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È possibile conoscere la volontà secondo Schopenhauer? a Sì, perché (6-8 righe) b No, perché (6-8 righe)

Il corpo e la volontà a rtHUr s cHOpeNHaUer Per Schopenhauer, a differenza di ciò che sosteneva Kant, è possibile cogliere la realtà in

3. È possibile conoscere la volontà secondo Schopenhauer? a Sì, perché (6-8 righe) b No, perché (6-8 righe)

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L’uomo non è solo soggetto conoscente ma anche corpo B

Due modi di essere del corpo

Piste di

lettura

Fra il dolore e la noia

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cHOpeNHaUer Secondo Schopenhauer, la vita dell’uomo è dominata dalla volontà di vivere, quindi da una tensione che non ha mai termine, da un’oscillazione continua tra desiderio, che è mancan- za e sofferenza, e momentaneo appagamento, tra dolore e noia.

• La vita, sotto la spinta della volontà, oscilla perennemente fra il dolore e la noia; • il desiderio è un soffrire perché nasce da una privazione, e la sua soddisfazione

è breve;

• quindi, o ne sopravviene uno nuovo, oppure si cade nel vuoto spaventoso della noia.

La volontà, in ogni grado della sua manifestazione, dal più basso al più alto, manca in- teramente di un fine ultimo; aspira sempre, perché la sua essenza si risolve in un’aspi- razione che non può cessare per via di nessun conseguimento, e che quindi è incapace di una soddisfazione finale; la volontà, per sua natura, si slancia nell’infinito, e soltanto degli ostacoli possono metterle un freno. [...]

Tutto ciò [...] [è] verificato [nei] fenomeni della natura. [...] Già da tempo riconoscemmo che questo sforzo, costituente il nocciolo e l’in sé di ogni cosa, è tutt’uno con ciò che in noi, dove si manifesta con la massima chiarezza nella piena luce della coscienza, si di- ce volontà. Il suo impedimento per via di un ostacolo che ne impedisca il fine momen- taneo, si dice sofferenza; mentre il conseguimento del suo fine si dice soddisfazione, be- nessere, felicità. [...] Perché ogni tendere nasce da una privazione, da una scontentezza del proprio stato, è dunque, finché non soddisfatto, un soffrire; ma nessuna soddisfazio- ne è durevole; anzi, non è che il punto di partenza di un nuovo tendere. Il tendere si vede sempre impedito, sempre in lotta, è dunque sempre un soffrire; non c’è nessun fi- ne ultimo al tendere: dunque, nessuna misura e nessun fine al soffrire. [...] Man mano che la conoscenza diviene più distinta, e che la coscienza si eleva, cresce anche il tor- mento, che raggiunge nell’uomo il grado più alto, e tanto più alto, quanto più l’uomo è intelligente; l’uomo di genio è quello che soffre di più. [...]

Ogni volere si fonda su di un bisogno, su di una mancanza, su di un dolore: quindi è in origine e per essenza votato al dolore. Ma supponiamo per un momento che alla volon- tà venisse a mancare un oggetto, che una troppo facile soddisfazione venisse a spegne- re ogni motivo di desiderio: subito la volontà cadrebbe nel vuoto spaventoso della no- ia: la sua esistenza, la sua essenza, le diverrebbero un peso insopportabile. Dunque la sua vita oscilla, come un pendolo, fra il dolore e la noia, suoi due costitutivi essenziali. Donde lo stranissimo fatto, che gli uomini, dopo ricacciati nell’inferno dolori e supplizi, non trovarono che restasse, per il cielo, niente all’infuori della noia. [...]

Sulla terra, l’uomo si trova dunque abbandonato a se stesso, incerto di ogni cosa, fuor- ché della sua indigenza e della sua angustia; le ansie per la conservazione della vita, in mezzo ad esigenze così difficili a soddisfare, e sempre rinascenti, bastano d’ordinario ad occupare tutta la vita. [...]

Per i più, la vita non è che una lotta continua per l’esistenza, con la certezza di una di- sfatta finale. E ciò che dà loro tanta forza di persistere in questo disastroso conflitto, non è tanto l’amor della vita, quanto la paura della morte, che tuttavia sta là, nel fondo, pronta sempre ad affacciarsi, [...] ultimo termine del penoso viaggio, meta spaventosa più degli scogli evitati. [...]

Ciò che tien desti e in moto i viventi, è il desiderio di vivere.

Orbene: assicurata che abbiano la vita, non sanno più che farsene: sopravviene allora un altro stimolo: il desiderio di liberarsi dal peso dell’esistenza, di renderlo insensibile, di “ammazzare il tempo”; in altre parole, di sfuggire alla noia. Così, la più gran parte di quelli che sono al riparo da ogni bisogno e da ogni preoccupazione, una volta riusciti a liberarsi di ogni altro peso, finiscono per diventar di peso a se stessi, e per ritenere co-

PARTE1 – CAP. 1 • LACRITICA DELLARAGIONE- SCHOPENHAUER EKIERKEGAARD

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La volontà non tende ad alcun fine B

È votata al dolore ... C

... o cade nella noia D

Il desiderio di vivere e la paura della morte

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me tanto di guadagnato ogni ora che riescono a passare, ogni particella che riescono a sottrarre a quella vita, per il cui massimo prolungamento avevano prima impegnate tut- te le loro forze. [...]

Tutta la vita umana scorre tra il desiderio e la soddisfazione. Il desiderio è per sua na- tura dolore: la soddisfazione si traduce presto in sazietà. Il fine, in sostanza, è illuso- rio: col possesso, svanisce ogni attrattiva; il desiderio rinasce in forma nuova, e con esso, il bisogno; altrimenti, ecco la tristezza, il vuoto, la noia, nemici ancor più terri- bili del bisogno. Quando il desiderio e la soddisfazione si seguono a intervalli non troppo lunghi né troppo brevi, la sofferenza che deriva da entrambi è ridotta al suo

minimum, e si ha la vita più felice. I momenti più belli e le gioie più pure della vita,

che, strappandoci all’esistenza reale, ci sollevano a spettatori disinteressati del mondo (accenniamo alla conoscenza pura ed esente da ogni volere, al godimento del bello, alla gioia pura dell’arte), richiedono disposizioni naturali estremamente rare; ben po- chi sono i privilegiati che possono goderne. Anzi: neppure a questi non arridono se non come sogni fugaci; senza contare che gli spiriti superiori gustano queste gioie in virtù di un’intelligenza superiore, che li rende accessibili a dolori sconosciuti al grosso pubblico, e ne fa tanti solitari in mezzo a una turba di viventi così dissimili da loro; il che ristabilisce l’equilibrio.

da A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, IV, cit.

GUIDA ALL’ANALISI

A

La volontà è la cosa in sé, il noumeno kantiano, inteso come un impulso incosciente, cieco e irresistibile, insito in ogni essere. Un impulso che non tende ad alcun fine. In pagine giu- stamente celebri, Schopenhauer ne descrive il manifestarsi nei processi della natura inani- mata e animata, fino all’uomo, dove appare nelle pulsioni istintive e – a livello di coscien- za – come volontà.

B

La volontà si manifesta anzitutto nel desiderio, che Schopenhauer ‘legge’ in modo negati- vo, in quanto sorge da un senso di scontentezza per qualcosa di cui siamo privi e verso cui tendiamo, soffrendo finché non lo conseguiamo. Ma, anche quando ciò avviene, solo per poco riusciamo ad essere soddisfatti, poiché c’è sempre qualche altra cosa a mancarci e ad alimentare, dunque, nuova tensione e nuova sofferenza, dolore. E questo per l’intera esi- stenza.

C

La noia è sempre in agguato: non appena è raggiunta qualche (momentanea) condizione di sicurezza nel vivere, l’esistenza stessa diviene un peso e gli uomini fanno di tutto per sfug- gire alla noia.

D

La condizione di ogni essere è caratterizzata dalla precarietà, dalla lotta per l’esistenza. Nell’uomo, essere dotato di coscienza, a tale condizione si aggiunge la certezza del morire, dell’inevitabile naufragio finale, cui si tenta in tutti i modi di resistere, ma sapendo che – prima o poi – la morte comunque verrà.

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