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Il potenziale utilizzo dell’istituto nella liquidazione coatta amministrativa

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1. Il potenziale utilizzo dell’istituto nella liquidazione coatta amministrativa

L’istituto della cessione delle azioni revocatorie può esplicare tutte le sue potenzialità anche in relazione alle procedure amministrative.

Per quanto riguarda, in particolare, la cessione autonoma nel procedimento di liquidazione coatta amministrativa, l’art. 210 comma 1 L.f. prevede che “il commissario liquidatore ha tutti i poteri necessari per la liquidazione dell’attivo, salve le limitazioni stabilite dall’autorità che vigila sulla liquidazione”.

Diversamente da quanto accade nella fase fallimentare, al commissario liquidatore non si richiede, dunque, di redigere alcun programma di liquidazione da sottoporre agli altri organi della procedura; non è previsto alcun limite temporale per l’inizio della fase di liquidazione; non sono dettate specifiche regole e procedure da seguire per la scelta dell’acquirente; non sono stabilite norme ad hoc per le cd. cessioni aggregate, se si eccettua quella contenuta nell’art. 210 comma 2 L.f., ai sensi del quale “in ogni caso per la vendita degli immobili e per la vendita dei mobili in blocco occorrono l’autorizzazione dell’autorità che vigila sulla liquidazione e il parere del comitato di sorveglianza”.

Il commissario liquidatore è, quindi, libero, salve le eventuali limitazioni derivanti dalle direttive, impartite dall’Autorità di vigilanza, di scegliere sia il tempo, sia la tipologia (aggregata o atomistica), sia la modalità della

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vendita (trattativa privata, licitazione, asta pubblica, procedura competitiva ex art 107 L.f.).

Proprio questa libertà di forme e la conseguente estrema flessibilità nelle operazioni di vendita, del tutto sconosciuta nell’impostazione del 1942 in ambito fallimentare, ha reso in passato la liquidazione coatta amministrativa il terreno fertile per la nascita di istituti che oggi ritroviamo all’interno della disciplina comune fallimentare204.

Difatti è noto che la previsione della cessione d’azienda, di rami di azienda, di beni e rapporti giuridici individuabili in blocco e delle attività e delle passività, di cui all’art. 105 L.f., trovi il suo antecedente specifico proprio nella disciplina della liquidazione coatta delle banche (art. 90 comma 2 T.U.B.).

In tale scenario, sembra pacifico che il commissario possa procedere alla cessione a terzi delle azioni di pertinenza della massa, ivi comprese quelle revocatorie ordinarie e fallimentari (sempre che, in quest’ultimo caso, sia stato accertato giudizialmente lo stato di insolvenza), indipendentemente dal ritenere che, anche nella liquidazione coatta amministrativa, si ritenga applicabile, in via analogica o estensiva, la disposizione di cui all’art. 106 L.f.. 205.

D’altra parte la stessa dottrina che anche in passato si è occupata dell’argomento, specialmente con riferimento alla liquidazione coatta delle banche, non ha mai esitato a ritenere cedibili tali azioni206.

204D. Vattermoli, op. cit., pag. 458.

205M. Spiotta, Commento sub art 210, in Jorio, Il nuovo diritto fallimentare, cit., pag. 2687, la quale propende per l’applicabilità nella liquidazione coatta amministrativa della disposizione contenuta nell’art. 106 comma 1 L.f..

206 D. Vattermoli, Le cessioni aggregate nella liquidazione coatta amministrativa delle banche,

Milano, Giuffrè, 2001, pag. 200 ss.; M. Perrino, Le cessioni in blocco nella liquidazione coatta bancaria, 2005, Torino, Giappichelli, pag. 285-288.

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A tale scopo è comunque necessario che vengano rispettate le stesse condizioni già viste quando si è parlato della cessione fallimentare, prima fra tutte quella che vede nell’organo della procedura l’unico soggetto legittimato ad intraprendere il giudizio revocatorio.

Sul punto va, infine, richiamata la disposizione di cui all’art. 92 comma 9 T.U.B. che consente ai commissari liquidatori di richiedere l’estromissione dal processo, senza che sia necessario il previo consenso delle altre parti costituite.

Tale norma, di cui si è proposta l’applicazione anche in ambito fallimentare è, a maggior ragione, da ritenere applicabile in tutte le tipologie di liquidazione coatta amministrativa; ed in tal senso sembra deporre anche la formulazione dell’art. 261 comma 9 D. Lgs. n. 209 del 2005, dettato in tema di liquidazione coatta amministrativa delle imprese di assicurazione (che riproduce nella sostanza l’art. 92 comma 9 T.U.B.). In ambito concordatario la dottrina207 aveva osservato che il legislatore

del 1942 si era richiamato per la liquidazione coatta amministrativa al modello del concordato fallimentare, pur nelle vistose differenze rispetto ad esso.

La disciplina di tale istituto, contenuta negli artt. 214-215 L.f. ha subito, però, consistenti modifiche ad opera del decreto correttivo n. 169 del 2007, che ha provveduto a renderla più omogenea con la disciplina propria del concordato fallimentare.

Le innovazioni principali sono state due: a) l’autorizzazione amministrativa a proporre il concordato non è più prevista soltanto a favore dell’impresa, ma altresì ad uno o più creditori o ad un terzo; b) i soggetti autorizzati possono proporre al tribunale un concordato a norma dell’art 124 L.f..

207 S. Satta, Diritto fallimentare, Padova, 1990, pag. 518; A. Bonsignori, Liquidazione coatta

amministrativa, in Comm. L.f.all. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1974, sub art. 214, pag. 308.

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Dunque, da un lato si osserva l’estensione dei possibili proponenti, ma qui senza la gerarchia desumibile, per il nuovo concordato fallimentare, dalle limitazioni temporali poste al fallito, rivelatrici dell’intento del legislatore di privilegiare l’iniziativa di uno o più creditori o di un terzo e di considerare in un certo senso residuale quella del fallito.

Dall’altro lato, si osserva il richiamo integrale all’art. 124 L.f., prevedendo la cessione a favore dell’assuntore delle azioni di massa, ivi comprese le azioni revocatorie fallimentari, sempre che sia stato accertato giudizialmente lo stato di insolvenza208.

Anche per il concordato di liquidazione viene introdotto il principio dell’autonomia delle parti nella formulazione della proposta, con la conseguente possibilità di effettuare una suddivisione in classi dei creditori nonché di prevedere il pagamento in percentuale dei privilegiati. Nonostante l’intervento armonizzatore della riforma del 2007, permangono, però, notevoli differenze tra il concordato di liquidazione e il concordato fallimentare.

In particolare, non sembra nella specie applicabile la limitazione, posta dall’art. 124 comma 4 L.f., della cedibilità delle sole azioni già autorizzate al momento della presentazione della proposta209.

A simile conclusione sembra giungere per due importanti considerazioni: in primo luogo, nella liquidazione coatta amministrativa non esiste alcun giudice delegato; in secondo luogo, l’autorizzazione non potrebbe essere

208 Sul punto va sottolineato come, anche nel sistema anteriore alla riforma la giurisprudenza era giunta ad ammettere la cessione delle revocatorie a favore dell’assuntore del concordato di liquidazione. Cfr. App. Roma, 1 Aprile 1997, in Corr. Giur., 1998, pag. 1077, ove si afferma che “se è indubitabile che l’art. 124 L.f.. non menzioni le azioni revocatorie, è pur vero che, essendo la procedura concorsuale sfociata nel concordato, conseguenza normale è la possibilità di cedere all’assuntore le azioni revocatorie, e la mancata menzione delle stesse non può avere la valenza di esclusione di tale possibilità, in quanto solo un espresso divieto avrebbe potuto avere tale effetto”.

209G. Tarzia, La cessione delle azioni revocatorie prima e dopo la riforma, cit., pag. 868.

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rilasciata neppure dall’autorità che vigila sulla liquidazione visto che per l’esercizio delle azioni revocatorie il commissario liquidatore non deve richiedere autorizzazione alcuna, non essendo stato richiamato l’art. 31 comma 2 L.f..