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Il potere pubblico puro della p.a

4. Il potere e le forme della giurisdizione

4.2 Il potere pubblico puro della p.a

La cifra caratterizzante la p.a. è, invece, l’essere manifestazione del potere esecutivo, ovvero dello Stato – persona nei suoi rapporti con gli amministrati. Interessa, dunque, discutere circa l’atteggiamento che la p.a. assume in tale contesto e del principio di cui si avvale nel suo concreto e precipuo operare.

Si è già accennato al fatto che, per ogni norma attributiva di potere pubblico alla p.a. sussistevuna situazione giuridica di interesse legittimo volta a regolarne l’esercizio; e dove c’è interesse legittimo, afferma la Costituzione (si veda anche l’art. 7 cpa), si radica la giurisdizione amministrativa. Fin qui il discorso appare nitido, in quanto si stabilisce una regola. La situazione si fa più complessa però, non appena emergono le eccezioni. Esiste un’area di compresenza fra potere pubblico e diritti soggettivi? Con quali conseguenze processuali? E soprattutto i diritti fondamentali vi sono coinvolti?

Alla prima domanda si può già rispondere positivamente, se si pone mente alla giurisdizione esclusiva, in cui, per determinate materie, interessi legittimi e diritti soggettivi si confondono, senza però porre in discussione il radicamento della giurisdizione amministrativa. Il criterio della causa petendi entra qui già in crisi.

Anche nella giurisdizione di legittimità, però, non si stenta a ravvisare uno spazio per i diritti soggettivi. Si tratta, in primo luogo, della attività c.d. vincolata223, dove la

222 Diversamente, infatti, si avrebbe una sostanziale “privatizzazione” della pubblica

amministrazione.

223 V., ad esempio, le attività di trascrizione del matrimonio (art. 16 della legge di ratifica del

concordato); corresponsione di indennizzi a cittadini e imprese italiane per beni perduti in territori già soggetti alla sovranità italiana e all’estero (art. 2, comma 4 della legge 94 del 1998); rettificazione degli atti dello stato civile (artt. 95 e ss. del d.P.R. n. 396 del 2000); rettificazione delle liste elettorali (art. 34, comma 28, lett. a) d.lgs. n. 150 del 2011); retrocessione dei beni espropriati

Corte di cassazione è solita ravvisare la sussistenza di diritti soggettivi, e quindi la competenza della giurisdizione ordinaria a fronte dell’attività interamente priva di discrezionalità. Anche se mette conto di ricordare per completezza che il Consiglio di Stato, dal canto suo, riscontra, invece, la presenza di diritti soggettivi, e quindi la competenza del giudice comune, solo laddove il vincolo sia posto a presidio dell’interesse del privato224

; per il supremo organo amministrativo, infatti, non bastando il carattere vincolato dell’attività in sé per affermare la sussistenza di un diritto soggettivo, possono individuarsi doveri giuridici a carico dell’amministrazione ai quali non corrisponda alcun diritto a favore di privati225.

In ogni caso, in senso diametralmente opposto a quanto avviene nella giurisdizione esclusiva, qui il criterio della causa petendi sembrerebbe completamente rispettato e, anzi, prevalente rispetto alla identificazione del riparto di giurisdizione mediante il criterio del potere pubblico, che sembra ora irrilevante. In altri termini, anche dove si riscontra il potere pubblico, se sussistono diritti soggettivi, si radica la giurisdizione ordinaria.

La questione non parrebbe però così semplice: può dirsi, infatti, che sussista “potere” pubblico laddove si dispiegano diritti soggettivi?

Richiamando lo schema logico - norma attributiva di potere

- esercizio del potere (regolato dall’interesse legittimo) - interesse generale (risultato dell’esercizio del potere),

si può agevolmente notare che l’interesse legittimo sorge sulla base della struttura teleologica della norma attributiva di potere, la quale intende perseguire l’interesse generale (risultato) attraverso il coordinamento degli interessi pubblici e privati.

Laddove, però, l’attività vincolata sia posta a presidio dell’interesse del privato, l’interesse legittimo scompare e l’esercizio del “potere” non ha più una regola di esercizio della discrezionalità nel rispetto di un interesse; bensì vi è un’“attività vincolata” funzionale alla tutela di un diritto226.

La relazione giuridica tra pubblica amministrazione e cittadino, benché la prima resti sempre in posizione di supremazia, è costruita in modo tale da soddisfare

(t.u. espropriazione); opposizione all’ingiunzione per le sanzioni amministrative (art. 23 della legge n. 689 del 1981).

224 Cons. Stato, Sez. IV, 26 giugno 1959, n. 705, in Foro amm., 1959, I, 954.

225 V. Cons. Stato, Ad. Plen., 12 novembre 1965, n. 29, in Foro amm., 1965, I, 2, 1378.

226 Sul punto v. E. CAPACCIOLI, Manuale di diritto amministrativo, I, Padova, 1983; A. ORSI

BATTAGLINI, Attività vincolata e situazioni soggettive, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1988, pp. 3 e ss.; D.

SORACE, Diritto delle amministrazioni pubbliche, Bologna, Il Mulino, 2002.

In senso contrario, però, v. F.G.SCOCA, La teoria del provvedimento dalla sua formulazione alla

legge sul procedimento, in Dir. amm., 1995, pp. 1 e ss.

In generale, la disputa è richiamata anche in A. TRAVI, Lezioni di giustizia amministrativa,

l’interesse del secondo, al verificarsi dei presupposti di legge. Tale accertamento, però, è effettuato dalla p.a. in qualità non di soggetto attivo di un bilanciamento fra interessi nel rispetto di una regola di azione (id est l’interesse legittimo), ma in quanto ente di garanzia nella verifica del ricorrere di determinati presupposti tassativamente individuati.

Anche l’attività amministrativa tout court (che potremmo definire “di interesse legittimo”) può svolgersi solo in presenza di determinati elementi stabiliti per legge. Questi ultimi, però, sono solo un punto di partenza per l’esercizio del potere, il quale si snoda attraverso una “analisi discrezionale” nel rispetto dell’interesse legittimo del destinatario del provvedimento: il risultato dell’azione amministrativa ha qui natura costitutiva.

Diversamente, nella attività amministrativa vincolata in favore di un privato (che potremmo definire “di diritto soggettivo”), si ha un procedimento analogo al modello del sillogismo deduttivo di diritto privato; si tratta di una deduzione condizionata (alla presenza dei requisiti di legge per il rilascio del provvedimento) e rigorosa. In altre parole, il procedimento di sussunzione del caso concreto nella regola non è il prodotto di una scelta autoritativa, ma è un atto dovuto (vincolato, appunto) di natura dichiarativa.

Ciò significa che non sussiste una contraddizione fra il criterio di riparto della giurisdizione c.d. della causa petendi e quello basato sulla sussistenza del potere pubblico perché laddove l’attività è vincolata non sussiste affatto potere. Il diritto soggettivo comporta la giurisdizione ordinaria, ma presuppone anche l’assenza di una attività di natura costitutiva della p.a.; vale a dire dello stesso potere pubblico che è all’origine del radicamento della giurisdizione amministrativa (nei fatti, e in maniera del tutto coerente, qui assente).

Finalmente, un altro ambito in cui tradizionalmente si è esclusa la giurisdizione amministrativa sono i diritti fondamentali. Ora, però, non verrà trattata la tutelabilità in astratto dei diritti fondamentali da parte del giudice amministrativo, perché questo è il punto centrale del nostro discorso e sarà trattato più approfonditamente in seguito. Né s’intende qui indagare la teoria della indegradabilità dei diritti fondamentali di fronte al potere pubblico, né discorrere della sua fallacia e illustrare il perché e il per come del suo sgretolamento sul piano storico.

La nostra attenzione va invece più specificamente all’analisi della riserva espressa

legislativamente (e non a livello teorico), e quindi inopinabile, del giudice ordinario a

favore di alcuni diritti fondamentali espressamente individuati dalla legge227. È chiaro che si tratta di cosa ben diversa dalla disquisizione su una teoria generale integrativa del riparto della giurisdizione che trova nel passato i suoi fasti, ma che oggi è venuta meno.

227 Il riferimento è a una serie di atti legislativi. In particolare, alla legge n. 196 del 2003, in

materia di protezione dei dati personali; alla legge n. 230 del 1998, in tema di obiezione di coscienza; e al decreto legislativo n. 286 del 1998 sull’immigrazione, come modificato dalla legge n. 189 del 2002, di cui si affronta subito la trattazione.

La disciplina cui si fa riferimento è recata dalla legge n. 189 del 2002, che ha previsto che il ricorso avverso gli atti della commissione territoriale competente per il riconoscimento dello status di rifugiato siano presentati al tribunale in composizione monocratica territorialmente competente. È questo infatti il punto di arrivo di una lunga diatriba giurisprudenziale. In particolare, è stata la Cassazione civile a configurare per prima il diritto di asilo come diritto soggettivo perfetto spettante alla giurisdizione del giudice ordinario, in quanto riconducibile all’art. 10, comma 3228, della Costituzione; e, pertanto, insuscettibile di affievolimento229. Ciò in conseguenza anche della avvenuta abrogazione operata dall’art. 46 della legge n. 40 del 1998 (e poi confermata dall’art. 47 del t.u. sugli stranieri) nei confronti dell’art. 5 del d.l. n. 416 del 1989, che prevedeva espressamente la giurisdizione del giudice amministrativo avverso i provvedimenti di espulsione e quelli di diniego e revoca dei permessi di soggiorno.

Per il Consiglio di Stato, invece, nonostante la suddetta abrogazione esplicita, la giurisdizione sarebbe dovuta appartenere sempre al giudice amministrativo, in base all’asserito esercizio di un potere discrezionale da parte dell’amministrazione nell’apprezzamento dei fatti e della loro rilevanza per il riconoscimento dello status di rifugiato230.

Come anticipato, il contrasto è stato poi risolto dal legislatore mercé l’art. 32 della legge n. 189 del 2002, che ha devoluto le controversie sul diritto di asilo e sullo status di rifugiato al giudice comune.

Appare interessante, però, comprendere in base a quale procedimento logico- giuridico si è addivenuti a tale soluzione.

Occorre allora premetere che gli istituti di protezione dello straniero esplicano massima rilevanza a livello costituzionale (art. 10) e internazionale (in particolare, art. 3 CEDU). Siffatto intenso gradiente di garanzia si declina in una limitazione della discrezionalità amministrativa nel valutare la sussistenza delle esigenze di protezione del bene giuridico individuale, ad opera del legislatore, laddove agisce in senso conformativo dell’attività della p.a. nel caso concreto.

228 V. Cass. , Sezz. Un., 26 maggio 1997, n. 4674; e, successivamente, Cass., Sezz. Un., 17

dicembre 1999, n. 907.

229 Come si vede, il presupposto teorico del ragionamento della Cassazione è, ancora, quella

teoria dell’indegradabilità dei diritti fondamentali che è stata smentita in maniera definitiva dalla Corte costituzionale con sentenza n. 140 del 2007. Tuttavia, si vedrà, la riserva legislativa di giurisdizione a favore del giudice ordinario per alcuni diritti trova la propria ratio sostanziale in ben altra argomentazione in punto di diritto, in qualche modo analoga a quella illustrata a proposito dell’attività vincolata della pubblica amministrazione; nel caso di specie, il riferimento è, chiaramente, alla mancanza de facto dell’esercizio di un qualche potere pubblico da parte della p.a., che possa quindi giustificare la devoluzione delle relativa controversie al giudice amministrativo.

In altri termini, l’emanazione dell’atto della p.a. viene legislativamente correlata all’accertamento positivo di presupposti di fatto esaustivamente indicati dalla legge231

, e all’accertamento negativo della insussistenza dei requisiti per l’applicazione delle disposizioni che disciplinano la protezione internazionale nelle sue forme del riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, ovvero che impongono l’adozione di misure di protezione solo temporanea per motivi umanitari232

. Insomma, c’è “accertamento” e non “valutazione”; “verifica” e non “discrezionalità”. In altri termini, non sussiste esercizio del potere pubblico da parte della p.a. E in ragione della inesistenza di margini di ponderazione degli interessi in gioco da parte della pubblica amministrazione, la giurisdizione sulle controversie aventi ad oggetto il diritto di asilo e lo status di rifugiato spetta al giudice ordinario. Nel rispetto, anche qui, dei criteri di riparto della causa petendi e della relazione biunivoca fra potere pubblico e giurisdizione amministrativa.

4.3 Il potere pubblico “impuro”