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Politiche di welfare: sussidi, istruzione e sanità

Capitolo 2: LA QUESTIONE DI GENERE NEI PAESI DEL GOLFO

2.3 GLI OSTACOLI ALLA PARTECIPAZIONE FEMMINILE AL MERCATO DEL LAVORO

2.3.4. Politiche di welfare: sussidi, istruzione e sanità

Il tessuto demografico nei vari stati del Golfo è diviso in maniera netta in due parti: nazionali e non nazionali. Fin dal 1930, la migrazione verso il Golfo è stata la risposta al forte disequilibrio di capitale: tanta ricchezza derivante dal surplus di entrate rentiere (petrolio) direttamente proporzionale alla mancanza di capitale umano. Essendo il livello di istruzione della popolazione locale ancora molto basso, fu necessario importare professionisti competenti in vari ambiti. La grande quantità di stranieri importati per sfruttare le risorse derivanti dalla vendita del petrolio ha creato delle società uniche nel

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loro genere: il numero della popolazione locale è progressivamente diventato notevolmente inferiore rispetto a quello della popolazione straniera. Ad esempio, nel 2010 negli Emirati i locali erano solo l’11% della popolazione totale (Kamrava, 2012). Nonostante la loro quantità sia aumentata negli anni, gli expat continuano a non avere nessun tipo di riconoscimento sociale e politico.

Dal momento che l’ottenimento della cittadinanza non è consentito se non in alcuni casi particolari, e lunghi periodi di residenza non sono permessi, l’unico modo per potersi installare in questi paesi è accedendo ad essi tramite un visto lavorativo a breve termine: finché uno straniero lavora è ammesso nel Golfo, ma non può accedere agli stessi benefici che spettano ai cittadini grazie alle abbondanti politiche di welfare dei vari stati (Fargues & De Bel Air, 2015). In Kuwait per esempio, nel 1948 venne emanata la prima legge sulla cittadinanza che diceva che “i soggetti kuwaitiani erano i membri della famiglia reale, coloro che risiedevano in maniera permanente in Kuwait dal 1899, i figli di uomini kuwaitiani e, all’epoca, figli di padri arabi o musulmani anch’essi nati in Kuwait. La naturalizzazione era possibile dopo 10 anni in Kuwait di lavoro e competenza della lingua araba, e da permessi speciali del governo dati a chi si è distinto nel paese per il suo valore” (Crystal, 1990, p. 87)13. Solo 10 anni dopo, l’emendamento venne modificato nella Legge

n°15, sostenendo che i cittadini erano solo coloro che potevano affermare di essere residenti in Kuwait in maniera continua dal 1920, e i loro diretti discendenti; chi non avesse soddisfatto questo requisito avrebbe potuto richiedere la naturalizzazione kuwaitiana fornendo la prova di essere legalmente residente nel paese da almeno 8 anni (per gli arabi) o 15 anni (per i non-arabi), pur non acquisendo immediatamente i diritti politici dei cittadini “originali” (Beaugrand, 2014).

Simile discorso per la cittadinanza qatarina che, secondo il decreto n°14 del 2007, prevede la cittadinanza solo per jus sanguinis (da linea genealogica diretta dal 1930), per discendenza da padre qatarino, o tramite naturalizzazione con i seguenti requisiti: essere legalmente residenti in Qatar in maniera continua da 25 anni (15 se si è arabi), abitare il paese per motivi di lavoro o particolari, ed avere un buon livello in lingua araba (Qatar

13 Traduzione personale dalla citazione originale in inglese: “Kuwaiti subjects were ruling family members, those permanently residing in Kuwait since 1899, children of Kuwaiti men and, at that time, children of Arab or Muslim fathers also born in Kuwait. Naturalization was possible after ten years in Kuwait with work and Arabic proficiency and by special order for valuable services”.

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Minister of Interior, 2007). Si crea perciò un forte stacco tra locali e stranieri in ogni ambito della vita pubblica.

A contribuire a questo netto distacco tra le due categorie sono state le varie politiche attuate dagli stati del Golfo, che hanno permesso un “contratto sociale” tra l’istituzione regnante e i cittadini: i proventi dei guadagni rentieri sono andati interamente ai cittadini tramite sussidi e servizi sociali in cambio del loro appoggio al re/emiro al potere e alla non ingerenza negli affari politici (Rutledge, 2012). Grazie ai benefici derivanti da questo contratto sociale, molte famiglie sono in grado di vivere soltanto con il salario maschile, senza che la donna entri nel mercato lavorativo.

In Qatar, i servizi sono molteplici e dividono nettamente i cittadini dagli expat. A livello famigliare, un vantaggio interessante è per il lavoro riproduttivo. Infatti, una famiglia qatarina ha il permesso, dopo richiesta agli uffici del governo, di richiedere una domestica per la propria casa. Infatti, “una famiglia può richiedere al governo una domestica gratuitamente se la donna in casa lavora ed è senza figli. Invece, se la famiglia possiede dei figli, allora si può richiedere fino a 2 domestiche: una per i lavori domestici ed una per la cura dei figli”, questo mi ha detto Y.L., ragazzo qatarino che ho conosciuto durante la mia esperienza a Doha.14 Il servizio gratuito è offerto solo ai cittadini, mentre per gli

expat il servizio è a pagamento.

Un altro punto di divisione tra nazionali e non-nazionali è quello della sanità: ospedali e cliniche pubbliche sono totalmente gratuite per i cittadini. Ma, mentre lo sono per loro, gli expat devono pagare per usufruire dei servizi sanitari pubblici (Mourshed, Hediger, & Lambert, 2006). In Qatar, i cittadini hanno un’assicurazione sanitaria fornita dal governo che ricopre ogni tipo di spesa, mentre per gli expat, la stessa assicurazione deve o essere fornita dal datore di lavoro, oppure, se si è in proprio, bisogna pagarsela da soli. In ogni caso, la copertura assicurativa per i qatarini è più larga rispetto a quella per gli stranieri (IMTJ Team, 2013).

Per quanto riguarda l’istruzione invece in tutti i paesi del Golfo i nazionali hanno la scuola totalmente gratuita. Differente è il discorso per gli expat: loro non godono di questi investimenti statali poiché hanno la possibilità di studiare in scuole private. Per quelli di

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loro che arrivano dai paesi più industrializzati infatti vi sono scuole private amministrate da persone della loro nazione, con programmi didattici simili a quelli delle scuole nella loro patria di provenienza (Cinar, 2000).

Anche se la maggior parte dei paesi ha reso gratis l’istruzione pubblica obbligatoria (quindi dai 6 ai 18 anni) per tutti i nazionali, le scuole private straniere sono comunque tante. In Qatar, per esempio, le scuole pubbliche vengono frequentate quasi esclusivamente da nazionali, ed, essendo finanziate totalmente dallo stato, sono anche controllate da esso per ciò che viene insegnato. Per questo motivo gli expat con ingenti entrate, che solitamente sono occidentali, preferiscono avere delle scuole indipendenti dai fondi statali che possano offrire libertà di scelta per quanto riguarda i programmi scolastici (Ardent Advisory & Accounting, 2015). In Arabia Saudita invece esiste proprio un divieto per gli expat di iscriversi alle scuole pubbliche che sono, ovviamente, gratuite per i nazionali (nel primo e secondo livello) (Metcalfe, 2008).

Interessante a livello sociale è anche il discorso delle pensioni. Ad esempio, in Qatar la legge n° 38 del 1995 e, in seguito, la risoluzione n° 46 del 2014 determinano aiuti economici sotto forma di sussidi e pensioni ai soli cittadini. Entrambe gli aiuti vengono erogati a 10 categorie: divorziati, famiglie con basso reddito, famiglie anziane, famiglie con persone scomparse, mogli abbandonate, vedove, familiari di prigionieri, persone disabili, persone non-abili per lavorare e gli orfani (Ministry of Planning, Development and Statistics, 2013).