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POLIZIA E SORVEGLIANZA POLITICA NEL NOVECENTO

La nuova politica giolittiana sull’ordine pubblico

La polizia di Giolitti. I colpi di rivoltella indirizzati da Gaetano Bresci a re Um-

berto I chiudono, anche simbolicamente, un’epoca e ne aprono una nuova, caratteriz- zata dall’indirizzo politico ed economico impresso da Giolitti, dapprima in veste di ministro dell’Interno del gabinetto Zanardelli (1901-1903), poi in qualità di presidente del Consiglio. Abbandonato il ricorso agli stati d’assedio e alla legislazione speciale volta a limitare la libertà di associazione di partiti e sindacati, la politica sociale gio- littiana, imperniata sul rapporto a distanza con il socialismo riformista, si indirizza verso un approccio liberale nei confronti dei conflitti di lavoro, lasciando via libera agli scioperi e alla crescita dell’associazionismo sindacale e puntando sulle virtù della mediazione e della composizione piuttosto che sulla repressione.

Il nuovo corso impresso da Giolitti non presenta però uno sviluppo generaliz- zato e uniforme1

. Mentre comprende «oltre agli operai delle industrie, anche le roc- cheforti socialiste della campagna padana imperniate sulle loro cooperative, le ammi- nistrazioni socialiste e [...] i pubblici impiegati socialisti»2, ne rimangono esclusi il

Mezzogiorno e le zone dove le situazioni di conflitto vedevano come protagonisti, alla testa delle masse, le correnti rivoluzionarie del socialismo e gli anarchici3

. Nei con-

1 La legislazione speciale introdotta in epoca crispina, in primis, così come gli ampi margini

discrezionali dell’autorità amministrativa per la tutela dell’ordine pubblico, restano infatti in vigore. Cfr. Tosatti Storia del Ministero dell’Interno, cit., p. 140. Sulla politica giolittiana in tale ambito si veda Corso, L’ordine pubblico, cit., pp. 47-49, e in particolare F. Fiorentino, Ordine pubblico nell’Italia giolittiana, Roma, Carecas, 1978. Per l’analisi di un caso locale cfr. J. Dunnage, Istituzioni e ordine pubblico nell’Italia giolittiana. Le forze di polizia in provincia di Bologna, in «Italia contemporanea», n. 177, 1989, pp. 5-26.

2 G. Carocci, Giolitti e l’età giolittiana, Torino, Einaudi, 1961, p. 51.

3 «Il re stesso, memore della recente fine del padre, non mancava talvolta di far pervenire a Giolitti

incartamenti e discreti rimproveri quando gli sembrava che la sorveglianza sugli anarchici non fosse stata sufficiente» (ivi, p. 68). Per la storia dei conflitti sociali e delle correnti politiche radicali nel periodo si vedano: G. Procacci, La lotta di classe in Italia agli inizi del secolo ventesimo, Roma, Editori riuniti, 1970; A. Riosa, Il sindacalismo rivoluzionario in Italia e la lotta politica nel Partito socialista dell’età giolittiana, Bari, De Donato, 1976; M. Antonioli, Il sindacalismo italiano. Dalle origini al fascismo. Studi e ricerche, Pisa, BFS, 1997; G. Cerrito, Dall’insurrezionalismo alla settimana rossa. Per una storia dell’anarchismo in Italia, 1881-1914, Firenze, CP, 1977; M. Antonioli,

flitti di lavoro, in particolare, Giolitti opera una netta separazione tra gli scioperi che si limitano alle mere rivendicazioni di carattere economico e quelli mossi anche da ragioni di indole politica oppure che, per le loro modalità di svolgimento, erano con- siderati una minaccia all’ordine pubblico4

. Tra questi ultimi rientrano gli scioperi ge- nerali (locali o nazionali) e quelli degli addetti ai servizi pubblici, in particolare dei ferrovieri, che in questo periodo sono numerosi per le vertenze relative alla naziona- lizzazione delle ferrovie5

.

Ministro dell’Interno «dotato di idee chiarissime, di morbidezza e insieme di e- nergia ferrea», Giolitti incarica i prefetti di eseguire le sue direttive «con pugno di fer- ro», anche perché la sua politica liberale «urtava spesso contro la mentalità tradizio- nale delle autorità governative periferiche»6. Dimessi, con le eccezioni che abbiamo

segnalato, i panni della repressione, nella pubblica sicurezza si dà nuovo impulso al vasto campo della prevenzione, potenziando e rinnovando gli strumenti di polizia so- prattutto nei settori dell’identificazione e della sorveglianza.

Ma nel Ministero dell’Interno, rispetto alle tradizionali funzioni di polizia, Gio- litti tende piuttosto a privilegiare quelle di “tutela sociale” rappresentate dalla Dire- zione generale dell’amministrazione civile7

, cui viene affidata «l’attuazione della po- litica di difesa delle classi popolari», e dalle nuove responsabilità di cui il Ministero viene investito, che ampliano in maniera consistente lo spettro dei campi di intervento che gli erano stati propri fino ad allora: dal controllo delle produzioni industriali dan- nose per la salute alla vigilanza sul lavoro minorile, dal risanamento del suolo e delle aree urbane alla vigilanza sull’emigrazione8

.

Per quanto riguarda nello specifico la polizia, l’età giolittiana vede innanzitutto il rafforzamento e la stabilizzazione della Direzione generale della pubblica sicurezza del Ministero, al cui vertice viene confermato Francesco Leonardi9

. Si provvede poi, in particolare per la sorveglianza sugli anarchici (Bresci, come si ricorderà, era «l’anarchico che venne dall’America»), a costituire una rete di polizia politica ope- rante all’estero, della quale facevano parte pochi e scelti funzionari distaccati presso le ambasciate e i consolati e dipendenti dall’Ufficio riservato del gabinetto del diretto- re generale della P.S10

.

Nel 1903, dopo un anno di sperimentazione, Salvatore Ottolenghi ottiene da Le- onardi il placet per l’istituzione di una scuola permanente di polizia scientifica. Con la costituzione della Scuola, affidata alla direzione dello stesso Ottolenghi, che ne rimar- P.C. Masini, Il sol dell’avvenire. L’anarchismo in Italia dalle origini alla prima guerra mondiale, Pisa, BFS, 1999.

4 Carocci, Giolitti e l’età giolittiana, cit., pp. 66-67.

5 Sulle vertenze dei ferrovieri in questo periodo cfr. Il sindacato ferrovieri italiani dalle origini al

fascismo. 1907-1925, a cura di M. Antonioli, G. Checcozzo, Milano, Unicopli, 1994.

6 Carocci, Giolitti e l’età giolittiana, cit., p. 67.

7 Cui facevano capo, tra l’altro, le politiche sulla municipalizzazione dei servizi (cfr. Tosatti, Storia del

Ministero dell’Interno, cit., pp. 122-125) che proprio in quegli anni rappresentano uno dei capitoli più frequentati dell’attività delle amministrazioni comunali dei principali nuclei urbani, compreso quello di Verona. Sulle municipalizzazioni a Verona, cfr. M. Zangarini, Verona 1900-1913. Politica e amministrazione in età giolittiana: il dibattito sulle municipalizzazioni e N. Olivieri, Dal canale industriale all’azienda elettrica comunale: i prodromi delle municipalizzazioni nella Verona di fine Ottocento, in Il Comune democratico. Riccardo dalle Mole e l’esperienza delle giunte bloccarde nel Veneto giolittiano (1900-1914), a cura di R. Camurri, Venezia, Marsilio, 2000, rispettivamente alle pp. 145-166 e 249-268.

8 Cfr. Tosatti, Storia del Ministero dell’Interno, cit., pp. 115-117.

9 Sul trentino F. Leonardi, a capo della DGPS dal 1898 al 1911, si veda G. Tosatti, La repressione del

dissenso politico tra l’età liberale e il fascismo, cit., pp. 227-228.

rà al vertice fino al 1928, giunge in porto una delle tradizionali istanze “lombrosiane” volte alla modernizzazione della polizia. Dal 1907 l’istituto fissa la sua sede nel carce- re di Regina Coeli, dove i detenuti servono da «prezioso materiale didattico»11

per le lezioni e dove vengono realizzati, oltre ai laboratori e alle aule didattiche, anche una biblioteca e un Museo criminale. Sotto la direzione di Ottolenghi, la Scuola «divenne il luogo dal quale la polizia scientifica si innestò nella P.S.», fino a trasformarsi in «un dipartimento interno all’amministrazione di polizia», nel 1919. Per un verso fornendo servizi e incarichi per conto dell’amministrazione di P.S. che finiscono per diventare «fondamentali» per il suo lavoro quotidiano (rilievi di impronte digitali, prove di la- boratorio forense, compilazione di dossier criminali), per l’altro contribuendo a tra- sformare i funzionari di P.S. in «funzionari moderni» attraverso lo studio dell’antropologia criminale12

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La Scuola svolge infatti un ruolo importante nella formazione13

e come labora- torio di ricerca per una vasta area di strumenti e pratiche: gli archivi di polizia, dei quali viene iniziata una riorganizzazione; le forme della schedatura, con l’introduzione di un nuovo modello di cartella biografica affidato, così come l’aggiornamento degli archivi, alle cure del questore Adriano Zaiotti14

; il servizio se- gnaletico e dattiloscopico, affidato a Giovanni Gasti15

; la fotografia segnaletica e fo- rense, sviluppata da Umberto Ellero16

. Un altro fra i principali collaboratori di Otto- lenghi è, infine, Giuseppe Falco, suo assistente al dipartimento di medicina legale presso l’Università di Roma, in particolare nelle lezioni svolte presso l’obitorio citta- dino17

.

Resa obbligatoria per i funzionari di P.S., nel 1912 la scuola ha già alle sue spalle dodici corsi per un totale di 730 allievi. Con il nuovo nome di “Scuola superio- re di polizia” continuerà a pieno ritmo la propria attività durante il regime fascista, aprendo i suoi corsi anche ai ranghi militari della P.S., a gruppi di carabinieri, a per- sonale delle Ferrovie, della Marina, della Milizia volontaria per la sicurezza naziona- le, ed ospitando inoltre uditori svizzeri, bulgari e turchi nel 1910, statunitensi nel 1916 e nel 1926, nonché guadagnandosi apprezzamento e riconoscimenti in diversi consessi internazionali. I progressi nelle tecniche della polizia scientifica promossi dalla scuola

11 La definizione è di S. Ottolenghi (cit. in Gibson, Nati per il crimine, cit., p. 195). 12 Ibid.

13 Il corso era obbligatorio per ottenere la nomina di funzionario di P.S. Le materie di insegnamento

spaziavano dall’ambito tecnico a quello giuridico-sociale: antropologia, psicologia applicata, investigazioni giudiziarie, segnalamento, fotografia giudiziaria, polizia amministrativa, diritto e procedura penale. Cfr. Tosatti, Storia del Ministero dell’Interno, cit., p. 140.

14 Il nuovo modello doveva «descrivere il pregiudicato dal punto di vista somatico e biografico-

psichico», in modo tale da «rilevarne la pericolosità ai fini della funzione preventiva di polizia» (Tosatti, L’anagrafe dei sovversivi italiani, cit., p. 137). Sul veneziano A. Zaiotti cfr. Ead., Storia del Ministero dell’Interno, cit., p. 141. Fra gli strumenti elaborati in questi anni è da citare anche il «Bollettino delle ricerche», introdotto con una circolare ministeriale del 1912 per «raccogliere in forma sistematica le segnalazioni delle persone da arrestare o da ricercare» (Ead., L’anagrafe dei sovversivi italiani, cit., pp. 141 e 147).

15 Su G. Gasti cfr. ivi, p. 142; Canali, Le spie del regime, cit., ad indicem; Franzinelli, I tentacoli

dell’Ovra, cit., ad indicem; A. Giuliano, Le impronte digitali. La “classificazione Gasti”, Torino, Tirrenia stampatori, 2006. Gasti sarà anche l’obiettivo, mancato, dell’attentato di Milano del 23 marzo 1921 noto come “strage del Diana” (cfr. V. Mantovani, Mazurka blu. La strage di Diana, Milano, Rusconi, 1979).

16 Su U. Ellero cfr. Tosatti, Storia del Ministero dell’Interno, cit., p. 141; Gilardi, Wanted!, cit., ad

indicem.

italiana in questo periodo, poi adottati anche dalle polizie di altri paesi, la portano all’avanguardia sulla scena internazionale18

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Per quanto concerne il ruolo fondamentale degli archivi, cioè di un’adeguata or- ganizzazione delle informazioni per facilitare e razionalizzare il lavoro della polizia, con una circolare ministeriale dell’1 giugno 1903 vede la luce il regolamento per la tenuta degli archivi delle questure e, in contemporanea, prende avvio un’opera di revi- sione e riorganizzazione dello Schedario dei sovversivi, affiancata da una serie di cir- colari (dal 1903 al 1911) volte a sollecitare gli uffici periferici «alla verifica delle schede e soprattutto [al]l’aggiornamento dei dati, generalmente trascurato»19

. Ciò no- nostante, fino al 1910 il numero dei fascicoli aperti nel Casellario politico centrale subisce una brusca frenata rispetto al periodo precedente20; inoltre, dalla periferia i

funzionari e gli agenti di P.S., nonché i carabinieri, lamentavano spesso «di non avere né il tempo né la competenza per riempire i cartellini segnaletici» dei sospetti e dei criminali21

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Nelle circolari viene rimarcata, ancora una volta, l’attenzione da porre alla sor- veglianza degli anarchici e, con loro, dei socialisti e sindacalisti rivoluzionari. Per su- perare «la diffidenza ormai diffusa tra loro per la paura della delazione», viene inoltre introdotto, tra le nuove forme di controllo, lo “schedario oblatori” che raccoglie gli elenchi delle sottoscrizioni pubblicate sui giornali del movimento22

. Nonostante le no- vità, il livello di efficacia nel contrasto delle correnti politiche radicali era ritenuto dai funzionari di P.S., e dallo stesso Leonardi, insufficiente, così come preoccupante ap- pariva loro lo sviluppo quantitativo e qualitativo del processo di politicizzazione delle masse23

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Al centro, il Ministero dell’Interno, oltre a mutare parzialmente l’ordine di prio- rità degli ambiti di intervento che erano nelle sue prerogative, sembra però abbando- nare progressivamente il ruolo centrale che aveva assunto tra le amministrazioni dello Stato in epoca crispina in favore di altre, quali, ad esempio, il Ministero di Agricoltu- ra, Industria e Commercio, ma in periferia il prefetto “giolittiano” mantiene invece, ed anzi incrementa, le proprie funzioni di coordinamento in quanto funzionario «genera- lista» che somma su di sé attribuzioni insieme politiche e amministrative:

Se infatti il prefetto rispondeva al Governo e al ministro dell’Interno dell’ordine pub- blico e della situazione generale della provincia, egli comunque trascorreva la sua espe- rienza quotidiana in una serie di numerosissimi adempimenti, legati al suo ruolo di ga- rante dell’applicazione delle norme che regolavano la vita dei cittadini e delle istituzio- ni locali. Quanto più era cresciuto l’impegno dello Stato, tanto più si erano estesi i suoi compiti24.

18 Cfr. ivi, pp. 206-208. Nei primi anni del secolo il rilevamento delle impronte digitali finisce per

soppiantare definitivamente, come tecnica di identificazione, l’antropometria di Bertillon. Sulla Scuola di polizia scientifica si vedano, in generale, Tosatti, L’anagrafe dei sovversivi italiani, cit., p. 137; Ead., La repressione del dissenso politico, cit., pp. 228-230, Ead., Storia del Ministero dell’Interno, cit., pp. 138-142, ma soprattutto Gibson, Nati per il crimine, cit., pp. 195-221.

19 Tosatti, Storia del Ministero dell’Interno, cit., p. 139. «Italo Alongi faceva risalire proprio ad una

cattiva organizzazione degli archivi [...] il ripetersi di attentati ai sovrani. Lo schedario politico era definito da Alongi “un ammasso di fascicoli arretrati, nel quale figurano più i sognatori innocui e incauti che i pericolosi veri”». Ead., La repressione del dissenso politico, cit., p. 228.

20 Al contrario, la serie A8 Radiati della Questura di Verona registra un incremento nel periodo 1905-

1910, seguito da un calo negli anni 1911-1914 (cfr. Appendice, tabella 4.1.3 e grafico 4.1.4).

21 Gibson, Nati per il crimine, cit., p. 211.

22 Cfr. Tosatti, Storia del Ministero dell’Interno, cit., p. 139. 23 Cfr. Canali, Le spie del regime, cit., p. 9.

Anche per i prefetti, con una netta e repentina inversione di tendenza rispetto al passato, si apre dunque una stagione caratterizzata dal potenziamento della funzione di «intermediazione sociale»: da loro ci si attende ora la capacità non più di bloccare, bensì di incanalare con tatto e accortezza il nuovo protagonismo delle classi lavoratri- ci verso l’integrazione politica e sociale25

. A Verona il secondo prefetto di età giolit- tiana, dopo i tre anni di Ernesto Dallari (1901-1903), è l’ex deputato Carlo Tivaroni (1903-1906), l’unico prefetto esterno alla carriera nominato da Giolitti, «più simile ai suoi predecessori dei primi anni del Regno che non ai suoi colleghi in carica»26

; biso- gna dunque attendere l’arrivo di Edoardo Verdinois, nel maggio 1907, per trovarsi di fronte a un prefetto “giolittiano” nel pieno senso del termine, il quale, anche per la sua lunga permanenza nella città scaligera (resta in carica a Verona fino all’aprile del 1915, quando viene nominato prefetto di Torino) sarà per molti anni un importante attore sulla scena politica e sociale cittadina.

Verona giolittiana. L’alba del nuovo secolo illumina una città investita da un

processo di modernizzazione prima di allora sempre rinviato, quando non addirittura temuto. Anche se lo spazio urbano rimane pur sempre saldamente ancorato al territo- rio rurale e alla sua vocazione agricola (le grandi proprietà cerealicole nelle Basse bracciantili, la piccola proprietà e la mezzadria nelle zone collinari della produzione vinicola e olearia), i segni tangibili dello sviluppo emergono nell’arco di pochi anni. In città, la terra battuta, gli orti, i corsi d’acqua lasciano spazio a «tratti marcatamente artificiali»: la pavimentazione di strade e piazze, l’illuminazione pubblica, l’acquedotto municipale sono opere che vengono realizzate in questi anni; il fiume, imbrigliato nei muraglioni volti a scongiurare nuove alluvioni, perde il ruolo centrale che aveva avuto fino ad allora nella vita quotidiana e nel paesaggio urbano; nuovi ser- vizi come il tram (dapprima a cavalli, poi, dal 1908, elettrico) modificano la mobilità; in periferia, il profilo di alcune ciminiere trasforma lo skyline, segnato fino ad allora solo dalle linee dei campanili, della torre municipale e dall’“ala” dell’Arena romana27

. Mentre tendono a esaurirsi i residui spazi lasciati liberi all’interno della cinta muraria, la città rompe gli argini dei bastioni e delle antiche servitù militari proiettan- dosi verso l’esterno con l’urbanizzazione di nuove aree (Borgo Trento, Borgo Vene- zia, Borgo Roma), in parte occupate da costruzioni in stile liberty per la nuova bor- ghesia, in parte da case operaie e popolari28

. All’edilizia civile si somma quella indu- striale, con la realizzazione dei primi stabilimenti di grandi dimensioni, quasi tutti di- slocati nelle aree di Borgo Venezia-San Michele Extra (a Est) e Basso Acquar-Tomba (a Sud): l’Officina elettrica comunale, la cartiera Fedrigoni, alcuni cotonifici, il lanifi- cio Tiberghien, il calzaturificio Martini (poi Rossi), la Manifattura tabacchi, le fonde- rie Galtarossa29

. Le nuove industrie attirano verso i sobborghi periferici popolazione

25 Ivi, pp. 131-138.

26 Ivi, p. 135. Tivaroni pubblicò tra l’altro, nel 1901, un articolo su Anarchia e difesa sociale nella

«Nuova antologia» (cfr. ibid).

27 Cfr. M. Girardi, Verona tra Ottocento e Novecento, Treviso, Canova, 2004, pp. 39-40.

28 Cfr. Urbanistica a Verona (1880-1960), a cura di P. Brugnoli, Verona, Ordine degli architetti, 1996. 29 Sullo sviluppo industriale in questo periodo si vedano: N. Olivieri, Dall’agricoltura al terziario: lo

sviluppo economico veronese dopo l’Unità, in Il movimento sindacale a Verona, a cura di M. Zangarini, Verona, Cierre, 1997; Olivieri, Bassotto, Opifici, manifatture, industrie. Nascita e sviluppo dell’industria nel Veronese (1857-1922), cit.; L. D’Antoni, Dall’agricoltura all’industria. Verona e la provincia tra fine Ottocento e il primo dopoguerra, in Verona e il suo territorio, vol. 6, t. 2, Verona nell’Otto/Novecento, cit. Per alcune aziende: N. Olivieri, Il lanificio Tiberghien fra storia e memoria. Documenti storici e testimonianze di lavoro del lanificio di San Michele Extra a Verona,

dalle campagne circostanti, contribuendo alla crescita demografica: mentre il dato della popolazione entro le mura rimane, anche se con un modesto saldo positivo, so- stanzialmente invariato, l’incremento raggiunge punte del 50% nei sobborghi extra le mura30

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Le trasformazioni che investono l’immagine della città non riguardano solo lo sviluppo urbanistico e produttivo: anche l’uso dello spazio pubblico risulta modifica- to. Mentre in passato la funzione teatrale delle piazze e delle grandi costruzioni mo- numentali si era espressa prevalentemente in relazione al ruolo militare della città31

o alle tradizionali cerimonie religiose come la processione del Corpus Domini, nel nuo- vo secolo il calendario civile si arricchisce di eventi artistici, commerciali e sportivi che popolano gli spazi pubblici con il concorso di masse sempre crescenti. Dal 1898 si svolge la Fiera cavalli, destinata a diventare la più grande manifestazione del settore del Paese; nel 1902, presso il teatro Ristori, ha luogo la prima proiezione cinemato- grafica; tra le varie manifestazioni sportive, nell’ambito delle manifestazioni della Fiera cavalli del 1907 si svolge una curiosa gimkana automobilistica con “rincorsa” di un pallone aerostatico; nel 1910 viene poi inaugurato nella zona della Cittadella lo stadio Bentegodi, che ospita le partite delle due squadre veronesi: l’omonima Bente- godi, attiva dai primi anni del Novecento, e l’Hellas Verona, fondata nel 190332

; nel 1913 infine si apre, con la prima rappresentazione lirica in Arena, la lunga stagione del festival destinato a segnare per tutto il Novecento (e oltre) l’immagine della città nel mondo33

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La dimensione teatrale della rappresentazione non coinvolge, però, solo il tem- po della leisure, ma anche quello del lavoro e della politica, che esce dalla dimensione ristretta dei caffé e delle pagine dei quotidiani affollando in maniera sempre più visto- sa le strade e le piazze in occasione delle vertenze sindacali o delle scadenze del ca- lendario laico come il Primo maggio e il 20 settembre, o ancora in celebrazioni parti- colari come, nel 1907, per il 307º anniversario della morte di Giordano Bruno. Nei primi anni del secolo prendono avvio partecipate agitazioni contadine e operaie che hanno ora, a differenza del passato, la possibilità di esprimersi liberamente con cortei, comizi e congressi34

. Parallelamente, prende avvio quel processo organizzativo che dà Sommacampagna, Cierre, 2007; F. Bozzini, E. Franzina, M. Zangarini, Una città, un’industria, una famiglia. I Galtarossa, Sommacampagna, Cierre, 1998.

30 Cfr. Girardi, Verona tra Ottocento e Novecento, cit., p. 108. Secondo i dati del censimento 1911, il

comune di Verona conta 84.838 abitanti, saliti a 95.075 nel 1921; l’intera provincia ne conta 491.389 nel 1911 e 538.815 nel 1921 (considerando anche il comune di San Giovanni Ilarione, passato dalla provincia di Vicenza a quella di Verona nei primi anni Venti). A sancire l’esistenza di un’area

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