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Dal 2000, la popolazione mondiale esposta alle inondazioni è aumentata del 24%

Nel documento Consiglio Nazionale dei Geologi (pagine 84-89)

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Clima | Economia ecologica | Risorse | Urbanistica e territorio

Lo rivelano i dati satellitari. Entro il 2030 altri milioni di persone in più a rischio [5 Agosto 2021]

Invece delle stime modellate standard, lo studio “Satellite imaging reveals increased proportion of population exposed to floods”, pubblicato su Nature da un team di ricercatori statunitensi e canadesi, ha utilizzato osservazioni satellitari delle inondazioni, rivelando così che «La percentuale della popolazione esposta alle inondazioni è cresciuta del 24% a livello globale dall’inizio del secolo».

Si tratta di 10 volte più di quanto gli scienziati pensassero in precedenza e questo «E’

dovuto sia all’aumento delle inondazioni che alla migrazione della popolazione. Questo segna un aumento della popolazione all’interno delle regioni soggette a inondazioni fino a raggiungere gli 86 milioni di persone».

Il team di ricerca è stata guidata da Elizabeth Tellman e Jonathan Sullivan della School of Geography, Development and Environment del College of Social and Behavioral Sciences dell’università dell’Arizona. La Tellman, che proviene dalla Columbia University, studia le cause e le conseguenze del cambiamento ambientale globale sulle popolazioni vulnerabili ed è anche chief science officer e co-fondatrice di Cloud to Street, una piattaforma globale di monitoraggio delle inondazioni e analisi dei rischi per i gestori di disastri e assicuratori, ha tre sovvenzioni della NASA in corso relative alle inondazioni e ha detto :

«Sono ansiosa di lavorare con gli studenti dell’università dell’Arizona al laboratorio Tellman. L’utilizzo dei dati di osservazione satellitare delle inondazioni con una migliore risoluzione spazio-temporale aiuterà i responsabili politici a capire dove stanno

cambiando gli impatti delle inondazioni e come adattarsi al meglio».

Cloud to Street ospita il Global Flood Database , il database sul quale si basa lo studio pubblicato su Nature e il set di dati più grande e accurato mai prodotto sulle inondazioni, che fornisce una visione della loro reale portata. Basato su immagini satellitari globali scattate due volte al giorno, dal 2000 il Global Flood Database ha mappato e analizzato 913 alluvioni in 169 Paesi.

La Tellman spiega che «La maggior parte delle mappe delle inondazioni, comprese quelle utilizzate dalla Federal Emergency Management Agency, si basa su modelli che simulano le inondazioni in base ai dati disponibili a terra, come l’altitudine, le precipitazioni e i sensori del suolo. Questi modelli richiedono molto tempo e possono avere limitazioni sostanziali, mancando completamente gli incidenti di alluvione in regioni non

storicamente soggette a inondazioni. Il Global Flood Database si basa invece su

osservazioni satellitari di inondazioni reali negli ultimi due decenni. Ciò consente ulteriori analisi della portata, dell’impatto e delle tendenze delle recenti inondazioni. Il Global Flood Database può migliorare l’accuratezza dei modelli delle alluvioni globali e locali e le valutazioni della vulnerabilità, aumentare l’efficacia delle misure di adattamento e

approfondire la nostra comprensione di come interagiscono il clima, il cambiamento della copertura del suolo e le inondazioni»

La maggior parte degli eventi alluvionali presenti nel database sono stati causati da forti piogge. Le altre cause principali sono state le tempeste tropicali o le mareggiate, lo

scioglimento di neve o ghiaccio e la rottura di dighe, a dimostrazione del costo sempre più letale del collasso delle infrastrutture.

Ecco i principali risultati emersi dallo studio pubblicato su Nature e finanziato da Google:

Tra i 58 milioni e gli 86 milioni di persone si sono trasferite nelle regioni alluvionate osservate tra il 2000 e il 2015, segnando un aumento dal 20 al 24% della percentuale della popolazione esposta alle inondazioni.

Tra il 2000 e il 2018, in tutto il mondo, sono stati allagati per un certo periodo 2,23 milioni di chilometri quadrati, colpendo tra i 255 milioni e i 290 milioni di persone.

Entro il 2030, i cambiamenti climatici e demografici aggiungeranno 25 nuovi Paesi ai 32 già soggetti a inondazioni crescenti.

Nonostante abbiano causato meno del 2% delle inondazioni, le rotture delle dighe hanno avuto l’incidenza maggiore (177%) in proporzione alla popolazione esposta.

La crescita della popolazione nelle aree inondate è causata dalle persone che si spostano in aree soggette a inondazioni e dallo sviluppo economico in quelle regioni.

Quasi il 90% degli eventi alluvionali si è verificato nell’Asia del sud e del sud-est.

I dati satellitari hanno scoperto aumenti precedentemente non identificati

dell’esposizione alle inondazioni in Asia meridionale, America Latina meridionale e Medio Oriente.

Sullivan sottolinea che «Abbiamo scoperto che lo sviluppo economico e le persone che si spostano in aree soggette a inondazioni stanno aumentando significativamente il numero di persone esposte alle inondazioni in quelle regioni. Inoltre, l’aumento dell’esposizione alle inondazioni è radicato nelle condizioni economiche di base che non offrono alle popolazioni vulnerabili altra scelta che stabilirsi nelle zone alluvionali».

Bessie Schwarz, CEO e co-fondatrice di Cloud to Street, conclude: «I dati disponibili nel Global Flood Database possono portare a insegnamenti attuabili per i responsabili politici e migliorare la velocità dei pagamenti ai sopravvissuti alle inondazioni. A seguito di un grave evento alluvionale, il più grande fattore determinante del tempo di recupero e della resilienza futura di una comunità è la rapidità con cui accede al capitale. Più persone e più beni sono colpiti dalle inondazioni rispetto a qualsiasi altro disastro alimentato dal clima, il che a sua volta fa restare poveri i Paesi poveri e fa aumentare il prezzo del cibo e delle abitazioni ovunque. Siamo orgogliosi di consentire ai governi e agli assicuratori di proteggere le persone e miliardi di beni che non sono mai stati in grado di proteggere prima».

5 agosto 2021

Ue: "Si è chiuso il secondo luglio più caldo di sempre in Europa"

repubblica.it/green-and-blue/2021/08/05/news/ue_si_e_chiuso_il_secondo_luglio_piu_caldo_di_sempre_in_europa_-313027993

di Cristina Nadotti

(ansa)

Conferme del cambio climatico anche a livello locale e globale. L'Osservatorio di Modena registra temperature record su uno storico di 160 anni. L'allarme di Greenpeace Asia: "Nel Sud est asiatico ondate di calore sempre maggiori e sempre più in anticipo"

05 Agosto 2021

Una conferma ulteriore dell'innalzamento delle temperature globali e del cambio

climatico arriva oggi dai dati sulle temperature registrate in Europa a Luglio. Secondo le rilevazioni del Copernicus Climate Change Service (C3S), il servizio implementato da European Centre for Medium-Range Weather Forecasts per conto dell'Unione Europea, il mese che si è da poco concluso è stato il secondo luglio più caldo mai registrato in Europa.

Così come luglio 2020, quello appena concluso è il terzo mese di luglio più caldo mai registrato a livello globale, solo meno dello 0,1°C più fresco di luglio 2019 e luglio 2016.

Ondate di calore si sono verificate dai Baltici al Mediterraneo orientale mentre il Nord America Occidentale continua a subire temperature eccezionalmente alte.

C'è una conferma italiana, locale eppure significativa, che arriva da Modena, dove oggi l'Osservatorio Geofisico di Unimore fa sapere che il luglio 2021 si classifica come il nono mese più caldo della serie storica misurata in piazza Roma dal 1861. L'Osservatorio

ha analizzato i dati meteo partendo dall'Osservatorio di Piazza Roma, nella torre di Levante del Palazzo Ducale dove è stata misurata una temperatura media di 27.1°C.

Confrontando tale dato con la media climatologica del trentennio di riferimento (1991-2020) pari a 26.1°C, troviamo un incremento di 1°C. Se escludiamo da questa classifica gli anni successivi al 2003 allora solo il luglio 1983 fu più caldo di quest'anno.

L'aumento delle temperature ha poi un riscontro a livello globale da un'analisi realizzata da Greenpeace East Asia, secondo la quale (come confermano anche le condizioni meteo che hanno influenzato le gare olimpiche a Tokyo) in Asia orientale fa sempre più caldo e sempre più in anticipo, con temperature torride sempre più frequenti. Analizzando le temperature di 57 città tra Cina continentale, Corea e Giappone, è emerso che il caldo arriva in anticipo durante l'anno in ormai più dell'80% delle città. A Tokyo e Seoul, durante il periodo 2001-2020, le prime giornate con temperature dai 30°C in su sono arrivate con un anticipo medio di 11 giorni rispetto ai due decenni precedenti. A Shanghai le prime giornate calde sono arrivate 12 giorni prima, mentre a Sapporo con ben 23 giorni in anticipo.

"Nelle ultime due settimane abbiamo visto diversi atleti olimpici collassare a causa di colpi di calore. All'inizio di quest'estate, le temperature estreme nel Guangdong, in Cina, hanno costretto le fabbriche a chiudere, e in Corea la morte di centinaia di migliaia di capi di bestiame è stata attribuita alle ondate di caldo. Questi episodi di calore estremo sono coerenti con il cambiamento del clima della regione e rischiano di diventare sempre più frequenti se i governi non decideranno di passare dagli inquinanti combustibili fossili a fonti di energia pulite, come eolico e solare", dichiara Mikyoung Kim, responsabile per Greenpeace East Asia dell'emergenza clima in Asia orientale.

5 agosto 2021

Nel documento Consiglio Nazionale dei Geologi (pagine 84-89)