La mortalità nelle infezioni da CRE varia ampiamente in un range tra 22% e 72% sia a seconda della popolazione in studio, che può essere ampiamente eterogenea per età e comorbidità, che dei criteri usati per distinguere la colonizzazione dall’infezione vera e propria48, che della sede di infezione e delle caratteristiche del batterio, come tipo di
carbapenemasi prodotta e profilo di resistenza dell’isolato.
L’alta mortalità osservata nelle infezioni da KPC-KP è, almeno in parte, attribuibile al ritardo nella somministrazione della terapia appropriata e alla mediocre attività e non ottimale farmacocinetica di alcune delle opzioni terapeutiche disponibili per il trattamento43.
Fattori associati alla mortalità emersi da studi caso-controllo, considerando pazienti con infezione da KPC-KP deceduti (caso) e pazienti con BSI da KPC-KP non-deceduti (controllo) sono:
1) Severità della condizione sottostante43,49,50: in particolare età avanzata (predittore
indipendente di mortalità15,51,52), alto Charlson score (predittore indipendente53),
insufficienza renale cronica (probabilmente è correlato alla mortalità anche perché riduce le opzioni terapeutiche, in quanto antibiotici nefrotossici come la colistina e la gentamicina, soprattutto se in combinazione verranno evitati54), epatopatia, ma
più alto tasso di mortalità tra i pazienti con malattie ematologiche comparate con altre comorbidità.
2) APACHE II all’ammissione51 e allo sviluppo dell’infezione48,55 che sono predittori
indipendenti di mortalità51
3) Fattori correlati alla gravità dell’infezione: Sepsi severa51, shock
settico15,48,50,51,54(predittore di mortalità indipendente a 30 giorni43), alto SOFA score
e necessità di ventilazione meccanica43, SAPS II15, AKI52.
4) Monoterpia, anche quando appropriata48,51,56
5) Ricovero in terapia intensiva43,53. Anche Zarkhotou et al.51 hanno rilevato una
mortalità minore tra i pazienti con BSI da KPC-KP ricoverati in terapia intensiva rispetto agli altri reparti medico/chirurgici (28,9% vs 46,7%; p 0,22). Secondo gli autori, questo potrebbe essere imputabile al più stretto monitoraggio dei pazienti in terapia intensiva e al più alto sospetto di infezione da KPC-KP, con pronto trattamento empirico appropriato.
6) Sensibilità dell’isolato, in particolare è stato evidenziato un aumento della mortalità per infezioni da KPC-KP resistenti alla tigeciclina, alla gentamicina15 e alla
colistina54. In particolare, Capone et al., in uno studio prospettico, hanno riscontrato
che l’infezione da KPC- KP colistino-resistenti è predittore indipendente di mortalità ed è associato ad un aumento della mortalità di 4 volte rispetto a pazienti con ceppi sensibili53. Come per altri batteri MDR, la maggiore mortalità, durata
dell’ospedalizzazione e costi delle infezioni da KPC-KP e per KPC-KP resistenti agli antibiotici last-resort come la colistina sarebbe dovuta principalmente alla inadeguata e/o ritardata terapia antibiotica e alla gravità dello stato di salute del paziente in cui in genere si sviluppano queste infezioni57. Infatti, sebbene l’aumentata virulenza
potrebbe spiegare l’impatto negativo delle infezioni da MDR sull’outcome clinico, a oggi, nessuno studio ha dimostrato questa associazione, se non per infezioni da MRSA acquisite in comunità, anzi l’acquisizione di resistenze antibiotiche nei bacilli Gram negativi potrebbe determinare una riduzione della fitness biologica57.
7) Chemioterapia e terapia immunosoppressiva48
8) Alcuni autori hanno anche evidenziato una maggiore mortalità nei pazienti che hanno una più lunga ospedalizzazione prima dello sviluppo della batteriemia, probabilmente perché in questi pazienti le comorbidità e la pressione selettiva degli antibiotici sul microbioma intestinale sono maggiori.31,55 Anche la recente
9) Batteriemia polimicrobica50.
Mentre sono fattori associati alla sopravvivenza:
1) Appropriatezza della terapia antibiotica, intendendo la somministrazione di antibiotici attivi in vitro per almeno 48 ore. L’inappropriatezza della terapia antibiotica è un fattore di rischio modificabile indipendente per la mortalità.43,51
2) Terapia con combinazione di antibiotici attivi50,51. In particolare Tumabarello et al.
hanno riscontrato un miglioramento della sopravvivenza quando viene effettutata una terapia con due o più antibiotici attivi in vitro48,54.
La terapia di combinazione potrebbe essere importante anche per prevenire l’insorgenza di ulteriori resistenze53, frequenti con la monoterapia.
3) Batteriemia catetere-relata51
4) Interventi terapeutici per il controllo della sorgente di infezione51 che è un fattore
indipendentemente associato a un miglior outcome e modificabile45. Al contrario,
una batteriemia secondaria ad infezione polmonare è associata ad una maggiore mortalità56, probabilmente anche perché la sorgente dell’infezione è di difficile
controllo oltre che per la minore efficacia di alcuni farmaci a quel livello (colistina ev43, gentamicina58).
5) Precedente chirurgia o catetere venoso centrale al momento della diagnosi51
6) Appropriatezza e tempestività della terapia antibiotica empirica43,48,54. Anche se non
tutti gli autori sono concordi su questo, per esempio Zarkhotou et al. non hanno rilevato differenza significativa nella mortalità di chi non ha ricevuto un adeguato trattamento empirico rispetto a chi lo ha ricevuto (mortalità 35,7% vs 33,3%; p 0,87), tuttavia gli autori spiegano che probabilmente questo è una conseguenza del fatto che i pazienti che hanno ricevuto un trattamento empirico adeguato si presentavano più frequentemente con sepsi severa.
Dato che molti predittori di mortalità sono importanti fattori di rischio non modificabili non solo per la mortalità ma anche per la colonizzazione/infezione, si comprende come le misure di prevenzione e controllo della diffusione della KPC-KP siano fondamentali43.
Una volta che l’infezione si è sviluppata, il management terapeutico rimane la prima variabile modificabile sulla mortalità e in particolare sono associati a minore mortalità il controllo della sorgente e l’adeguato trattamento antibiotico, soprattutto con terapia combinata43.
3.6 Mortalità attribuibile
Determinare l’impatto delle infezioni da KPC-KP sulla mortalità nei pazienti ospedalizzati rappresenta una sfida perché si tratta in genere di pazienti con molte comorbidità. Inoltre, le infezioni sono associate alle procedure e ai devices invasivi usati durante l’ospedalizzazione e al ricovero in UTI che sono indipendentemente associati ad un aumento della mortalità, anche in assenza di infezione.
La mortalità complessiva di un paziente che muore in ambito ospedaliero in seguito a infezione da KPC è la somma della mortalità correlata all’infezione e della mortalità non correlata all’infezione e questa è molto maggiore in pazienti colonizzati con ceppi resistenti rispetto a quelli colonizzati con microrganismi più sensibili. Dato che alcuni fattori di rischio per la colonizzazione sono anche fattori con un impatto sulla mortalità, la stima della mortalità non correlata all’infezione può essere approssimata a quella dei colonizzati che non hanno sviluppato l’infezione.
Stimare la mortalità correlata all’infezione sottraendo la mortalità non relata all’infezione è importante perché qualsiasi tipo di intervento messo in atto per migliorare il trattamento dell’infezione avrà un impatto solo sulla mortalità attribuibile all’infezione. Quindi, anche in seguito all’uso di un antibiotico perfetto o di un trattamento che riduca la mortalità infezione-relata nei pazienti infettati da CR-KP a 0%, ci si aspetta una riduzione del tasso di mortalità ospedaliera tale da raggiungere quella dei controlli, cioè i pazienti colonizzati da CR-KP. Chi ha la polmonite da KPC-KP muore 3 volte in più del colonizzato, chi ha la batteriemia 2 volte in più. In questi pazienti si riscontra anche una maggiore durata dell’ospedalizzazione con conseguenti maggiori costi, aumento del rischio di infezioni intraospedaliere e loro complicanze nonché presenza di una sorgente per infezione di altri pazienti vulnerabili da parte di KPC-KP59.
Falagas et al. hanno condotto una meta-analisi per valutare la mortalità attribuibile alle infezioni da Enterobacteriaceae usando studi pubblicati prima del 9 aprile 2012, in particolare 9 studi sono stati inclusi nella meta-analisi. La mortalità attribuibile è stata definita come la differenza di mortalità per tutte le cause tra i pazienti con infezioni da K. Pneumoniae resistenti ai carbapenemici e le infezioni da K. Pneumoniae sensibili ai carbapenemici. La mortalità attribuibile a KPC-KP è risultata tra il 26% e il 44% in 7 studi e in 2 studi, che tuttavia includevano batteriemie e altri tipi di infezione, la mortalità attribuibile alla resistenza ai carbapenemici degli isolati è stata tra il 3% e il 4%.
Il numero di morti tra i pazienti con batteriemia da CR-KP è risultato 2 volte maggiore che tra i pazienti con batteriemia da CS-KP. Ma questa significativa differenza di mortalità non è stata riportata in studi su pazienti con infezioni diverse dalla batteriemia o comunque in cui la sede di infezione non era riportata. Questo suggerisce, che il maggiore tasso di mortalità in pazienti con infezioni da CR-KP rispetto a quella in pazienti con CS-KP è soprattutto espressione dell’elevata mortalità in pazienti con batteriemia da CR-KP.
Le comorbidità e la gravità delle condizioni del paziente al momento della diagnosi sembrano molto rilevanti al fine della mortalità delle infezioni da CR-KP. Infatti in 3 studi inclusi nella meta-analisi effettuata da Falagas et al. non risultava esserci una significativa differenza tra i pazienti con infezioni da CS-KP e CR-KP, probabilmente proprio perché le popolazioni di entrambi i gruppi erano molto simili.
Comunque, altri fattori, oltre alle comorbidità e alla severità della malattia al momento della diagnosi, possono essere responsabili dell’alto tasso di mortalità in pazienti con infezioni da CRE. In particolare, si è visto anche che i pazienti con infezioni causate da CRE molto più frequentemente rispetto a quelli con infezioni da CSE ricevono un trattamento empirico inappropriato e quest’ultimo è un fattore indipendentemente associato con la mortalità in pazienti. Inoltre, gli antibiotici usati per il trattamento (carbapenemici, colistina, fosfomicina, tigeciclina) potrebbero essere meno efficaci contro le infezioni da ceppi resistenti, anche perché alcuni degli antibiotici a disposizione per queste infezioni, per motivi di farmacocinetica, potrebbero raggiungere concentrazioni subottimali per il trattamento di infezioni severe da CRE, soprattutto per le batteriemie.
5 studi inclusi in questa meta-analisi, tuttavia, hanno mostrato che la resistenza ai carbapenemici o la produzione di KPC è un predittore di mortalità indipendente dopo l’aggiustamento per le condizioni intercorrenti e la severità della malattia49.
Anche Hoxha et al.60, valutando la mortalità attribuibile come differenza di quella da CR-
KP e CS-KP su 98 pazienti di cui 49 con CS e 49 con CR-KP, riscontrano che i pazienti con l’infezione da CR-KP hanno effettuato più procedure invasive durante l’ospedalizzazione, prima dell’isolamento di CR-KPC, e sono più gravi (SAPS II più alto), anche se la mortalità dei pz CR è risultata 3 volte superiore dopo aver corretto per possibili fattori confondenti come condizioni critiche e comorbidità. Per cui, avere un’infezione da CR-KP è un fattore di rischio di morte indipendente.
Mortalità cruda a 6 e 30 giorni per infezioni da CR-KPC e CS-KPC era rispettivamente 24% vs 8% e 61% vs 20%.
L’impatto delle comorbidità sulla mortalità complessiva nelle infezioni da KPC-KP viene sottolineato anche da Sbrana et al.61 che nel loro studio su 26 pazienti politraumatizzati
ricoverati in terapia intensiva hanno rilevato un tasso di sopravvivenza dell’88%, cioè circa il 20% maggiore di quanto generalmente riportato, ipotizzando che ciò sia riconducibile alle diverse caratteristiche della popolazione considerata: pazienti più giovani e senza comorbidità importanti.
Anche Daikos et al., in pazienti con infezione da KPC-KP, evidenziano una mortalità a 28 giorni per tutte le cause più alta di quella osservata in pazienti con infezioni da altri microrganismi (non CR-KP), probabilmente per la presenza di altri fattori, non dipendenti dalla virulenza del microrganismo. Infatti, natura e severità delle patologie sottostanti così come shock settico sono fondamentali per prognosi.50
3.7 Trattamento
Il trattamento ottimale per le infezioni da Enterobacteriaceae resistenti ai carbapenemici (CRE) non è a tutt’oggi stato definito con certezza. La maggior parte dei dati provengono da studi retrospettivi o prospettici osservazionali nonchè aneddotici case reports, solo pochi studi randomizzati controllati sono pubblicati sull’argomento62.
Il gene responsabile della produzione di KPC carbapenemasi, blakpc, frequentemente è
localizzato su un largo plasmide che conferisce resistenza non solo ai carbapenemici ma anche alle cefalosporine a spettro esteso, aztreonam, fluorochinoloni e alcuni aminoglicosidi. Conseguentemente, il trattamento delle infezioni da K. Pneumoniae produttrice di KPC è limitato all’uso di pochi antibiotici, generalmente colistina, tigeciclina, gentamicina, fosfomicina63.
La terapia di combinazione si è spesso dimostrata superiore alla monoterapia per trattare infezioni causate da KPC-KP, anche quando il microrganismo è suscettibile in vitro al singolo antibiotico somministrato e, in alcuni studi, è risultata indipendentemente associata alla sopravvivenza. Inoltre, la monoterapia è associata ad un più alto rischio di sviluppo di resistenze48,50-52,64,65. L’efficacia terapeutica della monoterapia appare tanto minore tanto più
combinata ha un impatto sulla mortalità maggiore in pazienti con batteriemia batteriemia, infezione polmonare, alto APACHE III e/o shock settico all’onset, quindi la terapia di combinazione è particolarmente importante nei pazienti con infezioni severe54.Comunque,
la terapia di combinazione è diventata uno standard nel trattamento di queste infezioni63.
Studi in vitro hanno evidenziato che, grazie ai sinergismi, la terapia di combinazione può essere efficace anche se i batteri sono resistenti ai singoli antibiotici. Tuttavia, i risultati sugli studi in vitro pubblicati sono spesso conflittuali e la loro rilevanza clinica è incerta; d’altra parte, in carenza di indicazioni di trattamento evidence-based possono essere utili per indirizzare le scelte terapeutiche e come screening di possibili associazioni da sperimentare su modelli animali o in studi prospettici65.
I meccanismi responsabili del sinergismo tra antibiotici non sempre sono chiaramente compresi, ma per alcuni vi sono delle plausibili spiegazioni. Per esempio la colistina, che è frequentemente un componente di efficaci combinazioni, aumenta la permeabilità di altri antibiotici attraverso la membrana esterna mediante un effetto detergente su di essa. Questo può controbilanciare meccanismi acquisiti di resistenza come la ridotta permeabilità agli antibiotici per la perdita di porine (meccanismo per altro importante anche per CR-KP63) e
inoltre, può permettere ad antibiotici che non sono tradizionalmente considerati valida opzione per il trattamento di gram negativi di esercitare la loro azione65, come si evince
dall’efficacie sinergismo tra colistina e antibiotici con attività verso i gram positivi, quali daptomicina e vancomicina, in infezioni da A. Baumannii66.
Anche i dati clinici per supportare la scelta della combinazione di antibiotici sono scarsi e talora conflittuali. In effetti, data la presenza di fattori confondenti come i frequenti cambiamenti nella terapia antibiotica, le comorbidità e l’alta mortalità complessiva, può essere difficile da determinare, a partire dagli studi osservazionali, l’efficacia di un trattamento antibiotico, soprattutto in pazienti critici. Inoltre, i risultati ottenuti con l’uso di una specifica combinazione potrebbero differire tra i vari studi per differenze nei dosaggi, nel timing di inizio e nella durata del trattamento, per le caratteristiche demografiche e cliniche del paziente, per la sede e la severità dell’infezione, per i fattori legati alla sensibilità dell’isolato1,65. A questo proposito, anche il metodo microbiologico usato per la rilevazione
delle MIC è importante, infatti, il sistema automatico di microdiluizione in brodo Vitek2 tende a sovrastimare la MIC verso i vari antibiotici rispetto all’E-test. La valutazione
dell’appropriatezza di una terapia sarà conseguentemente diversa a seconda del metodo utilizzato per lo studio della sensibilità dell’isolato.
Ad ogni modo, l’efficacia del regime terapeutico sembra dipendere dall’attività in vitro degli antibiotici usati sul batterio52 e in generale, la terapia ottimale sembra essere una terapia di
combinazione includere almeno due antibiotici attivi in vitro contro il batterio48,64.
Molto dibattuto è il possibile beneficio clinico di una terapia di combinazione contenente anche il carbapenemico rispetto a combinazioni “carbapenem-sparing”.
In effetti, l’utilizzo eccessivo che, a tutt’oggi viene fatto del meropenem, è considerato uno dei principali contribuenti alla persistenza dell’epidemia da KPC-KP, mentre i regimi carbapenem sparing potrebbero ridurre la pressione selettiva. Inoltre, anche se spesso non considerato negli studi, per valutare l’efficacia della terapia combinata contenente il carbapenemico si dovrebbe considerare anche la durata della somministrazione perché l’uso prolungato del carbapenemico potrebbe determinare una riduzione della mortalità per l’effetto su altri patogeni Gram-negativi sensibili67.
La MIC per i carbapenemici in isolati di CR-KPC può variare in un ampio range di valori, da 0,12 mg/dl a > 256 mg/dl, in parte in relazione al tipo di carbapenemasi ed eventuali altri meccanismi di resistenza concomintanti68.
I carbapenemici hanno un effetto battericida tempo-dipendente, percui, affinchè il farmaco sia efficace, la sua concentrazione deve rimanere al di sopra della MIC per almeno il 40- 50% dell’intervallo di tempo tra due successive somministrazioni. Da studi di farmacocinetica nell’uomo, si è visto che questo target, in presenza di una MIC ≤ 4 mg/dl per il meropenem, viene ottenuto nel 63%, 93% e 100% dei casi per dosaggi rispettivamente di 1g ogni 8 h con infusione tradizionale in 30 min, 1 g ogni 8 ore in infusione prolungata di 3 ore e 2 g ogni 8 ore in infusione prolungata. Per MIC di 8 mg/dl, solo il regime di somministrazione ad alti dosaggi in infusione prolungata ha una probabilità relativamente alta (85%) di raggiungere il target T>MIC per almeno 40-50% dell’intervallo tra le somministrazioni.
Inoltre, da vari studi che hanno esaminato l’efficacia dei carbapenemci contro isolati di CR- KP in modelli di infezione animale si è riscontrato che la somministrazione di un carbapenemico ad alto-dosaggio e infusione prolungata, è in grado di raggiungere almeno
un effetto batteriostatico in ospiti immunocompromessi e un modesto effetto battericida in animali immunocompetenti infettati con isolati di KPC-KP, con una MIC fino a 8 mg/dl68.
Sulla base di questi studi di farmacocinetica/farmacodinamica e di dati provenienti dalla letteratura Daikos at al.68 hanno concluso che il carbapenemico può essere una ragionevole
opzione terapeutica contro CR-KP, se 1) la MIC per il carbapenemico dell’isolato è ≤ 4 mg/dl 2) viene somministrato ad alto dosaggio in infusione prolungata 3) questa classe di antibiotici viene somministrata insieme ad un altro composto attivo.
Secondo altri autori, l’uso del carbapenemico ad alta dose/infusione prolungata associato con altri antibiotici attivi, rappresenta una ragionevole opzione terapeutica anche in presenza di MIC fino a 8 mg/dl1,54.
Uno studio osservazionale condotto tra il 2009 e il 2010 su 205 BSI CR-KP, rileva una minore mortalità nel gruppo trattato con terapia combinata comprendente anche il carbapenemico. Tuttavia, entro questo gruppo di pazienti, la mortalità aumentava da 19,3% a 35% per MIC meropenem ≤ 8 mg/dl e > 8 mg/dl rispettivamente. Inoltre il beneficio terapeutico derivante dai carbapememici è ridotto anche quando questa classe di antibiotici è associata con altri inattivi sull’isolato. E’ molto improbabile che possa esserci un beneficio clinico nell’uso del carbapenemico se la MIC è > di 16 mg/dl o se vengono usati in monoterapia, anche dopo l’ottimizzazione del dosaggio50.
Tumbarello et al.48, d’altra parte, in uno studio retrospettivo osservazionale su 125 BSI da
KPC-KP ha evidenziato un minor tasso di mortalità con un trattamento empirico contenente meropenem, colistina e tigeciclina con un tasso di sopravvivenza rispettivamente di 86,6% e 75% per MIC meropenem ≤ 4 mg/dl e ≥ 16 mg/dl, a fronte di una sopravvivenza media dell’intera coorte 58,3%. Tuttavia, sebbene più del 50% degli isolati avevano MIC ≥ 16 mg/dl per il meropenem, la maggior parte erano sensibili a colistina (88% con MIC di non più di 2 mg/dl) e tigeciclina (91,2% con MIC non più di 2 mg/dl) e nel trattamento delle infezioni da ceppi resistenti a colistina e tigeciclina, sono stati utilizzati gli aminoglicosidi in associazione al carbapenemico. Secondo gli autori, si potrebbe concludere che l’aggiunta del carbapenemico alla combinazione di tigeciclina e colistina determini un beneficio terapeutico nel trattamento di queste infezioni da KPC-KP.
E’ da notare che in molti ospedali, la maggior parte delle KPC-KP isolate hanno MIC per meropenem > 32 mg/dl, ben al di sopra del della MIC che permette di raggiungere un’efficacia terapeutica anche mediante somministrazione di alte dosi in infusione
prolungata52,61 e la possibilità che l’attività del meropenem sia potenziata in presenza di altri
antibiotici mediante meccanismi di sinergismo non è stata consistentemente documentata in vitro. Inoltre, un regime carbapenem-sparing, può essere vantaggioso per la riduzione della pressione selettiva sulla flora microbica intestinale dei pazienti, favorente la persistente colonizzazione intestinale da KPC-KP61.
E’ stato studiato anche il trattamento basato sull’associazione di due carbapenemici. In particolare, in vitro e in modello murino, doripenem e ertapenem in associazione sono risultati più attivi di quanto non fosse ciascuno dei singoli antibiotici. Anche, in vivo,