro perché la si vedrebbe rifiutare l’accordo anche sul solo patto di sicurezza. Questa impostazione, svolta con gradualità e costanza, consentirebbe anche di rendere la NATO più popolare di fronte all’opinione pubblica.”

Come specificato dallo stesso Presidente della Repubblica, non si trattava di rinnegare la posizione occidentale sull’interdipendenza fra la questione della sicurezza e dell’unificazione della Germania, ma semplicemente di “proporre una posposizione cronologica, ossia ritenere [i due problemi] dissociabili su un terreno tattico e concepibili come aspetti diversi, che possono esser trattati in tempi diversi”, senza dimenticare poi la diversa predisposizione psicologica dell’opinione pubblica italiana che, dopo la seconda guerra mondiale, dimostrava una certa ostilità verso l’unificazione tedesca 484.

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A proposito della riunione Ortona annotò sul suo diario quanto riferitogli da Brosio al suo ritorno a Washington: “Essa [la riunione degli ambasciatori] è da spiegarsi con il desiderio di Gronchi di estendere il suo “dominio” ai rapporti internazionali. Il “clou” dei colloqui è stato l’esame dei problemi della sicurezza e della riunificazione tedesca e un’esplorazione della possibilità di praticare una politica meno legata alla NATO. In pratica gli ambasciatori hanno svolto il compito di avvocati difensori della politica del governo in contrapposizione al Presidente della Repubblica.” Ortona, op. cit. p. 150

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Il Presidente Gronchi aveva in realtà esposto il suo punto di vista sulla questione tedesca già in precedenza, proprio di fronte al Segretario di Stato americano in visita a Roma alla vigilia della seconda conferenza di Ginevra. In quell’occasione Gronchi aveva espresso i suoi timori che il consesso ginevrino non avrebbe portato ad alcun risultato concreto a causa dell’inconciliabilità delle posizioni occidentali e orientali sulla connessione o meno tra la riunificazione della Germania e i problemi relativi alla sicurezza europea. Il fallimento della conferenza si sarebbe inoltre potuto trasformare in un vantaggio per i sovietici, che avrebbero certamente trovato il modo di sfruttare l’insuccesso sul piano propagandistico. “Naturalmente l’Occidente non può separare il problema della sicurezza da quello dell’unificazione tedesca. Tuttavia qualora l’URSS, insistendo nel tenere distinti i due problemi, impedisse un accordo, potrebbe convenire all’Occidente di orientarsi verso una formula che consentisse di accordarsi sulla sicurezza e di stabilire un limite di tempo entro il quale anche il problema dell’unificazione tedesca dovrebbe essere risolto”. Del resto Gronchi partiva dalla convinzione che una Germania riunificata avrebbe certamente scelto di essere alleata dell’Occidente, perciò non si sarebbero corsi rischi eccessivi a posticipare le libere elezioni pangermaniche anche a distanza di due o tre anni dalla conclusione di un trattato sulla sicurezza europea. Is. St. F.Gr. b. 81, fasc. 573 Segretariato Generale della Presidenza della Repubblica “Udienza del Segretario di Stato degli Stati Uniti John Foster Dulles” Roma, 22 ottobre 1955 e FRUS 1955 – 1957, vol. XXVII, n. 89 from the Embassy in Italy to the Department of State, Roma, 23 ottobre 1955, p. 298 - 300

Una simile interpretazione si scontrava però non solo con le posizioni di Washington e Londra485, ma anche con quella dello stesso esecutivo, che non nascondeva il timore di produrre, con una tale separazione, solo un effetto psicologico favorevole alla propaganda comunista, accettando le volontà da tempo manifestate da Mosca senza ottenere alcuna contropartita. Soprattutto Martino si dimostrò contrario a una simile proposta: “Occorre che le eventuali proposte italiane abbiano almeno un concorde sostegno in Italia. Ora, ad avviso di molti, la carta dell’unificazione è la migliore carta propagandistica dell’Occidente perché permette di dimostrare che l’URSS è in malafede e rifiuta di andarsene dalla Germania orientale. In queste condizioni non si vede perché si debba rinunciare a questa carta.” Il ministro degli esteri ribadì inoltre che “una sicurezza basata soltanto su formule giuridiche, su promesse, su impegni generici non darebbe nessun affidamento. Occorrono garanzie reali, d’un duplice ordine: da un lato l’eliminazione delle cause di turbamento; dall’altro un saldo equilibrio di forze, basato sulla limitazione degli armamenti e su un efficace controllo della medesima. Un patto che fosse privo di queste garanzie sarebbe un cattivo affare perché non avrebbe altro effetto che quello di addormentare l’opinione pubblica dei Paesi occidentali, indebolire la NATO, facilitare l’opera sovietica di disgregazione. Senza l’unificazione tedesca non può darsi alla sicurezza il solido fondamento di cui ha bisogno. L’unificazione è quindi il solo prezzo che consenta di acquistare la sicurezza.”

La riunione indetta da Gronchi, se da un lato non sortì alcun effetto politico rilevante poiché si limitò a registrare nuovamente con quanto scetticismo la diplomazia italiana (ad accezione forse di Grazzi e Di Stefano) giudicasse la distensione internazionale, dall’altro venne interpretata negli ambienti politici italiani come un evidente tentativo del Presidente della Repubblica di spingersi ben al di là di quelli che fossero i suoi compiti e ciò iniziò a suscitare nei più una certa inquietudine, tanto che addirittura il senatore a vita Sturzo si fece portavoce di un’aspra interrogazione parlamentare per chiedere al governo in quale modo si sarebbe mosso per assicurarsi che il Presidente della Repubblica agisse nel rispetto dei suoi doveri costituzionali486.

Le ferme reazioni del governo e del Parlamento italiano non sortirono evidentemente l’effetto di frenare i disegni politici di Gronchi, che anzi si spinse ben oltre l’idea di

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Come ribadito da Zoppi durante la riunione degli ambasciatori, infatti, ben poco si sarebbe potuto fare per convincere Stati Uniti e Gran Bretagna della possibilità di separare i due problemi poiché la questione della sicurezza veniva concepita, a Washington come a Londra, semplicemente, o meglio principalmente, come una garanzia da fornire all’Unione Sovietica contro il pericolo tedesco.

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Bedeschi Magrini, A. Spunti revisionistici nella politica estera di Giovanni Gronchi Presidente della Repubblica in Di Nolfo, E. – Rainero, R.H. – Vigezzi, B. op. cit. p.64

convincere gli alleati a separare la questione della sicurezza europea da quella della riunificazione tedesca, arrivando addirittura a prospettare ai sovietici un proprio piano di riunificazione per una Germania neutralizzata. Il 25 gennaio, infatti, l’ambasciatore russo Bogomolov venne ricevuto “senza testimoni” dal Presidente della Repubblica che certamente espose al suo interlocutore il proprio disegno consegnandogli una lettera da recapitare ai vertici del Cremlino.

Nonostante manchino testimonianze del messaggio originale di Gronchi487, il testo della risposta letta dall’ambasciatore Bogomolov nel loro successivo incontro (22 febbraio 1956) lascia percepire in maniera piuttosto evidente come il Capo dello Stato italiano si fosse avventurato nel proporre al governo di Mosca un suo personale progetto di unificazione della Germania basato sulla sua neutralizzazione per 20 anni e affiancato dalla realizzazione di concrete misure per il disarmo e per l’effettivo controllo sulla limitazione degli armamenti. Benché l’Unione Sovietica avesse sostanzialmente declinato l’invito del Presidente, nella replica venne esplicitato più volte come il progetto di Gronchi fosse comunque considerato dall’URSS un significativo passo in avanti rispetto ai punti di vista fino a quel momento espressi dall’Occidente. In particolare il governo di Mosca concordava con l’impostazione di raggiungere l’unificazione tedesca procedendo per singole tappe, tranquillizzando nel frattempo l’opinione pubblica internazionale tramite l’adozione di concrete misure per il disarmo, la limitazione degli armamenti e la conclusione di un trattato di sicurezza collettiva europea aperto a tutti i membri dell’Alleanza Atlantica e del Patto di Varsavia. Nonostante queste favorevoli premesse, però, il Cremlino contestava al disegno del Capo dello Stato italiano di non tenere sufficientemente in considerazione la necessità di porre le basi per una riunificazione all’interno della Germania stessa, partendo dal presupposto dell’esistenza di due “governi sovrani [creati] su diverse basi economico-sociali e indirizzati su diversi cammini”. Piuttosto che procedere verso un’immediata organizzazione di elezioni pangermaniche, a Mosca si riteneva più opportuno identificare come primo passo da compiere il raggiungimento di un accordo diretto tra la Repubblica Federale e quella Democratica488.

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La lettera di Gronchi a Bogomolov pare infatti non sia conservata in nessun archivio italiano e nessuno ne menziona l’eventuale presenza negli archivi di Mosca

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“Messaggio di Voroscilov, letto e lasciato dall’Amb. dell’URSS sig. Bogomolov al Presidente Gronchi, 22 febbraio 1956” Is. St. F. Gr. sc. 81 f. 576. Alla luce del contenuto di tale documento va probabilmente corretta l’affermazione della Bedeschi Magrini che, riportando tale episodio basandosi esclusivamente su quanto riferito da Bartoli (Bartoli, D. Da Vittorio Emanuele a Gronchi Milano, Longanesi, 1961, p. 170 – 173) sostiene che non vi sia alcuna traccia dell’accaduto nelle fonti ufficiali, vd. Bedeschi Magrini, A. op. cit. p. 68

Queste osservazioni vennero contestate, però, dal Presidente Gronchi, secondo il quale non sarebbe stato proficuo un accordo fra i due Stati tedeschi prima che fosse stabilita un’intesa fra le quattro potenze proprio sulle condizioni nelle quali la riunificazione tedesca avrebbe potuto essere realizzata. Per il Presidente, infatti, sia il governo federale che soprattutto il governo di Pankow, non rispecchiavano esattamente i sentimenti delle rispettive opinioni pubbliche489.

Il consigliere Luciolli, che assistette all’incontro nonostante le diverse disposizioni date da Gronchi, il quale evidentemente avrebbe voluto discutere privatamente con l’ambasciatore sovietico come accaduto durante la precedente visita del 25 gennaio, non mancò di commentare il progetto del Presidente della Repubblica con una certa sorpresa mista a una profonda preoccupazione, constatando immediatamente come la proposta di Gronchi si discostasse nettamente dalle posizioni finora tenute dagli occidentali e come un simile disegno avrebbe potuto provocare una seria frattura tra lo stesso Capo dello Stato e gli esponenti governativi. “A quel tempo i governi occidentali puntavano sull’integrazione della Repubblica Federale nell’Occidente e non nella trasformazione della Germania in uno Stato – cuscinetto. Questo atteggiamento era fondato tra l’altro sul convincimento che l’Unione Sovietica non fosse affatto disposta a concedere alla RDG l’autonomia effettiva senza la quale tutta l’operazione non avrebbe avuto senso. La proposta di Gronchi era dunque nettamente contraria alla politica del governo italiano. Lo scopo per il quale Gronchi l’aveva fatta era evidente. Egli stava per recarsi a Washington e aveva pensato che il viaggio avrebbe avuto un risultato spettacolare se egli avesse potuto presentare al governo americano una soluzione del problema tedesco già approvata da quello sovietico. Si trattava, però, di un’iniziativa molto ingenua perché se l’Unione Sovietica avesse davvero voluto acconsentire alla riunificazione della Germania non avrebbe avuto nessun bisogno della mediazione di Gronchi”490.

Le reazioni dell’esecutivo a una tale iniziativa non si fecero attendere e furono talmente forti che il Presidente dovette ammettere anche davanti all’ambasciatore Bogomolov che la proposta presentatagli altro non era che l’espressione di una posizione assolutamente personale senza alcuna implicazione politica.

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Is. St. F. Gr. sc. 81 f. 576. Segretariato Generale della Presidenza della Repubblica “Udienza dell’ambasciatore dell’URSS, signor Alexander Bogomolov” Roma, 22 febbraio 1956. L’udienza terminò con un accenno di Bogomolov alla prossima visita di Gronchi negli Stati Uniti facendo intendere molto chiaramente che, qualora avesse trovato un favorevole accoglimento, il governo sovietico sarebbe stato ben lieto di invitare il capo dello Stato italiano a recarsi presto anche a Mosca. Gronchi replicò che “in linea di principio” non vedeva alcun ostacolo a tale visita.

490

Luciolli, M. Diciotto mesi al Quirinale con il Presidente Gronchi in Serra, E. (a cura di) Professione Diplomatico Milano, Franco Angeli, 1988, p. 112 e seg.

Una preziosa testimonianza sull’accaduto venne offerta proprio da Mario Luciolli491, ministro consigliere all’Ambasciata a Washington nominato subito dopo l’elezione di Gronchi consigliere diplomatico del nuovo Capo dello Stato con l’evidente obiettivo di rassicurare gli inquieti ambienti americani. Come precedentemente accennato, in effetti, la reazione statunitense all’elezione di Gronchi, considerato più che un semplice simpatizzante della cosiddetta “apertura a sinistra” e dalla dubbia fedeltà atlantica, fu particolarmente allarmata e maggiormente esacerbata dai duri giudizi provenienti dai corrispondenti americani da Roma e in primis dell’ambasciatore Booth Luce492. Non contribuì naturalmente a tranquillizzare Washington (per non parlare di ampi strati degli ambienti politici italiani) la famosa intervista concessa dal neo Presidente a Edmund Stevens, inviato del “Christian Science Monitor”, nella quale Gronchi espresse il desiderio italiano di riconoscere la Cina comunista, attaccò palesemente la politica statunitense, colpevole di non tenere sufficientemente conto delle opinioni degli alleati e di rischiare di allontanare la RFT dall’Occidente spingendola pericolosamente verso le attrattive sovietiche, e concluse addirittura auspicando un nuovo governo italiano spostato a sinistra con l’esclusione del Partito Liberale493.

Ritrattazioni e smentite non furono sufficienti a rasserenare del tutto un’atmosfera tanto delicata e tesa, così la visita del Presidente Gronchi e del ministro Martino negli Stati Uniti e in Canada prevista per fine febbraio assunse un valore del tutto particolare e non

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Ibidem

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Cfr. Bedeschi Magrini, A. op. cit. p. 60; Wollemborg, L. op. cit. p. 31 e Nuti, L. op. cit. p. 38. Interessante osservare come Nuti consideri proprio Wollemborg, a quel tempo corrispondente da Roma per il Washington Post, come l’unico giornalista americano che non abbia ceduto a commenti caratterizzati da toni allarmistici. Per quanto riguarda le reazioni della signora Luce assai emblematico è il resoconto del giornalista statunitense Drew Pearson, già riportato da Nuti, secondo il quale l’ambasciatore americano, che “seguiva lo svolgimento delle elezioni dalla galleria dei rappresentanti diplomatici, scoppiava in un pianto dirotto.” Nuti, L. op. cit. p. 37. Interessanti a tale proposito anche le riflessioni del Governatore dello Stato di New York il quale, dopo una breve visita in Italia e una serie di colloqui con i leader italiani, riferì all’ambasciatore Luce che tra le numerose conversazioni avute, solo quella con il Presidente della Repubblica lo aveva seriamente preoccupato. Secondo le impressioni di Harriman, infatti, Gronchi avrebbe usato tutto il suo potere per distruggere il quadripartito e aprire le porte del governo alla sinistra di Nenni prima che questi avesse effettivamente rotto i rapporti con il partito comunista. FRUS 1955 – 1957, vol. XXVII, Memorandum of a Conversation, Roma, 23 luglio 1955, p. 282

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Questi i passi più significativi dell’intervista a Gronchi: “Io dirò al Presidente Eisenhower, da Presidente a Presidente, che l’Italia ha intenzione di riconoscere ufficialmente la Cina comunista e inviterà gli Stati Uniti a rinunciare alla loro opposizione alla sua ammissione alle Nazioni Unite. [..] che il Patto Atlantico corre il rischio di disintegrarsi se non si mandano in vigore le clausole finora apparentemente dimenticate, economiche e politiche. [..] Se gli Stati Uniti vogliono mantenersi alla testa del mondo libero, debbono dimostrare maggiore considerazione per i sentimenti dei propri alleati e addivenire a consultazioni più frequenti e prolungate di quelle frettolose come fu quella improvvisata da Foster Dulles a Parigi, alla vigilia della conferenza dei Capi di governo a Ginevra. La politica estera americana è troppo rigida, troppo inflessibile, l’atteggiamento americano di fronte al comunismo ne è un esempio. [..] occorre che l’Occidente modifichi alquanto il proprio atteggiamento nei confronti dell’unità tedesca o altrimenti il Cancelliere Adenauer rischia di perdere molta popolarità. [..] La presente coalizione italiana dovrebbe scivolare verso la sinistra del centro, il che significherebbe prima di tutto eliminare dal governo il partito liberale.” Quirinale, Archivio Presidenza della Repubblica, [d’ora in poi APR] fasc. Gronchi

mancò chi espresse una certa preoccupazione per le possibili esternazioni del Capo dello Stato e per la scarsità di armonia che avrebbero potuto tradire le posizioni di Gronchi e del ministro degli esteri di fronte alla controparte nord-americana494.

Come ricordato da Ortona, la preparazione del viaggio di Gronchi e Martino caratterizzò interamente il lavoro dell’Ambasciata italiana a Washington nei mesi precedenti la visita495, anche perché i diplomatici italiani dovettero divincolarsi non senza difficoltà tra le pretese statunitensi che il viaggio si riducesse a semplici “manifestazioni di facciata”, le pressioni del Quirinale di inserire il più possibile incontri dal forte valore politico con i maggiori esponenti del governo di Washington e infine quelle del governo, attento a soddisfare Gronchi ma anche a non superare determinati limiti di carattere costituzionale. Soprattutto l’ambasciatore Brosio si adoperò in modo particolare affinché i colloqui fossero preparati in maniera molto scrupolosa. A tale proposito alla vigilia della partenza fece pervenire a Roma un documento nel quale indicò in modo molto accurato le modalità secondo lui più efficaci per esporre le tematiche sulle quali la delegazione italiana risultava maggiormente sensibile e al contempo gli argomenti che probabilmente gli americani non avrebbero gradito affrontare. Ad esempio sulla volontà italiana di proporre un rafforzamento del Patto Atlantico, l’ambasciatore a Washington sottolineò il rischio che si correva continuando a basare tale legittima aspirazione sulla sola tesi dello sviluppo dell’articolo 2, dal momento che esso riguardava, letteralmente, soltanto la collaborazione economica senza citare, invece, l’altro aspetto particolarmente caro al governo di Roma, ossia la consultazione politico – diplomatica sulle principali questioni di carattere internazionale. Brosio consigliava perciò di sollecitare conversazioni politiche fra tutti i membri dell’alleanza ponendo l’accento sui rischi che si sarebbero potuti correre se le più importanti questioni internazionali fossero state ridotte a esclusivo oggetto di colloqui bilaterali fra le due maggiori potenze, senza soffermarsi però troppo a lungo sull’opportunità di estendere le consultazioni tra i membri del Patto Atlantico anche su problemi che, se non altro dal punto di vista geografico, esulavano dalle responsabilità della NATO.

Sulla questione tedesca, poi, l’ambasciatore italiano si raccomandò fermamente di non accennare ad alcuna proposta di neutralità, limitandosi al massimo a evidenziare la

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A tale proposito va rammentato che Martino apparteneva proprio alle fila di quel Partito Liberale che

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