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DESCRIZIONE DEL PROGETTO

CHIAREZZA DEL MESSAGGIO domanda

11.1 Possibili aree di miglioramento

Alla luce di questi risultati è emersa la necessità di fornire al cittadino informazioni comprensibili e chiare per creare la percezione di un'assistenza sanitaria più sicura.

Le possibili aree di miglioramento consistono in:

- Studio di un percorso di accompagnamento del paziente

Poiché un’alta percentuale degli intervistati (33%) ritiene la sala operatoria il luogo più pericoloso all’interno di una Struttura sanitaria, organizzare un percorso di accompagnamento del paziente chirurgico può ridurre tale timore e aumentare la fiducia e la sicurezza del paziente verso la Struttura e gli operatori.

Il percorso deve analizzare tutte le fasi preoperatorie e intraoperatorie quali l’attesa per l’intervento, la discesa in sala operatoria, i momenti che precedono l’ingresso, la preparazione della sala e l’inizio dell’intervento.

- Utilizzare strumenti con immagini chiare e comprensibili

L’informativa deve contenere termini che i destinatari utilizzano abitualmente, evitando termini tecnici o parole sconosciute.

- Utilizzare strumenti con immagini tranquillizzanti - Fornire materiale informativo

Utilizzare brochure e depliant contenente indicazioni precise provenienti dalla letteratura e dalle esperienze nazionali ed internazionali, rivolto non solo ai pazienti ma ai loro familiari, agli operatori, ai volontari.

- Utilizzare spot televisivi o immagini su display che trasmettano informazioni semplici, comprensibili e tranquillizzanti.

CAPITOLO 12

Bombardati di notizie su casi di malasanità, i cittadini generalmente non percepiscono la struttura ospedaliera come un luogo totalmente sicuro; la maggior parte degli intervistati ha risposto infatti che il timore maggiore riguarda la paura di cadere o comunque di procurarsi un trauma accidentale.

Ma da che cosa è influenzata la percezione del rischio?

E’ ormai appurato che la percezione del rischio non ha una relazione diretta con

gli effetti fisici dell’evento negativo che lo genera (Clemente 2004)17.

Negli ultimi anni si sono quindi moltiplicate le ricerche sui possibili fattori che possono influenzare la sua accettabilità che può variare sensibilmente in rapporto alla probabilità di accadimento dell’evento.

Quando gli eventi sono molto familiari rischio oggettivo e percepito coincidono. Quando gli avvenimenti si fanno meno frequenti si ha una errata percezione in eccesso; quando infine gli eventi sono estremamente rari, la percezione è in difetto.

In linea di principio Starr18 propone queste motivazioni:

- l’accettabilità del rischio dipende in modo inversamente proporzionale dal numero di persone che partecipano all’attività rischiosa

- i rischi involontari sono accettati mille volte meno dei rischi volontari E comunque l’accettabilità del rischio dipende anche da caratteristiche che riguardano l’individuo come il sesso, l’età, il grado di cultura, il contesto sociale ed economico, la conoscenza del problema.

I risultati ottenuti dalle interviste effettuate evidenziano le esigenze di una comunicazione di tipo universale sottolineando la carenza di efficacia comunicativa relativa alla sicurezza delle cure.

La letteratura e le esperienze maturate a livello nazionale ed internazionale offrono metodologie e strumenti per l’ accertamento della cultura della sicurezza ed il suo miglioramento, che devono diventare parte integrante del piano per la gestione del rischio clinico delle aziende sanitarie.

Per aumentare la percezione della sicurezza delle cure le persone intervistate propongono fondamentalmente tre azioni: responsabilizzare, specializzare e riorganizzare.

Convincere attraverso la comunicazione ad adottare stili di vita e abitudini tale da rendere piu’ sicura la qualità delle cure erogate è un concetto imprescindibile da quello di marketing sociale.

La definizione che ne dà Philip Kotler, “il marketing sociale è l’utilizzo dei principi e delle tecniche del marketing per influire sulla decisione di un gruppo target nell’accettare, rifiutare o modificare, abbandonare volontariamente un comportamento allo scopo di ottenere un beneficio per i singoli, i gruppi o la società nel suo complesso”, ci aiuta da subito a capire quanto queste tecniche possano servire per i nostri obiettivi.

Quindi, se la finalità è promuovere l’adozione di stili di vita favorevoli alla salute e alla sicurezza, quindi l’abbandono o la modifica di atteggiamenti e comportamenti insalubri e insicuri, il marketing sociale è una tecnica che può aiutarci a raggiungere questo obiettivo.

I cambiamenti che vogliamo ottenere sono fondamentalmente di quattro tipi: un cambiamento cognitivo, cioè saperne di più, per es. sui rischi e su come ridurli e affrontarli; un cambiamento di azione e di comportamento, inducendo all’abbandono di abitudini pericolose e l’assunzione di comportamenti sani e infine, il cambiamento più importante e profondo, ma anche il più difficile da ottenere, un cambiamento di valori, affinché la salute e la sicurezza oro non sia soltanto un diritto da esigere, ma anche un dovere che ciascuno di noi ha verso se stesso e verso gli altri, costruendo consenso intorno all’idea che la promozione e la tutela della salute e della sicurezza non è solo questione di adempimento di norme, ma fondamento di un processo di miglioramento della qualità della vita di ciascuno e dell’intera comunità.

Per utilizzare le tecniche del marketing nella promozione della salute e della sicurezza dobbiamo prima di tutto capire quali siano le differenze e le analogie rispetto al marketing tradizionale di impresa.

La prima cosa che balza all’occhio è che l’oggetto dell’offerta non sono beni o servizi, ma idee, comportamenti e valori, a cui talvolta possono essere associati beni e servizi offerti per l’adozione di quel dato comportamento.

Conseguentemente nel marketing sociale finalità dell’offerta non è produrre profitto o migliorare l’immagine di una linea di prodotto e/o di una azienda come nel marketing d’impresa, ma risolvere un problema di interesse collettivo

attraverso i cambiamenti di comportamenti individuali o di gruppo, sia prospettando benefici individuali di interesse collettivo, che benefici sociali derivanti da comportamenti individuali.

Diventa comunque difficile convincere qualcuno a mutare abitudini e comportamenti se in cambio non gli prospettiamo qualche vantaggio che sia maggiore della fatica connessa al cambiamento.

La concorrenza non sarà rappresentata da una marca o un prodotto, ma piuttosto da un’opinione o uno stile di vita che si vogliono modificare, in quanto sfavorevoli alla salute, nonché dagli interessi che sostengono questi comportamenti.

In sintesi il marketing sociale è la progettazione, la realizzazione e la valutazione di programmi per aumentare l’accettabilità di un’idea.

Questo vuol dire che molte campagne non funzionano semplicemente per il fatto che si rivolgono nel modo sbagliato a un dato target, non tenendo conto di quali siano i benefici ricercati da quel particolare gruppo bersaglio della comunicazione.

Inoltre la distribuzione del nostro prodotto idea, in questo caso le campagne della Regione Toscana per la sicurezza delle cure, non potrà avvenire soltanto attraverso materiale cartaceo come manifesti o depliant, ma anche attraverso i media della comunicazione di massa oltre a personale idoneamente formato e sensibile al problema sicurezza e gestione del rischio.

Ma per far arrivare il messaggio esattamente come lo intendo io non è semplice. Se proviamo a pensare a quando leggiamo un articolo di un argomento specifico: legale, medico, tecnico, ecc…per chi è di quel settore specifico la comprensione è chiara , perché condividono la stessa “lingua” tecnica.

Ma per chi è fuori da “quel mondo” diventa molto difficile! Ma non perché siamo diventati di colpo ignoranti, ma, se non conosciamo nel dettaglio quel particolare settore, ci è concesso di non conoscere i termini “tecnici”specifici.

Viene così richiamata l’attenzione sulla natura socialmente stratificata della percezione e delle reazioni all’esposizione ad un rischio: chi dispone di minori risorse materiali, ma ancor di più di quelle culturali, reagirebbe invece all’incertezza riponendo la propria fiducia nelle opinioni di coloro che si

conoscono e con i quali si condivide la cultura, dando quindi nuovamente importanza al confronto con il proprio contesto di riferimento, in un progressivo processo di aggregazione, analogo a quello descritto come caratteristico dell’epoca pre-moderna.

Le interpretazioni del rischio da parte delle persone socialmente meno forti sarebbero quindi contestualizzate, rappresentando una sorta di “riflessività privata” per la quale le fonti di conoscenza, e i processi di valutazione personali, sarebbero quelli più importanti. Ignorare il sapere esperto potrebbe allora essere il risultato della scelta, non proprio consapevole ma derivante comunque da una costruzione culturale, di considerare questo come marginale rispetto ai problemi cruciali del soggetto, quando non addirittura ingannevole. Ecco allora che le opinioni sul rischio verrebbero ad essere determinate dalla posizione degli individui all’interno dell’ambiente sociale, e contribuirebbero a sviluppare e rafforzare la coesione tra i gruppi e il senso di appartenenza ad essi.

Acquisterebbero allora grande importanza i significati locali che assume il rischio, vale a dire i modi in cui gli individui sperimentano il proprio mondo in quanto realtà da interpretare con l’aiuto dei significati e dei saperi condivisi, e quindi di quella che può essere definita come “esperienza vissuta”. Si fa insomma strada l’idea che la percezione del rischio dei profani, anche quando appaia distorta, non lo sia quale conseguenza dell’ignoranza, ma sia comunque attivamente costruita come fatto sociale. Nel caso di coloro che sono socialmente avvantaggiati attraverso un confronto con il sapere esperto e con le istituzioni, nel caso delle fasce di popolazione meno forti dal continuo riferirsi alla propria comunità. Partendo da questo presupposto i significati assegnati al rischio non possono allora che mutare da luogo a luogo, e dipendere dalle caratteristiche del micro- contesto all’interno del quale si sono formati.

Non si tratterebbe allora più di riflettere su come aumentare la comprensione del messaggio ma al più di comprendere l’uso che dei giudizi degli esperti viene fatto, ed il valore che questi assumono all’interno di ogni contesto culturale particolare. La cultura condivisa non sarebbe infatti solo un sistema utile a conoscere i rischi ma contribuirebbe, attraverso considerazioni che prenderebbero forma intorno ai concetti di doveri e di aspettative reciproche, al formarsi di una nozione di rischio collettiva.

Parallelamente allo sviluppo della modernità, inevitabilmente, muta allora anche il concetto stesso di comunicazione del rischio: se nella prima fase prevale l’attenzione ad una comunicazione intesa come tecnica persuasiva, nella tarda modernità l’enfasi viene invece posta sul processo di scambio tra i soggetti che, a diverso titolo, devono essere coinvolti nei processi decisionali (Powell e Leiss, 1997)19.

Il punto di riferimento teorico non è allora più “il marketing sociale” (Donovan e Henley, 2003)20 ma torna ad essere lo “sviluppo di comunità”, e l’idea centrale intorno a cui lavorare, semplice e rivoluzionaria, è allora quella di impegnarsi per conoscere realmente la comunità alla quale ci si rivolge: non per meglio definire il messaggio persuasivo, bensì per creare le condizioni procedurali, strutturali e educative, che permettano di promuovere una comunicazione “comunicativa”, che si proponga cioè di ridefinire il senso che assume il rischio in quel momento e in quella comunità, ancor prima di negoziare le soluzioni utili a rimuoverlo (Dervin e Frenette, 2001).

Una cultura della sicurezza esiste solo quando l’ impegno organizzativo è focalizzato a mantenere i pazienti al sicuro poiché dalla consapevolezza dell’impossibilità di eliminare del tutto gli errori emerge la necessità di individuare le strategie per ridurli.

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