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La possibilità, ammessa dal regolatore europeo, di includere anche gli ob-

ob-bligazionisti tra coloro che sono chiamati a ripianare le perdite dell’azienda,

inter-nalizzandole, reca una innovazione negli assetti sistemici dell’impresa bancaria che, con riguardo alla realtà italiana, induce a riflettere su taluni aspetti disciplinari del nostro ordinamento giuridico che inficiano la coerenza delle modifiche normative indicate dalla legislazione UE. Del resto, anche i principi in tema di corporate

gover-nance enunciati dal Basel Committee on Banking Supervision del luglio 2015

sottoli-neano la priorità della tutela degli interessi dei debt-holders rispetto a quella degli

equity-holders,12 in particolare per le banche retail (introducendo in tal modo il principio di proporzionalità spesso trascurato) (EBA Banking Stakeholder Group, 2014; Alessandrini et al., 2016; Montedoro, 2016; Masera, 2016), segnando un si-gnificativo progresso nella logica ordinatrice dei rapporti endo-societari.

È evidente come il menzionato orientamento normativo, interagendo sul tradizione ruolo ascritto ai membri della compagine sociale, determini una sorta di «disallineamento strutturale… tra l’interesse… degli azionisti… e l’interesse… dei depositanti e dei creditori in genere» (Lamandini, 2015). Si ridimensiona, infatti, il diaframma esistente tra i diritti spettanti ai detentori di capitale di rischio e quelli riconosciuti a coloro che vantano crediti verso la banca; si modifica, per tal via, la tradizionale relazione tra proprietà, amministrazione e controllo che, a partire dalla distinzione posta da Berle and Means (1932), ha contraddistinto la tematica del controllo societario. Vanno, quindi, sottoposti a revisione i principi sui quali, a lungo, si è fondata la teoria dell’impresa creditizia, riguardata nei profili concernenti i «diritti di proprietà» sul capitale, quali presupposto dell’accesso alla governance; teoria nella quale logica di mercato, organizzazione aziendale e principio di autorità risultano combinati in modalità variegate nella ricerca di una struttura ottimale, ca-ratterizzata da equilibrio finanziario (Jensen and Meckling, 1976; Stiglitz, 1992) ed equo raccordo tra potere e responsabilità (Williamson, 2000).

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Orbene, mentre nel passato aveva segnato un importante momento di rivisi-tazione critica della materia in esame la segnalazione del rilievo ascrivibile al capi-tale umano ed al suo accesso nella realtà d’impresa quale origine di un potere e, dunque, premessa del suo esercizio in chiave autoritativa (Rajan e Zingales, 1998), quel che oggi viene in discussione è l’esigenza di ridefinire gli equilibri interni alla

governance delle banche, in considerazione delle citate modifiche della regolazione

speciale. In altri termini, necessita rivisitare la portata dispositiva del previgente im-pianto disciplinare divenuta al presente inadeguata ove vengano conservati immu-tati gli attuali meccanismi organizzativi e funzionali della gestione delle banche. A ben considerare, questi ultimi sono divenuti d’improvviso obsoleti in quanto a se-guito del nuovo programma di resolution risulta quantomeno anacronistica la for-mula disciplinare che assegna esclusivamente ai titolari del capitale azionario della società bancaria l’esercizio del potere autoritativo che individua l’essenza della

go-vernance. Ed invero, come si è in precedenza sottolineato, oggi sono chiamati a

ri-spondere delle conseguenze negative di eventuali situazioni di crisi e/o mala gestio anche soggetti diversi da quelli che hanno nominato gli organi amministrativi e di controllo delle banche divenute insolventi. Può dirsi, pertanto, che si addiviene ad una sostanziale equiparazione tra le categorie degli azionisti e degli obbligazionisti, le quali finiscono col partecipano alla realtà d’impresa in modalità non differenziate, come puntualmente viene puntualizzato dalla stampa specializzata sottolineando: «many bank bondholders will find their investment is at substantial risk - of conver-sion to equity, or of a “haircut” to its value, or of having its interest coupons elimi-nated» (Jenkins, 2016).

Si delinea, quindi, uno scenario nel quale emerge una nuova tipologia d’impresa bancaria, nella quale una coerente applicazione dei criteri della raziona-lità sia economica sia giuridica sollecita l’introduzione di opportune modifiche al tradizionale modello di ‘governo societario’ fondato, in via esclusiva, sulla riferibilità alla equity (che segna i confini legali ed economici delle entità soggettive in esame

e, dunque, il correlato sistema di diritti). Da qui l’esigenza rappresentata in dottrina di un apposito intervento normativo volto a riequilibrare il rapporto ri-schio/responsabilità nella regolazione della governance bancaria; ne sono inequi-voci indicatori l’auspicata introduzione in subiecta materia delle «speciali preroga-tive … riconosciute dall’art. 2351, ultimo comma (nomina di un consigliere e un sin-daco) cc. a favore di portatori di pretese debitorie» e la chiara rappresentazione di un favor alla rivalutazione del ruolo dei fondi di garanzia in vista della possibilità di consentire a questi ultimi di «poter esprimere un componente dell’organo di ge-stione e/o dell’organo di controllo» (Lamandini, 2015).

In un similare ordine logico volto a tener conto del sostanziale ruolo svolto dagli obbligazionisti all’interno della struttura aziendale si collocano alcune recenti ricerche, effettuate negli USA, nelle quali viene proposta la revisione del modello della corporate governance al fine di riconoscere a tale categoria di stakeholders un’adeguata posizione di rilievo, coerente con la specificità della loro funzione (Schwarcz, 2016). Più in particolare, l’analisi in questione costruisce l’afferenza degli obbligazionisti al governo delle imprese nel riferimento alla peculiare avversione al rischio che caratterizza le loro scelte operative; donde la particolarità dell’azione dai medesimi svolta, la quale si risolve non solo in una riduzione dei costi, bensì in un efficace ridimensionamento del rischio sistemico.

È evidente come tale ripensamento del modello di governance societaria non è riconducibile alle motivazioni che, in precedenza, si sono rappresentate avendo riguardo alla possibile incidenza di situazioni di crisi su soggetti diversi dagli azioni-sti; tuttavia, non può disconoscersi il fatto che in tale indagine viene superata la in-scindibilità del nesso proprietà/amministrazione nella gestione aziendale. È appena il caso di far presente che, a partire dal 2014, la Banca d’Italia ha accolto le istanze del mercato ad una maggiore autonomia ed indipendenza dell’organo amministra-tivo prevedendo la possibilità che quest’ultimo «ai fini delle nomine o della coopta-zione dei consiglieri… identifica preventivamente la propria composicoopta-zione

quali-quantitativa considerata ottimale in relazione agli obiettivi individuati», all’uopo in-dicando il profilo professionale richiesto per i candidati; proposta dalla quale i soci possono discostarsi solo motivatamente (Banca d’Italia, 2014). Se n’è dedotto un rinnovato assetto degli interessi che orientano la governance bancaria (Sacco Ginevri, 2016), donde l’apertura di una breccia nella rappresentazione della tradi-zionale visione statica del rapporto tra diritti e doveri, fino ad epoca recente posta a fondamento del Preferred Shareholder Model.

Può dirsi, pertanto, che ragioni variegate - riconducibili ora ad un più equili-brato raccordo del binomio responsabilità/rischio (come è dato desumere dalla re-golazione europea), ora all’obiettivo di favorire la performance aziendale di medio periodo riducendone la volatilità attraverso innovative forme di bilanciamento delle forme operative (cui sembrano orientati gli studi d’oltralpe) - fanno ritenere ormai maturi i tempi per dar corso ad un cambiamento disciplinare della materia in esame, sì da conformare la norma al fatto, il diritto all’evolvere della storia.

6. Un’indiretta conferma delle conclusioni cui si è pervenuti in precedenza è