dell’ascendente e divenuti effettivamente legittimari, dovranno imputare tali
assegnazioni al fine di stabilire se ancora ad essi spetti alcunché, a titolo di
legittima, sul patrimonio ereditario eventualmente residuato alla stipulazione
del patto di famiglia, o se, al contrario, essi abbiano ricevuto dal de cuius, in sede
di patto di famiglia, beni che per valore assorbano per intero, o addirittura
superino, la legittima
217. Il valore da prendere in considerazione ai fini
dell’imputazione è, come prevede la legge, quello attribuito al bene nel patto di
famiglia e non, come invece previsto per l’imputazione ex art. 564 c.c., quello
che il bene possiede al momento dell’apertura della successione.
Queste considerazioni appaiono coerenti con la previsione normativa
dell’esenzione da collazione o riduzione di <<quanto ricevuto dai contraenti>>
(art. 768 quater, 4° co., c.c.). Senza pregiudizio per la struttura comunque
bilaterale del contratto, per <<contraenti>> devono qui intendersi non solo i
discendenti assegnatari dell’azienda, parti formali del contratto, ma altresì i
legittimari partecipanti non beneficiari dei beni produttivi, e parti in senso solo
sostanziale del patto, che abbiano contrattualizzato nei confronti del disponente
la propria posizione di assegnatari di beni diversi dall’azienda o dalle quote
societarie
218. Anche quanto ricevuto da questi <<contraenti>> a titolo di
liquidazione, proveniente dal patrimonio del disponente, è infatti sorretto dalla
medesima funzione riorganizzativa del patrimonio d’impresa cui è preordinato
il patto di famiglia. Ragion per cui anche per queste assegnazioni di beni risulta
del tutto giustificata la previsione di un regime speciale che le sottrae, in sede
successoria, agli ordinari meccanismi di tutela della legittima.
massa ereditaria al momento dell’apertura della successione. Si potrebbe così verificare che i legittimari non assegnatari, una volta stabilito l’esatto ammontare dell’asse ereditario al momento dell’apertura della successione, possano esercitare i propri diritti non già rispetto ai beni assegnati con il patto di famiglia, stante il divieto di collazione e riduzione cui all’art. 768 quater, comma 4°, c.c., bensì con riguardo a quelli ereditari o che siano stati oggetto di liberalità diverse rispetto al patto di famiglia>>.
217 Cfr., al riguardo, S.DELLE MONACHE, op. ult. cit., 905-906, che rinviene il senso dell’imputazione ex art.
768 quater, 3° co., c.c. nel consentire che, all’apertura della successione del disponente, i beni ottenuti ex
pacto dai legittimari non assegnatari dell’azienda in funzione liquidatoria vengano riuniti nella massa di calcolo della legittima e poi considerati ai fini dell’imputazione ex se, fermo restando che anche riguardo a tali beni opera l’esenzione da collazione e riduzione.
218 Nella medesima ottica è evidente come non abbia alcun senso intendere la previsione dell’esenzione da
collazione e riduzione come riferita anche alle liquidazioni effettuate, in denaro o in natura, dai discendenti assegnatari dell’azienda o delle partecipazioni societarie, così come non sarebbe corretto, dal punto vista logico - giuridico, estendere l’obbligo di imputazione ex art. 768 quater, 3° co., c.c. a tali attribuzioni: si tratta infatti di attribuzioni aventi ad oggetto beni che non derivano dal patrimonio del disponente, cioè del soggetto rispetto al quale i destinatari di queste liquidazioni diventeranno o potrebbero diventare successori necessari.
L’antinomia che, in questa prospettiva, sembrerebbe sussistere tra
l’imputazione dei beni ricevuti dal legittimario ex art. 768 quater, 3° co., c.c. e la
non riducibilità dei beni medesimi è, in realtà, solo apparente
219. Assolvendo
all’obbligo di imputazione il legittimario, all’apertura della successione del
disponente, rende possibile accertare il rispetto delle proporzioni entro cui le
norme sul patto di famiglia consentono di realizzare un trapasso generazionale
inter vivos nei beni d’impresa suscettibile di paralizzare l’operatività di alcune
delle regole proprie della successione necessaria. Queste proporzioni, in
relazione alla liquidazione di uno o più legittimari con beni del patrimonio
dell’imprenditore, sono tracciate proprio dal bilanciamento del regime
favorevole delle assegnazioni ex art. 768 quater, 3° co., c.c. con l’obbligo di
imputazione a carico del legittimario che ne sia il destinatario
220.
In ultima analisi, gli accordi di liquidazione di cui all’art. 768 quater, 2° e 3° co.,
c.c. rappresentano un indice della complessità dei rapporti giuridici cui può dar
vita il patto di famiglia
221. Le norme del nuovo capo V bis c.c. prevedono
espressamente la possibile commistione di una molteplicità di prestazioni,
disomogenee tanto sotto il profilo soggettivo che oggettivo e tuttavia espressive
di un medesimo assetto funzionale e ancorate a identici valori predeterminati.
La configurazione del patto di famiglia come operazione giuridica
funzionalmente unitaria, a struttura complessa, di riorganizzazione negoziale
del patrimonio d’impresa, supera e assorbe la qualificazione atomistica delle
singole pattuizioni che possono partecipare di quella stessa funzione. Si tratta
ora, a completamento dell’indagine sulla struttura e sulle modalità operative
del patto di famiglia, di verificare la tenuta dell’opzione ricostruttiva sin qui
219 Cfr. F.GAZZONI, op. loc. cit.
220 In questo senso G.PALERMO, Struttura, funzione ed effetti, cit., 82: <<La norma sembra avere riguardo
all’ipotesi di eccedenza del valore dei beni assegnati agli altri partecipanti rispetto alla misura stabilita dall’art. 768 quater, comma 2, dettando una disciplina per la quale il regime ordinario della successione dei legittimari mantiene il suo vigore laddove non risultino mantenuti, nelle debite proporzioni, gli equilibri che il “patto di famiglia” tipicamente involge>>.
221 Secondo N.GASPERONI, op. cit., 363-364, in presenza di <<un patto aggiuntivo o modificativo di un
unico negozio>> non può <<ravvisarsi il fenomeno del collegamento negoziale>>, in quanto <<il patto aggiuntivo o modificativo va ad inserirsi nel negozio già esistente modificandolo limitatamente a quelle parti per le quali è contenuta una nuova disciplina. La possibilità di arricchire lo schema causale del contratto senza alterazioni sostanziali, di foggiare lo schema causale secondo determinate e concrete esigenze pratiche, entro i limiti imposti dalla struttura del tipo contrattuale e dalle norme assolute o cogenti, che ne regolano gli effetti tipici e non possono essere eluse dalle parti, costituisce, invero, uno degli aspetti più salienti dell’autonomia riconosciuta ai soggetti nel campo del diritto privato>>.