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Una possibile firma interna Inoltre, non è stata finora mai ravvisata quella che, con tutte le cautele del caso, potrebbe configurarsi come una celata firma interna al commento:

CHE I TERRORI SONO DI TRE TIPI (DEBOLEZZA, PROFONDITÀ,

4. Una possibile firma interna Inoltre, non è stata finora mai ravvisata quella che, con tutte le cautele del caso, potrebbe configurarsi come una celata firma interna al commento:

«Item et cum dicimus: “Neccessarium est Socratem ambulare cum ambulat”, quia si talis consequentia seu propositio intelligatur composita de dicto, vera est, si de re, falsa, et sic talis argumentatio non valet. Si Deus previdit aliquit neccessario, illud eveniet; ergo si Deus previdit aliquit neccessarium, est illud evenire, quia modo hec dictio neccessario non potest determinare ipsam consequentiam, sed tantum consequens».19 Quam glosam declarando, dic:20 “Si Deus prescivit Petrum cenaturum, neccessario Petrus cenabit,21 hoc est verum. Si hec dictio neccessario determinat totam illam propositionem condictionalem et non tantum alteram partem, et est sensus quod neccessario si hoc est, illud erit”, quasi velit dicere non aliter potest esse, et ita illud quod antecedit assotiatum consequenti sibi neccessitatem imponit. Quod consequens, si solum accipiatur et dicta dictio neccessario id solum respitiat, falsum est, cum ipse possit non velle cenare22 ex libero suo arbitrio. (P2, Par., XVII § 14-15)

Parlando della necessità della realizzazione della volontà e della prescienza divina («Si Deus previdit aliquit neccessario, illud eveniet»), l’autore dice di voler declarare (= chiarire, spiegare) la

18 G. Milani, scheda del doc. 267, CDD. 19 Glossae decr, to.

II, p. 1225. Simile in P3.

20 dic] dic dic A; dicit B.

21 prescivit Petrum cenaturum, necessario Petrus cenabit] previdit deum senaturum necessario senabit B. 22 cenare] senare B.

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glossa ai Decreti appena citata, e lo fa tramite il seguente esempio: “Se Dio seppe che Pietro avrebbe cenato, necessariamente Pietro cenerà”, imitando l’esemplificazione della glossa stessa («Neccessarium est Socratem ambulare cum ambulat»). Il nome scelto per l’esempio è Pietro, ovvero, se Pietro Alighieri è l’autore di P2, il suo nome: l’inserimento del proprio nome, cioè del primo che potrebbe venire in mente, in un esempio, è una scelta che avviene frequentemente, anche oggi, specie nel parlato. Questa frase esemplificativa è del tutto originale nei commenti danteschi e soprattutto non è presente né nei Decreti, né nelle glosse, né, a quanto mi risulta, in nessun altro testo, tranne nella terza redazione del commento. Chiamenti23 segnalava che la fonte fosse il Decretum Gratiani, ma in realtà in nessun luogo in quell’opera si parla di una cena prevista dal disegno divino, né di un Pietro protagonista dell’esempio. Naturalmente l’autore potrebbe far riferimento all’apostolo Pietro e non necessariamente a sé stesso, e ancora maggior cautela si deve al fatto che ‘Petrus’ e ‘Martinus’, sono i tipici nomi utilizzati in questo genere di esempi anche da Dante;24 eppure va fatta un’ultima notazione. Se per la prima volta dal ritrovamento della seconda

redazione si ritiene che in questa frase ci sia una firma interna, non si può dire lo stesso in assoluto: il copista di B, infatti, l’aveva già ravvisata, e spieghiamo brevemente perché. In luogo di Si Deus

prescivit Petrum cenaturum, neccessario Petrus cenabit B legge Si deus previdit deum senaturum

necessario senabit, camuffando dunque il nome di Pietro (prima lo sostituisce con Dio, poi lo elimina del tutto) e inventando un verbo (senaturum) pur di togliere anche l’elemento della cena.25

Non si tratta dell’unico caso in cui B elimina una firma di Pietro: all’inizio del commento, nasconde quella più evidente:

Quamvis librum Comedie Dantis Alleghierii de Florentia, Petri mei genitoris [mei precessoris B], non modicum in suo tegumento clausum et obscurum hactenus nulli temptaverint totaliter calamo aperire, certe licet in partem, nondum tamen in totum, ut abitror, egerunt. Nitar et ego post eos ad presens, non tam fiducia scientie quam quodam zelo et caritate filiali accensus [caritativo motu accessus B]. (P2, Inf., Prol. § 1)

Anche la firma finale (cfr. P2, Par., XXXIII § 42) è assente nel Barberiniano, perché la sua

testimonianza si era interrotta poco prima. Non è possibile, per ora, comprendere il motivo per cui il Barberiniano nasconda il nome del figlio di Dante; di sicuro «tanto quel mei precessoris, come quel

caritativo motu accensus riescono inesplicabili se non si suppongono derivati dalla lezione: mei

Petri genitoris...quodam zelo et filiali caritate accensus», per «espellere di proposito il nome di Pietro».26 E questa sembra essere l’intenzione di B anche per la firma interna, evidentemente così

percepita senza dubbi dal copista, in tempi molto più vicini al testo rispetto ai nostri.

5. «Iuxta monasterium». L’autore di P2 dimostra anche una profonda conoscenza di Ravenna:

Sic igitur autor hic nil aliud vult dicere nisi ostendere que dictarum regionum recipiat ab Alpibus hoc flumen Montoni et illud ducat in mare, que est dicta Emilia, cum dictum flumen Montoni iuxta muros Ravene fluat et sic in Emilia, secundum partitionem huius auctoris dictarum contratarum. Que aqua, ut dicitur hic in textu, est primus fluvius qui habet proprium caminum, idest qui primo per se intrat in mare Adriaticum, penes

23 Cfr. P3, p. 628.

24 Cfr. Dante, De vulgari eloquentia, II, VI 4: «ut : “Petrus amat multum dominam Bertam»; Convivio III, XI 7: «Onde non diciamo Gianni amico di Martino». Devo il riscontro a Marco Berisso, che ringrazio.

25 Senaturum non può essere, in B, una diversa realizzazione fonica di cenaturum: sarebbe l’unico caso di assibilazione

c > s.

78 civitatem Ravene predicte iuxta monasterium Sancte Marie in Portu, a sinistra costa montis Apenini a monte Vesulo, respiciendo versus Orientem. (P2, Inf., XVI § 8)

La precisa indicazione della vicinanza del corso del fiume al monastero di Santa Maria in Porto è del tutto originale. Anche in questo caso non si fa fatica ad accostare l’identikit del commentatore, esperto conoscitore di Ravenna, a Pietro Alighieri, che in quella città abitò dal 1315 al 1321.