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3. UN CONFRONTO TRA LA MODESTA DI GOLIARDA SAPIENZA E LA

3.2 L’arte della gioia

3.2.2 Prefazione

Se è vero che ogni libro ha un destino, in quello dell’Arte della gioia c’entro di sicuro anch’io, fin all’incontro con Goliarda nel 1975, fin dal lavoro di revisione del romanzo che Goliarda mi affidò interamente. La sua morte improvvisa nel 1996 poi m’avviluppò definitivamente in quel destino. Ormai era affidata a me soltanto la responsabilità di far vivere o di abbandonare alla distruzione al storia di Modesta, già completa dal remoto 1976.107

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La Prefazione si apre con le parole di Angelo Pellegrino e mai persona fu più idonea per tale compito. Lui è stato colui che ha assistito direttamente alla realizzazione dell’opera, ne ha visto il rifiuto ed è riuscito a portata al successo.

In poche pagine Pellegrino cerca di far stabilire subito un legame tra il romanzo e il lettore, spiegandogli chi era Goliarda e che peso aveva per lei quest’opera della quale non ha mai potuto goderne il successo meritato.

Pellegrino racconta di quando è stato invitato dalla Rai per parlare del romanzo dell’amica ormai defunta, del lavoro malinconico ma ricco di evocazione e del fatto che tutto questo non fu vano, anche se ormai aveva perso le speranze di veder pubblicata L’arte della gioia.

I grandi distributori si mostrano interessati più alla storia dell’autrice che al romanzo in sé, ma questo fu sufficiente a farlo pubblicare già dal 2003.

Quando Goliarda viene informata nel 1996 della possibilità di poter pubblicare per intero l’opera, si rivolse subito a Pellegrino, emozionata e felicissima di poter finalmente vedere il romanzo a lei tanto caro edito nella sua totalità.

Pellegrino cerca subito di metterla in guardia sul non cadere nell’autocensura, dato che ormai erano passati oltre trenta anni dal primo appunto riguardante l’opera e data la paura, da parte di Goliarda, di non vederla pubblicata.

I due maggiori critici italiani, dopo aver letto L’arte della gioia avevano reagito entrambi in modo inequivocabile: il primo aveva definito il romanzo “un cumulo di iniquità”, affermando che finché sarebbe stato in vita non avrebbe permesso la pubblicazione di un simile libro; il secondo, invece, si era limitato a sottolineare come lui non avesse niente a che fare con quella “roba”.108

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A causa di quel romanzo Goliarda stessa si ridusse in povertà e andò in prigione, per cui, iniziò a circolare la voce che il testo fosse maledetto e che chiunque vi si avvicinava cadeva in disgrazia.109

Nel 1967 Goliarda aveva terminato Lettera aperta e Il filo di

mezzogiorno, i primi due romanzi di un ciclo autobiografico di cinque

opere che interruppe per ben nove anni per dar vita a Modesta e al suo mondo.

Scriveva di solito la mattina cominciando intorno alle nove e mezza, e andava avanti sino all’una e trenta, le due, tutti i giorni, cercando di sfuggire – e non era facile – ai numerosi inviti a colazione nel sole di Roma di quegli anni beati e agitati. Diceva sempre che scrivere significava rubare il tempo anche alla felicità. Si riposava canonicamente le domeniche. Fumava molto come un po’ tutti allora. La giornata di lavoro si concludeva spesso con un bagno caldo. Nel tardo pomeriggio suonava alla porta una assai più giovane amica, Pilù, quasi rossa con delicate efelidi sul viso e grandi occhiali. Insieme fumavano e bevevano; ma, soprattutto, Goliarda le rileggeva quanto aveva scritto la mattina. La regolarità dell’ascolto di Pilù credo sia stata determinante per il progresso di un’opera che non è certo un raccontino come tanti che si qualificano romanzi da un po’ di anni in qua. Pilù ascoltava con attenzione non professionale ma da accanita e colta lettrice. D’altra parte, Goliarda qualche volta faceva leggere quanto scriveva anche a Peppino, l’amato, distinto e sensibile portiere della casa di via Denza.110

La giornata di Goliarda si svolgeva intorno alla creazione di quel romanzo e il fatto che lo facesse leggere a persone comuni, a semplici lettori, dimostra la sua intenzione di realizzare un’opera che parli al popolo del popolo, un romanzo che racconta la vita comune e che vede le semplici persone come protagonisti.

Scriveva sempre su comuni fogli di carta extrastrong piegati in due perché, diceva, questo formato ridotto le consentiva una sua idea di misura – io credo però che fosse un ricordo, un bisogno delle dimensioni del vecchio quaderno dell’infanzia – dove vergava le parole con una grafia abbastanza minuta, facendo ciascun rigo via via più rientrato sino a ridurlo a una o due parole, allora ricominciava daccapo con un rigo intero. Veniva fuori un curioso disegno, una specie di elettrocardiogramma di parole, sì, una scrittura molto cardiaca.

Goliarda scriveva sempre a mani, diceva che aveva bisogno di sentire l’emozione del battito del polso, servendosi di una semplice Bic nero-china a punta sottile. Ne consumava decine semplicemente perché le disseminava dappertutto e poi non le trovava più.111

109 Ivi, p. VII. 110 Ibid. 111 Ivi, p. VIII.

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Una scrittura cardiaca, così Pellegrino definisce la modalità di

esecuzione della Sapienza, una scrittura che parte dal cuore per arrivare al cuore del lettore; dinamica, immediata ed estremamente spontanea. Questo il motivo per cui l’opera inizialmente non venne apprezzata: fu ritenuta eccessivamente spontanea e priva di filtri, a tratti anche “brutale” nel mostrare al grande pubblico le verità della vita.

Il fatto di non poter vedere mai pubblicata la propria opera come desiderava, rappresenterà per la scrittrice il dolore più grande. Per questo Angelo Pellegrino prende in mano il romanzo e cerca di pubblicarlo a ogni costo, perché sapeva quanto questo volesse dire per Goliarda e voleva in qualche modo far avverare questo suo ultimo desiderio.

Finché arrivai io. Ricordo che uno dei primi giorni che abitavo in via Denza, mentre salivo le scale m’imbattei in una cassapanca del Settecento austriaco che andava all’asta, pignorata in seguito a una vertenza sindacale della donna di servizio da troppo tempo non pagata, la comunque adorata Argia,a cui Goliarda rimase sempre grata nel ricordo per l’aiuto che il suo prezioso lavoro domestico le portò in quegli anni impegnati a scrivere L’arte

della gioia. A datare il nostro incontro Goliarda scrisse tutta la quarta e ultima

parte per il romanzo, che fu concluso proprio nella mia casa di Gaeta il 21 ottobre 1976.112

Un incontro così importante, sia per la realizzazione del romanzo che per la vita stessa della scrittrice, che le permetterà di ottenere non solo un collaboratore, ma anche un amico e un confidente molto prezioso. Dopo la conclusione a Gaeta Pellegrino si dedica ossequiosamente alla revisione del romanzo fino al 1978, anno in cui venne portato ad uno dei maggiori editori del tempo.

Purtroppo, a seguito di quella prima risposta negativa, ne seguirono molte altre, e così, Goliarda fu costretta a mettere da parte il romanzo.

Nel 1994, però, Pellegrino si impegnò con la Stampa Alternativa per curarne la pubblicazione e, successivamente, nacque l’idea di

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pubblicarlo per intero, incarico che fu portato avanti da Pellegrino da solo, a causa dell’improvvisa morte della scrittrice.

Goliarda non potrà vedere la sua Modesta in libreria. Ma so che il dolore non è più suo, è tutto mio per lei. Goliarda non è più. Però Modesta esiste. La felicità di uno scrittore, si sa, è il suo stesso lavoro, il veder crescere pagina dopo pagina negli esili segni delle parole scritte per i propri personaggi e le loro storie, vederli vivere di forma propria, pronti ad andarsene in giro fra la gente. Il resto, il volume sul banco del libraio, è soddisfazione – è anche ansia - non ha nulla a che fare con quella felicità.113

Pellegrino ci informa sul fatto che Goliarda non si rispecchiava molto in Modesta, affermando sempre che Modesta era sicuramente migliore di lei e che aveva avuto più fortuna. Dal momento che Goliarda non aveva potuto avere figli decide di far vivere quella esperienza a lei, lasciando una parte di sé in ognuno di loro.

Goliarda scriveva per i lettori più puri, per i più passionali che potevano realmente capire quello che lei stessa provava nel raccontare pagina per pagina, capitolo per capitolo, la vita di Modesta e del suo mondo.

Attraverso questa Prefazione Pellegrino riesce abilmente in primo luogo a farci incuriosire riguardo al romanzo, visto l’iter creativo e la vera e propria odissea che ha dovuto subire per essere pubblicato; in secondo luogo, riesce a farci instaurare una sorta di empatia e di vicinanza con Goliarda, una donna che è stata molto sfortunata nella vita, ma che, dal canto suo, aveva molto da dire e da dare al prossimo.

3.2.3 Trama

Il romanzo di sviluppa intorno alla figura di Modesta, una “carusa tosta”, così come la definisce l’autrice, dalla sua prima infanzia fino alla morte.

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Modesta nasce il 1° gennaio 1900 in una casa poverissima di una Sicilia ancora più povera, sembra che il suo destino sia ormai già scritto, destinandola ad un’esistenza dedita al lavoro senza alcuna prospettiva futura.

A differenza della Cristina di R. P. Gheo, però, Modesta possiede una caratteristica che manca alla giovane romena: un grande talento e un’intelligenza machiavellica che le permetteranno di scalare la gerarchia sociale e di porsi nella posizione che da tempo meritava.

Modesta si differenzia anche dalla Signora Mariana: pur di ottenere quello che vuole e che crede di meritare è disposta a sedurre sia uomini che donne e ad uccidere.

La storia sarà raccontata da una donna forte, nella quale troviamo il tentativo di ogni altra donna di “venire alla luce” scardinando regole, pregiudizi e le convinzioni di un’epoca intera.

Nonostante Goliarda non sia riuscita a far crollare queste regole, Modesta ci riesce in modo abile e ammirevole, dimostrando il coraggio e la forza di non arrendersi mai.

Sebbene il lettore non approvi sempre le decisioni di Modesta non può che rimanere affascinato dal suo magnetismo e dalla sua tenacia.

Il romanzo si divide in quattro parti che indicano le diverse fasi della vita della protagonista e della sua crescita personale.

3.2.3.1 Prima parte

Ed eccovi me a quattro, cinque anni in uno spazio fangoso che trascino un pezzo di legno immenso. Non ci sono nè alberi nè case intorno, solo il sudore per lo sforzo di trascinare quel corpo duro e il bruciore acuto delle palme ferite dal legno. Affondo nel fango sino alle caviglie ma devo tirare, non so perché, ma lo devo fare. Lasciamo questo mio primo ricordo così com’è: non mi va di fare supposizioni o d’inventare. Voglio dirvi quello che è stato senza alterare niente.114

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Modesta vive con la madre e la sorella disabile un’esistenza difficile in un piccolo paesino della Sicilia. Il suo unico confidente e amico è Tuzzu, un giovane ragazzo con il quale inizia ad assaporare le prime esperienze sessuali.

Una sera, rientrando dai campi, Modesta trova un uomo in casa, è il padre, figura violenta e ambigua che la invita a passare del tempo con lui.

Nonostante le grida di protesta della madre, rinchiusa in uno stanzino insieme alla sorella, Modesta accetta, inconsapevole di quello che le potrebbe accadere. Il padre, infatti, la violenta e provoca un incendio in casa, al quale sopravviverà soltanto Modesta.

Sola al mondo e ancora bambina viene accolta in un convento di suore, dove viene educata e istruita. Modesta instaura subito un forte legame con la madre superiora, a tal punto che le due si scambiano effusioni di natura affettuosa e, per paura di essere cacciata dal convento, Modesta tenta il suicidio.

Anche se per la giovane questo luogo è quasi come una prigione ha paura di lasciarlo e di trovarsi nuovamente sola, per questo inizia a osservare le persone e a capire come ottenere quello che vuole.

L’unico uomo presente nella struttura è Mimmo, il tuttofare, che la informa su cosa sia la vita vera, al di fuori di quelle mura, e la istruisce.

Alla morte improvvisa della madre superiora, Modesta teme di aver perso l’unica sicurezza all’interno del convento, ma in realtà la donna, essendosi molto affezionata alla ragazzina, la cita nel proprio testamento e ciò apre a Modesta la possibilità di trasferirsi presso la famiglia nobile e benestante della monaca.

Per la prima volta nella sua vita Modesta si trova davanti a una scelta molto importante: prendere i voti e farsi subito suora, rimanendo in un luogo a lei conosciuto e sicuro, oppure lanciarsi nel vuoto e trasferirsi in quella casa.

La giovane sceglie la seconda opzione che alla fine si rivelerà vincente, visto che la monaca era figlia di una principessa molto ricca

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e, trasferendosi in quella magione, ha la possibilità di conoscere un mondo nuovo pieno di meraviglie, per il quale promette che farà di tutto per non abbandonarlo.

Inizia così a intessere una serie di relazioni e legami che le permettono di diventare sempre più importante ed essenziale: la relazione più importante la ha con Beatrice, la figlia illegittima della madre superiora e nipote della principessa Gaia, matrona della casa.

Gaia è una donna di altri tempi che non si fida facilmente degli estranei, ma Modesta riesce a conquistarla piano piano, ottenendone il rispetto e la fiducia e aiutando Gaia con incarichi sempre più importanti nella gestione della casa.

Infine, riesce a instaurare un bel rapporto anche con Ippolito, erede e figlio disabile di Gaia, la quale non era mai riuscita a trovare una domestica che fosse in grado di prendere il figlio ritenuto ingestibile e a tratti pericoloso.

Grazie all’esperienza fatta con la sorella, che rimarrà sempre un segreto, Modesta riesce a instaurare un bel rapporto anche con Ippolito, riuscendo a farlo stare calmo e a tranquillizzarlo nei momenti di rabbia.

Gaia rimane colpita dalle abilità di Modesta a tal punto che le farà sposare Ippolito. Ormai la giovane donna ha un futuro assicurato e così inizia a studiare appieno la casa e la sua storia, scoprendo la cultura nella stanza dell’ormai defunto zio Jacopo e i piaceri di una relazione eterosessuale con Carmine, il mezzano gestore delle terre.

In seguito alla relazione con Carmine Modesta rimane incinta, ma riesce a trasformare quello che si sarebbe rivelato senza dubbio uno scandalo in un “miracolo”, affermando che il figlio che porta in grembo è l’erede legittimo di Gaia e figlio i Ippolito. Così facendo Modesta si assicura ancora una volta sicurezza e stabilità, ottenendo il titolo di principessa dopo la morte della matrona.

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3.2.3.2 Seconda parte

La seconda parte si apre con una Modesta sempre più calata nella parte della “padrona di casa”: ormai si occupa completamente di amministrare il patrimonio della famiglia, ma è diventata anche una donna estremamente colta, una lettrice instancabile, una appassionata di filosofia e di poesia. È ormai una vera e propria aristocratica la cui ascesa sociale è inarrestabile.

Gaia muore in circostanze piuttosto misteriose e questo permette a Modesta di diventare la principessa e padrona a tutti gli effetti della famiglia e delle sue proprietà.

Dopo aver omaggiato Gaia e la sua vita, Modesta e Beatrice si trasferiscono a Catania, luogo da sempre odiato dalla vecchia padrona in cui le due giovani cercano svago e divertimento insieme.

Purtroppo, Modesta si rende conto fin da subito come la vita di una principessa non sia soltanto divertimento, ma comprende quante siano le responsabilità e i doveri nei confronti di Beatrice e Ippolito.

In seguito, la famiglia si traferisce in una casa sul mare di Catania, questo sarà il periodo più spensierato e felice di Modesta. Da sempre amante del mare, può finalmente vivere quella vita che credeva da sempre destinata a lei.

Modesta inizia a condurre una specie di doppia vita: di notte incontra Carmine, con il quale può finalmente essere la donna selvaggia che è sempre stata, dedicandosi alla passione e alla frenesia; di giorno, invece, interpreta la parte della matrona saggia e affidabile che rifiuta le lusinghe del medico Carlo, un giovane dottore molto timido, comunista che viene da Torino.

Beatrice si innamora subito di Carlo, inconsapevole dell’amore dell’uomo per Modesta, alla fine lo sposa e avrà una figlia con lui.

Carlo compirà molti viaggi a Nord, in seguito ai quali porterà alle due donne informazioni riguardanti “le nuove idee”, verso le quali Modesta si mostrerà estremamente interessata e rapita.

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Purtroppo, Carmine, di molti anni più grande di Modesta muore, lasciando nella donna un vuoto incolmabile che tenterà di riempire con il figlio del mezzano Mattia. Dopo un primo momento di astio tra Mattia e Modesta sboccia la passione e i due intessono una relazione amorosa, all’interno della quale Modesta cercherà in Mattia le tracce del padre.

Modesta ormai è diventata un’esperta di politica: entra nei giri comunisti di Catania e si iscrive all’Università, per lei il sapere è diventato estremamente importante.

Inizia il periodo degli scontri accesi, durante i quali Carlo viene ferito da un gruppo di fascisti e muore di una morte lenta e dolorosa.

Un gruppo di amici comunisti decide di vendicarlo e Modesta, in memoria dell’amore mai sbocciato tra i due, partecipa attivamente all’organizzazione della retata, durante la quale il fratello di Mattia, uno dei fascisti, rimane ferito.

Questo sembra segnare la fine della relazione tra Modesta e il figlio di Carmine.

3.2.3.3 Parte terza

Modesta è ormai una donna adulta e matura, la quale vede piano piano crescere le proprie responsabilità e compiti.

In seguito alla morte di Carlo, infatti, Beatrice non regge al colpo e si lascia morire piano piano, lasciando la sua unica figlia in custodia a Modesta.

Così Modesta si trova circondata da molti bambini: suo figlio, la figlia di Beatrice, il bambino di Ippolito avuto con una governante e una ragazzina che adotta e che si rivela un’abile musicista.

Nel frattempo, oltre che essere un punto di riferimento essenziale per la famiglia, diventa anche un “faro” per gli intellettuali di sinistra, ospitando rifugiati tra cui Joyce, una ricca psicologa che fugge dal fascismo. Tra le due scoppierà la passione che durerà per molti anni, la relazione più duratura di Modesta, che avrà però molti momenti difficili

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a causa delle crisi di nervi di Joyce alle quali seguiranno diversi tentativi di suicidio che allontaneranno le due donne sempre di più.

3.2.3.4 Parte quarta

Iniziano gli anni del duro fascismo, gli anni più difficili per Modesta che, allo stesso tempo, saranno anche quelli più belli perché si ritrova la casa piena di giovani donne e giovani uomini che la venerano e che le riempiono il cuore di gioia e speranza, iniziando a interessarsi di politica e attualità. La sua casa sembra essere l’ultimo luogo felice in un’Italia sempre più nera e le sventure non tarderanno ad arrivare.

Modesta, infatti, verrà arrestata dai fascisti a causa delle sue idee e passerà ben cinque anni in prigione.

Durante gli anni di detenzione, trascorsi in un’isola al largo della Campania, legherà moltissimo con Nina, una romana proveniente da una famiglia anarchica e popolare.

Le due riescono a sopravvivere aiutandosi a vicenda nei momenti più difficili e inumani: Modesta verso la fine della guerra si ammala di tifo, ma grazie alle cure e alle parole di conforto dell’amica riesce a sopravvivere e riabbracciare tutti i suoi figli e nipoti.

Una volta ritrovatasi a casa Modesta ascolta con passione le storie dei giovani ormai cresciuti e modificati dalla guerra, che a loro volta hanno formato una famiglia, ritenendo sempre però Modesta il fulcro della loro esistenza.

Ormai in su con l’età e stanca, Modesta rifiuta la proposta di candidarsi a deputata, scegliendo di trasferirsi con Nina e la figlia in Sicilia, per condurre un’esistenza tranquilla.

Lasciata la politica e l'attività giornalistica, Modesta apre una

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